Dopo tre mesi di stallo politico, la terra dei sorrisi ha un nuovo Primo Ministro, Srettha Thavisin, alleato del popolare Thaksin Shinawatra, di ritorno in patria grazie alla controversa nuova alleanza con i militari
La lunga e dolorosa lotta di potere che per due decenni ha visto l’ex Primo Ministro Thaksin Shinawatra e la sua famiglia, opposti al potente esercito thailandese, si è conclusa con l’ennesimo colpo di scena, degno della serie televisiva Trono di Spade.
Per coloro che hanno seguito la politica thailandese degli ultimi 20 anni, rivedere Thaksin in patria, dopo 15 anni di esilio ed essere testimoni, lo stesso giorno, della nomina a Primo Ministro del suo alleato, Srettha Thavisin, ha dell’incredibile.
Eppure martedì 22 agosto, tutti i pezzi del puzzle si sono incastrati, secondo un copione che si stava scrivendo da anni: Thaksin Shinawatra, deposto da un colpo di stato militare nel 2006 e in auto-esilio dal 2008 per sfuggire a una condanna a 10 anni di reclusione, è tornato in Thailandia, tra l’entusiasmo di centinaia di sostenitori e l’oscuro consenso degli stessi militari che lo hanno sempre disprezzato.Scortato ed arrestato dalla polizia al suo arrivo all’aeroporto, il miliardario 74enne ha trascorso solo poche ore in prigione e nella notte è stato trasferito in un ospedale per problemi di insonnia e pressione, in attesa della possibile grazia del Re. Tutte componenti del presunto accordo raggiunto con l’élite, dopo lunghi negoziati che potrebbero costare però un caro prezzo al suo partito populista, il Pheu Thai.
Per assicurarsi che tali eventi avvenissero senza più ostacoli, era necessario includere nella coalizione di governo, i partiti filo-militari, malgrado la loro pesante sconfitta nelle elezioni politiche. Questo è avvenuto nei giorni scorsi, dopo mesi di manovre politiche che hanno portato all’esclusione dai giochi del vero vincitore del voto di maggio, il partito progressista Move forward, che chiedeva un emendamento della controversa legge sulla lesa maestà. Il tentativo del suo leader, Pita Limjaroenrat, di formare un governo e la sua candidatura a Premier, sono stati ripetutamente bloccati. Malgrado la promessa di non unirsi ai gruppi vicini all’esercito, il Pheu Thai non ha esitato a voltare le spalle a Move Forward ed allearsi ai nemici di sempre, pur di tornare al potere e fermare una nuova potenza popolare, che, per la prima volta in decenni, lo ha superato alle urne.
Per numerosi sostenitori di Thaksin, conosciuti in passato come le camice rosse, gli eventi dei giorni scorsi, rappresentano il tradimento definitivo di un uomo e un partito, considerati eroi della classe operaia, grazie alla loro lotta contro i soprusi dell’elite. Secondo un sondaggio, quasi due terzi degli elettori disapprova la mossa di Pheu Thai di formare un governo con i due principali partiti di allineamento militare.
Il ritorno di Thaksin dimostra quanto la sua influenza e quella della sua famiglia non siano mai venute meno, sebbene altri partiti abbiano cercato di dare delle alternative agli elettori. Ma gli elettori non contano in Thailandia. Se il 14 maggio scorso non fossero andati alle urne, non avrebbe fatto alcuna differenza, perché oggi, alla guida del Paese, non ci sono né il partito, né il leader per cui hanno votato.
Il Pheu Thai sta però giocando con il fuoco. Il partito di Thaksin ha uno svantaggio numerico rispetto ai gruppi conservatori della nuova coalizione e avrà bisogno del loro sostegno per qualsiasi disegno di legge che vorrà presentare.La prossima battaglia sarà per le posizioni chiave di gabinetto. Passi falsi o disaccordi potrebbero fornire ai conservatori e ai militari un pretesto per porre fine alla strana e fragile alleanza e lanciare un nuovo colpo di stato.
Dopo tanti anni vissuti all’estero, vien da chiedersi se l’ex-Premier sia cosciente del fatto che, sebbene i giochi di poteri siano gli stessi, gli elettori non sono quelli di 20 anni fa. Le nuove generazioni erano serie e determinate quando hanno espresso la voglia di cambiamento, scegliendo una nuova forza politica e nuovi volti. I giovani thailandesi non sono ciecamente leali al partito di Thaksin, come lo erano i propri genitori, e il Pheu Thai, per restare al potere, ha bisogno anche del sostegno del popolo, disilluso dai recenti eventi.