Dietro il tributo di Putin a un traditore
Il presidente russo ha reso onore all’ex amico Prigozhin, “uomo d’affari di successo”, senza mai riferirsi esplicitamente al suo ruolo di combattente militare per la Russia
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Il presidente russo ha reso onore all’ex amico Prigozhin, “uomo d’affari di successo”, senza mai riferirsi esplicitamente al suo ruolo di combattente militare per la Russia
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Il presidente russo ha reso onore all’ex amico Prigozhin, “uomo d’affari di successo”, senza mai riferirsi esplicitamente al suo ruolo di combattente militare per la Russia
Ci sono volute oltre 24 ore perché giungesse una comunicazione da parte di Vladimir Putin sulla tragica fine del capo dell’esercito mercenario della Wagner, Evgenij Prigozhin. Il presidente russo dal Cremlino, dopo aver fatto le condoglianze alla famiglia, ha sostenuto che “conosceva Prigozhin da molto tempo, dai primi anni ’90”. “Si trattava di un uomo dal destino complicato, che ha commesso gravi errori nella sua vita, e che ha ottenuto successo, sia per se stesso sia – quando gliel’ho chiesto – per la causa comune, come in questi ultimi mesi”.
Secondo Putin, Prigozhin “era un uomo di talento, un uomo d’affari di talento, e non solo nel nostro Paese, ha lavorato con risultati in Africa occupandosi di petrolio, gas, pietre e metalli preziosi”. Parole in parte di circostanza, ma che evidenziano anche un vero e proprio tributo al capo della Wagner. Per una ragione di cinico fiuto politico, di cui Putin, ammettiamolo, ha una particolare capacità. Dopo che in tutta la Russia, sin dalla sera precedente, molta gente aveva iniziato semi-spontaneamente a depositare fiori e a piangere la morte per quello che il filosofo neonazista Alexander Dugin ha definito post-mortem un “novello Nestor Machno” , il partigiano ucraino anarchico che durante la guerra civile russa del 1917 combattè sia i bianchi che i rossi (sic!), Putin ha confezionato un vero e proprio “onore delle armi”, ponendosi così sulla stessa lunghezza d’onda dei settori della società russa più nazional-populisti.
Nel frattempo, dietro le quinte si sta confezionando la “versione di Putin”. Il presidente russo ha anche parlato in modo asettico di “catastrofe aerea” e dopo poche ore, dal Sudafrica, il suo ministro degli esteri Sergej Lavrov ha ripreso il termine “catastrofe aerea”. Il capo della diplomazia russa ha affermato inoltre che per formulare un giudizio su quanto accaduto ci si dovrebbe “basare sui fatti piuttosto che sulle dichiarazioni dei media occidentali”. E in precedenza, per tutto il pomeriggio, sul primo canale della TV russa il giornalista-propagandista Vladimir Solovev aveva invitato i wagneriani a “vendicarsi contro l’attentato organizzato dal ministero della Difesa ucraino”. Dovremo quindi ancora attendere almeno qualche giorno per vedere che ricostruzione spunterà dal cilindro del “Ministero della Verità” di Mosca. Almeno fino a quando si spegneranno i riflettori sulla riunione del Brics, i paesi del Sud globale che si propongono di diventare forza alternativa al G-20.
Tuttavia il confezionamento della notizia esige cautela, visto che nel caso degli avvelenamenti dei Sergej Skripal e Alexej Navalny le ricostruzioni proposte da Mosca fecero acqua da tutte le parti.
Per ritornare a ipotesi su quanto accaduto, ipotesi che non sfidino il calcolo delle possibilità infinitesimali e l’intelligenza del cittadino medio, il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti ha dichiarato ieri che al momento non ci sono informazioni che suggeriscano che un missile terra-aria abbia abbattuto l’aereo che si presume trasportasse il leader mercenario russo Yevgeny Prigozhin. Non stupisce la cautela americana: probabilmente a Washington si preferisce attende la versione russa per poi giocare una partita contro-informativa di rilancio.
Intanto i canali Telegram legati alla Wagner hanno assunto una posizione di stand-by. Dopo aver attaccato due sere fa, anche in maniera furibonda, l’establishment del Cremlino, e aver denunciato le conseguenze che l’attentato avrebbe provocato nello “stato d’animo delle truppe”, ieri, alcuni dei più autorevoli esponenti rimasti alla Wagner ormai ‘decapitata’, hanno chiesto a tutti i blogger di evitare di fornire informazioni incontrollate e di “restare sul chi vive”. Il Cremlino sta cercando di mettere al guinzaglio ciò che resta della struttura mercenaria, oppure alla Wagner ci si prepara per un confronto più lungo e complesso? Difficile dirlo ora.
Tuttavia una cosa appare certa. Prigozhin non è un caso, non è spuntato nella storia di questo conflitto dal nulla . Anzi la sua biografia è un prototipo di quella dell’“homo post-sovieticus”: criminale comune nell’URSS, oligarca negli anni ’90, capo di un esercito di ventura negli anni del revanscismo putiniano. È un prodotto della crisi sociale verticale (oltre che morale) di un intero Paese. Se i motivi della cancrena che divora la Russia non verranno rimossi, amputare non servirà. Altri Prigozhin verranno, e a quel punto, forse, saranno meno ingenui.
Nell’immagine: omaggi floreali deposti davanti alle foto di Prigozhin
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