Se lo conosci (il neoliberismo) lo eviti (forse)
Perché il neoliberalismo non è solo antisociale ed ecocida, ma è anche programmaticamente antidemocratico
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Perché il neoliberalismo non è solo antisociale ed ecocida, ma è anche programmaticamente antidemocratico
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• – Michele Ferrario
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• – Redazione
Perché il neoliberalismo non è solo antisociale ed ecocida, ma è anche programmaticamente antidemocratico
E invece no, come dimostrano le elezioni italiane del settembre 2022, le elezioni cantonali ticinesi, la guerra sociale di Macron sulle pensioni in Francia, la scelta di salvare Credit Suisse ma di non fare nulla per salvare il clima, le elezioni politiche in Grecia e in Turchia e ora le elezioni amministrative spagnole di domenica scorsa, dove uno dei pochi governi definibili ancora di sinistra e che ottime cose ha fatto per ridurre la precarizzazione del lavoro, tutelare i redditi e difendere le donne è stato sconfitto dal neoliberista Partito popolare e dal raddoppio dei voti della fascistissima/franchista Vox. O le elezioni amministrative parziali in Italia, con la vittoria sempre della destra. E sempre in Svizzera, la neoliberista Udc scatenata contro la legge sul clima, mentre fatica a prendere vita una invece sempre più necessaria alleanza rosso-verde.
Perché questo? Perché – è la domanda che le sinistre dovrebbero porsi – i cittadini continuano a votare per partiti che gli fanno male socialmente e climaticamente? Forse perché credono che davvero il neoliberalismo sia produttore di libertà individuale, di edonismo, di felicità e di divertimento? Forse perché la Terza via teorizzata da Antony Giddens e praticata da Blair e da Schröder e da Veltroni e da Renzi era la resa incondizionata (politica, culturale, valoriale) del socialismo al capitale e al capitalismo, quindi perché non votare l’originale invece della copia? E cosa sono oggi i sovranismi, i neonazionalismi, i populismi e i postfascismi – come ieri il fascismo e il nazismo – se non la continuazione del neoliberalismo/capitalismo con altri mezzi?
Ma allora – la domanda è provocatoria, ma utile – stiamo forse vivendo come O di Histoire d’O? – e grazie a Daniele Bernardi, sul sito della Rsi, per averci ricordato quel romanzo scandaloso del Novecento, che narra della volontaria sottomissione di una donna ai voleri e alle perversioni sessuali di diversi uomini. Viviamo cioè forse tutti noi in una auto-sottomissione che però non è sessuale e individuale come quella di O, bensì economica e antropologica e di massa al neoliberalismo come ideologia e al capitalismo come forma esistenziale, per cui siamo felicemente nella sua schiavitù e gli permettiamo di fare tutto ciò che vuole a noi e alla Terra, noi illusi dalla sua offerta di massimo godimento?
Già, perché per O, scrive Bernardi, “contrariamente a quanto si potrebbe credere, l’atto di fornire ad altri il suo corpo turba solo parzialmente O, poiché attraverso di esso l’uomo [noi diciamo il neoliberalismo, la competizione, la tecnologia, oggi l’intelligenza artificiale] la farà sentire assurdamente sicura, libera dal peso di se stessa e soprattutto speciale [e anche il neoliberalismo ci illude di essere tutti individui speciali], protetta da un senso d’irrealtà simile a un sogno, e dalla sensazione di esistere in un’altra vita – e a questo oggi pensa soprattutto la tecnologia, che ci porta a voler vivere (ma è sempre il capitale a farcelo desiderare), in un’altra vita che si chiama realtà virtuale e metaverso.
Per conoscere meglio cos’è il neoliberalismo, riprendiamo ancora una volta la definizione assolutamente perfetta che ne diede pro domo sua Walter Lippmann, neoliberale statunitense, quando a Parigi (1938) venne appunto rifondato il liberalismo: essa è “l’unica filosofia che possa condurre all’adeguamento della società umana alla mutazione industriale e commerciale fondata sulla divisione del lavoro”; che a sua volta è un dato storico che non può essere modificato [insieme facendoci credere che non esistano alternative]. Quindi, suo compito è modificare l’uomo, adattandolo alle esigenze della produzione e del capitalismo [con il paradosso di un neoliberalismo che nega la libertà liberale dell’individuo], divenendo “un nuovo sistema di vita [non solo quindi un sistema economico] per l’intera umanità”.
Di più: l’ambiente sociale e il sistema capitalistico devono tendere a formare un tutto armonico, il (neo)liberalismo ponendosi così sulla scia del positivismo ottocentesco, filosofia per la quale (ad esempio Saint-Simon e Comte) società e industria sono sinonimi e tutta la società deve essere governata da imprenditori e banchieri. E quindi il nostro adattamento alle esigenze del capitale e della rivoluzione industriale (pensiamo alla imposizione della flessibilità del lavoro e alla digitalizzazione della vita umana) e il governo del mondo da parte di industriali e banchieri sono appunto il prodotto della pianificazione neoliberale di questi ultimi quarant’anni e di un positivismo bisecolare e carsico che hanno rovesciato le politiche keynesiane dei Gloriosi trent’anni 1945-1975 quando erano invece il capitale e l’industria a doversi (almeno parzialmente) adattare alle esigenze della società e della democrazia.
Ma c’è di molto peggio. Ce lo mettono sotto gli occhi il filosofo Pierre Dardot e il sociologo Christian Laval – e fondamentale per capire il neoliberalismo è il loro La nuova ragione del mondo (2013; ediz. aggiornata 2019), in italiano per DeriveApprodi – che in un recente articolo scritto con Haud Guéguen e Pierre Sauvêtre ricordano che la strategia politica dei neoliberalismi è “radicata in una demofobia [cioè paura della democrazia] profondamente reazionaria, che è rimasta invariata da von Hayek a oggi. Consiste nel contenere, neutralizzare o distruggere tutte le forze che attaccano gli interessi economici privati e il principio della concorrenza”, dai sindacati alla società civile e oggi agli ambientalisti (definiti terroristi) e gli scienziati del clima. “I dottrinari neoliberisti hanno dedicato innumerevoli pagine a immaginare modi per tenere al cappio la democrazia – a tal punto che uno di loro, l’ordoliberale Alexander Rüstow, parlava di dittatura nei limiti della democrazia. Altri si sono spinti a sottolineare l’utilità della violenza fascista per salvare la civiltà europea dalla barbarie socialista (Ludwig von Mises)”.
E ancora: “I primi tre premi Nobel neoliberisti per l’economia – Friedrich von Hayek, Milton Friedman e James Buchanan – si riunirono nel 1981 alla Mont Pelerin Society per celebrare la dittatura di Pinochet al culmine della sua repressione [e fu appunto nel Cile di quella spietata dittatura che, dopo il golpe dell’11 settembre 1973 fu per la prima volta testato sulla pelle dei cileni il neoliberismo, per poi essere esportato in tutto il mondo]. Mentre von Hayek inviò una copia del suo libro La società libera (Constitution of liberty) al dittatore portoghese Salazar per – si legge nella lettera di accompagnamento – assisterlo nei suoi sforzi di concepire una costituzione protetta dagli abusi della democrazia”.
Insomma, il neoliberalismo non è solo anti-sociale ed ecocida, ma è anche programmaticamente anti-democratico – esito che appunto viviamo sempre più oggi, tra sovranismi e democrature e società amministrata dalla macchine/algoritmi, dopo quarant’anni di egemonia neoliberale. Ce n’è abbastanza, ci pare, per cambiare urgentemente modello economico e politico. E per invitare le sinistre a tornare ad essere almeno un po’ rosse e a diventare soprattutto verdi. E a non viversi più – verso neoliberalismo e capitalismo – come appunto O nella Histoire d’O. Detto altrimenti – e aggiornando Max Weber di più di un secolo fa (che non era un marxista): a uscire dalla gabbia d’acciaio, oggi digitale, del capitalismo. Perché fuori dalla gabbia c’è un mondo tutto da esplorare e da vivere.
Nell’immagine: Corinne Cléry nella parte di O nel film di Just Jaeckin (1975)
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