Franz Beckenbauer, il semidio che si fece (sin troppo) umano
La parabola di “Kaiser Franz”, una leggenda del calcio, fra straordinarie prestazioni sportive e poco trasparenti operazioni da dirigente, scomparso domenica all’età di 78 anni
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La parabola di “Kaiser Franz”, una leggenda del calcio, fra straordinarie prestazioni sportive e poco trasparenti operazioni da dirigente, scomparso domenica all’età di 78 anni
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La parabola di “Kaiser Franz”, una leggenda del calcio, fra straordinarie prestazioni sportive e poco trasparenti operazioni da dirigente, scomparso domenica all’età di 78 anni
La famiglia Beckenbauer abita di fronte alla sede del ‘Monaco 1860’. Franz sogna di giocare per il club popolare che si contrappone al Bayern della ricca borghesia.
Ma il destino decide altrimenti: a 12 anni affronta i ragazzi del suo club del cuore, litiga con avversario che lo prende a schiaffi. Franz offeso, si annuncia presso i rivali del Bayern che lo faranno esordire in prima squadra a 19 anni e di cui sarà presto capitano per 13 anni, sino al 1977, vincendo 4 campionati, 3 Coppe dei Campioni e una Coppa Intercontinenale. Con la Nazionale esordisce in Inghilterra a 21 anni; nel 1966, perde per 4 a 2 la famosa finale arbitrata dallo svizzero Dienst assistito dal sovietico Bachramov, con la palla dell’inglese Hurst che fa discutere ancor oggi: dentro o fuori? Dentro, dicono i due compari.
Beckenbauer, due volte ‘Pallone d’oro’, comincia da ala sinistra tattica (come il brasiliano Zagalo) anche se il sinistro lo adopera solo per camminare: ma il suo destro è prensile come gli arti dei lemuri del Madagscar. Non riesco a calciare di sinistro? Bene, uso la faccia esterna del piede destro e il problema è risolto. Faceva così anche Mario Corso, ma Beckenbauer lo fa meglio. E segna, 4 reti ai Mondiali del 1966, 2 nel 5 a 0 contro la Svizzera. Poi si accentra, vuol essere il perno del gioco, vuol dirigere l’orchestra e lo fa alla grande con Overath, suo partner perfetto.
Nel 1970, allo stadio Azteca di Città del Messico nella semifinale contro l’Italia persa ai supplementari per 4 a 3, Cera lo aggancia poco prima dell’area di rigore; il lanciatissimo Franz, inarrestabile quando partiva in velocità, non fa in tempo a controllare la caduta: si lussa la spalla destra. Corre il minuto 65. La Germania ha già effettuato le due sostituzione allora concesse. Beckenbauer non fa una piega: rientra con la spalla fasciata e fa comunque il suo. Basta appoggiargli la palla e lui, magari anche da fermo, con la sua preveggenza, sa cosa fare, e lo fa con la consueta facilità, con estrema precisione e misura. Dà ancora l’impressione di sempre: quella di essere un ‘extraterrestre’. Sempre a testa alta, sempre elegante nei movimenti, come un ballerino. Raramente in affanno, si concede al massimo qualche goccia di sudore: diamine, siamo artisti, non volgari calciatori.
Ed eccoci alla terza metamorfosi: l’allenatore Helmuth Schön lo schiera nel ruolo di libero, ma molti sospettano che sia stato Franz a indurlo alla geniale mossa che gli darà fama da ‘mago’. Eduardo Galeano, l’autore uruguaiano appassionato di calcio lo vede così: “dietro non gli sfugge neanche un pallone, neanche una mosca, neanche una zanzare potrebbe passare; e quando si lancia in avanti è un fuoco che attraversa il campo. La migliore definizione del ruolo è la tedesca: Ausputzer, che si può tradurre con ‘quello che spazza via’, che fa pulizia, che fa sparire la palla dalla zona bollente dell’area di rigore. Lui invece fa ripartire l’azione, appoggiando all’uomo giusto a centrocampo, o lanciando direttamente l’attaccante.
Beckenbauer cambia la storia del calcio. Dopo di lui il libero deve avere un piede molto educato, diventa il primo stratega, il primo direttore d’orchestra della squadra. E così nel 1974 la Germania è campione del mondo contro l’Olanda di Cruyff e del portiere Jongbloed che gioco spesso fuori area alla Beckenbauer: tanto forte quanto presuntuosa. È l’apoteosi. Beckenbauer sta a metà strada fra Dio e il Cancelliere. La sua carriera si conclude nei ‘Cosmos’ di New York con Pelè, ma fa in tempo a ritornare in Patria per vincere un altro titolo, il quinto dopo i 4 con il Bayern, con l’Amburgo.
Al ritiro, a 38 anni, dopo un altro anno ai ‘Cosmos’, le cariche e gli onori gli piovono addosso. Ed è qui che cominciano i guai. Beckenbauer entra, come direbbe Bertolt Brecht, im Dickicht der Städte, nella giungla della città, dove la vita non si svolge alla luce del sole, dove l’arbitro non c’è o è facilmente corruttibile. Dove vince il più furbo, quello che fa i falli più astuti e più cattivi. Sorprende però che l’elegantissimo Franz si abbassi a certi livelli. Capo del Comitato Organizzatore dei mondiali del 2006 a casa sua, è accusato dallo ‘Spiegel’ di aver avuto a disposizione 10 milioni di franchi per comperare decisivi voti, e per intascare la sua quota-parte. Ma le prove non sono sufficenti per incriminarlo.
Nel 1910 ha le mani in pasta nell’assegnazione dei mondiali al Sudafrica, nel 1918 e nel 1922 alla Russia di Putin (e della ‘Gazprom’ di cui è uomo-immagine) e del Qatar.
Dice che nel Paese che toglie i passapporti ai lavoratori che costruiscono gli stadi e li ammassa nelle brande dei capannoni-alloggi, “non ha mai visto schiavi in catene”, un po’ come il suo compagno Berti Vogts nel 1978 nell’Argentina che butta a mare dagli elicotteri gli oppositori: “un Paese ordinato, non ho mai visto un prigioniero politico”.
Beckenbauer nasconde i soldi, 1.7 milioni della Fifa a Gibilterra, 2,7 in Svizzera. Dice che per la Federazione Tedesca lavora gratis, ma in realtà ha ricevuto compensi per 5,5 milioni di euro. Quando è scoperto restituisce il 20%. Per tre volte rifiuta la convocazione della Commissione Etica della Fifa, alla quarta si presenta, riceve una sospensione di 90 giorni, presto condonata, e una multa di 7000 franchi. Sui suoi traffici si china anche la procura Svizzera che però, nel 2019, sospende l’indagine per le precarie condizioni di salute del ‘Kaiser’. Di salute e di morale: uno dei suoi 5 figli, il primo l’ha avuto a 18 anni, è morto per un tumore al cervello a 46 anni. Stephan era il prediletto, aveva giocato a calcio ma soprattutto era stato un ottimo allenatore delle giovanili del Bayern. Il cuore di Franz non regge, supera un infarto ma rimane debole. Negli ultimi giorni dice al fratello che spera salo di avere ancora un po’ di tempo per stare accanto alla figlia e al figlio avuto dalla terza moglie.
Sono stati forse i ricordi delle miseria patita dalla sua famiglia durante la guerra a indurlo a una continua corsa per aumentare, e non sempre in maniera trasparente, il suo già ingente capitale. Ma noi ricorderemo in primo luogo il sublime artista, l’uomo che era in simbiosi con la sfera, la sfera dell’illuminato buddista zen Rinpoche: “rotola perché è ineffabile”. Sempre che sia
accarezzata dal piede magico di “Kaiser” Franz.
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