Le due vite di Toto
Parabola di un cantautore che non amava definirsi tale
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Parabola di un cantautore che non amava definirsi tale
• – Simona Sala
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• – Redazione
Ma si continua a temerlo e a dargli la caccia
• – Silvano Toppi
Una polemica stucchevole imperversa da giorni a proposito del diario scolastico quale presunto strumento di indottrinamento. Un polverone che sa di tristemente elettorale
• – Adolfo Tomasini
• – Franco Cavani
Tre militari russi raccontano perché hanno disertato dopo l’invasione dell’Ucraina
• – Redazione
Con la guerra in Ucraina è nato un nuovo continente protagonista della geopolitica mondiale: il sud globale. Non ha confini chiari e comprende tutti i paesi che non vogliono schierarsi
• – Redazione
Il presidente russo ha reso onore all’ex amico Prigozhin, “uomo d’affari di successo”, senza mai riferirsi esplicitamente al suo ruolo di combattente militare per la Russia
• – Yurii Colombo
Il sempre più influente consigliere nazionale UDC Thomas Matter plagia una canzone antirazzista e dà la colpa del caldo estremo al servizio meteo di SRF
• – Federico Franchini
Il principe ereditario saudita è il centro delle attenzioni del mondo. E Biden è pronto a siglare con lui un accordo senza precedenti
• – Redazione
C’è stato un prima e un dopo, nella vita di Salvatore Toto Cutugno.
Un prima contrappuntato da un lavoro in sordina, dietro le quinte, a coltivare quello che lui stesso percepiva come un talento (stimolato dalle insistenze del padre che, ancora piccolo, l’aveva voluto nella banda di La Spezia al tamburo) ma cui non riesce a dare un indirizzo preciso. Ci vorrà dunque l’incontro con Vito Pallavicini, cui si deve la paternità di “cerco l’estate tutto l’anno e all’improvviso eccola qua”, per imparare i rudimenti del mestiere. Un sodalizio, il loro, che gli permette di varcare già negli anni 70 i confini nazionali, offrendo parole e musica nientemeno che alla Francia – dove gli chansonnier cominciavano a scarseggiare – nella figura dell’artista Joe Dassin, grazie a brani come Si tu n’existais pas (di cui vale la pena ascoltare anche la cover di Iggy Pop, voce rauca e un francese patinato da un irresistibile accento inglese) e L’été indien, protagoniste ancora oggi, a cinquant’anni di distanza, delle ore più calde delle estati della Costa Azzurra.
Forte delle esperienze con i Toto&Tati e con gli Albatros poi (con i quali lancia pur sempre il successone Volo AZ 504, perfettamente aderente alla moda degli Anni settanta, caratterizzata dal combo cantante maschio-donna dalla voce flautata, e dove, ardito, troviamo il verso “potevo lasciarti avere il bambino”), di una serie di successi di Celentano tra cui Soli, che contribuiscono a rilanciare in pompa magna il Molleggiato, da qualche tempo giù di tono, Toto a un certo punto decide di lanciarsi da solo, proponendo in solitaria e con il broncio che è stato a lungo il suo tratto distintivo, brani fatti di amori grandi e strazianti (ai testi contribuiva Cristiano Minellono). Quale migliore vetrina del Festival di Sanremo, in Italia, dove incanta il pubblico cantando Solo noi senza mai aprire gli occhi (per timidezza, ha detto qualcuno) e conquistando per la prima e unica volta il podio? Il resto, ma questa è storia, è una serie pressoché ininterrotta di secondi posti. Oltre che innumerevoli collaborazioni, che lo vedono scrivere testi per Luis Miguel, Fausto Leali e Peppino di Capri, giusto per citarne alcuni.
Il podio però, non arriva mai, nonostante la cocciutaggine tipica di Cutugno, forse ciecamente fedele al detto di chi la dura la vince, e la sua mediterraneità, contraddistinta da completi bianchi, capello corvino e camicia aperta su petto villoso, comincia a trasformarsi in una sorta di macchietta, che lo fa scivolare, a tutti gli effetti in una nuova, seconda fase (qualcuno, molto saggiamente l’ha definito un meme ante litteram). Al più tardi dopo L’italiano (scritto per Celentano, che lo rifiutò, incurante del potenziale del brano, timoroso forse di trasformarsi in un cantante velatamente patetico) Toto Cutugno smette di sussurrare brani d’amore ad alto tasso glicemico ma pregni di virilità, eppure così romantici da non potere non risultare accattivanti, per cominciare a dedicarsi attivamente a tutta una serie di cliché. Partendo dall’Italiano, infatti, che ancora oggi titilla lo spirito campanilistico di ogni cittadino del Bel Paese ovunque si trovi nel mondo (pur sciorinando una sfilza di luoghi comuni non necessariamente lusinghieri, in perfetta rievocazione dei mitici e favolosi Anni ottanta), va a toccare tutti i punti deboli del sentimentalismo. Ed è così che sulle note di Figli, Mamme, Serenate, Emozioni e Amori, Europa, inizia inesorabilmente una sorta di parabola discendente.
Gli unici che ancora possono apprezzare questa narrazione di un Paese che sembra sprofondare sempre più nei problemi, sono gli appassionati fans all’estero, russi in primis: durante l’impero sovietico la finestra sul Festival di Sanremo, è stata una delle uniche possibili, e quindi, in qualche modo Toto Cutugno (che al festival, come autore o come cantante è praticamente onnipresente) si trasforma in un’idea di Italia e, perché no, forse anche di libertà.
Ma ora che Toto non c’è più, come sempre accade quando qualcuno se ne va, possiamo scegliere di ascoltare e amare unicamente i brani che vogliamo noi, concedendoci, per attinenza anagrafica, un tuffo in quei magnifici anni del 900, che non solo ci sembrano migliori dei nostri, ma soprattutto, ci vedevano giovani.
Nell’immagine: Toto Cutugno in concerto a Kiev nel marzo2019
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