Di Jacques Pilet, Bon pour la tête
È tutto sistemato, tutto a posto. UBS ha fagocitato il Crédit Suisse, qual è il problema? Ai contribuenti non è costato molto e possono stare tranquilli. Non c’è più bisogno di garanzie statali. Questa è la retorica. La realtà è molto più preoccupante. Il valzer di miliardi promessi in caso di problemi in quella famosa domenica di marzo ha suscitato preoccupazione e irritazione. Tanto più che è stata presa in considerazione una sola soluzione al problema del Crédit Suisse: un’acquisizione a prezzo ridotto da parte di UBS, che da tempo desiderava assorbire la banca concorrente, messasi in grave difficoltà. La consigliera federale Karin Keller-Sutter, che ha fatto da apripista, è stata criticata da più parti. Non un bene per il PLR prima delle elezioni.
Ed eccoci alla decisione miracolosa: UBS annuncia di non aver più bisogno della rete di sicurezza dello Stato. Ha persino fatto un piccolo regalo di 200 milioni alla Confederazione… per il sostegno finanziario che aveva dato nel momento peggiore della crisi! La brillante ministra ha spiegato alla radio romanda che si era sull’orlo di una terribile catastrofe, per la Svizzera, per il mondo intero, per ogni singolo cittadino. Ma grazie alla sua saggezza e a quella della BNS e della FINMA, ci siamo salvati. E guai anche solo ad immaginare quale poteva essere un’altra soluzione: nazionalizzazione in attesa della rivendita? Suddivisione del paziente obeso in più entità? Neanche a parlarne.
Forte del notevole affare fatto con l’aiuto della politica (e degli aiuti pubblici), il colosso che alla fine è emerso dalla fusione è certamente partito bene. Acquistare per tre miliardi un altro colosso con un patrimonio netto di 45 miliardi a fine dicembre, anche se in crisi, ma ancora con parti sane e promettenti, significa che il futuro può certamente dirsi roseo. Per il management e gli azionisti. Ma nero per i circa 35.000 dipendenti minacciati di licenziamento in Svizzera e nel mondo e in rosso per gli obbligazionisti (AT1) che hanno visto il loro patrimonio azzerato in nome del “diritto di necessità”.
Tuttavia, alcune voci si levano a contrastare il coro euforico. La NZZ, giornale ben poco di sinistra, afferma che né il ministro delle Finanze né la BNS hanno “motivo di darsi una pacca sulla spalla”. Infatti il problema di fondo ed i conseguenti rischi rimangono. Una crisi come questa potrebbe ripetersi in qualsiasi momento. Con una mega-banca “troppo grande per fallire” che potrebbe diventare “troppo grande per essere salvata”.
Il bilancio della nuova UBS rappresenta circa il 210% del prodotto interno lordo (PIL) della Svizzera. Sono ipotizzabili tutti i tipi di misure di salvaguardia per evitare che UBS (già salvata nel 2008) vada di nuovo fuori controllo o venga salvata per la terza volta. Il presidente del Centro, Gerhard Pfister, chiede che il patrimonio netto delle banche sia almeno il 20% del loro bilancio. Attualmente UBS è al 4,4%! E l’intero processo di vigilanza deve essere rivisto. La FINMA ha mostrato le sue carenze e i limiti dei suoi poteri. Chi rimedierà a questa situazione? E quando?
“Ci stiamo pensando”, dice la Consigliera federale responsabile del dossier, che pare non mostrare alcuna fretta. Meglio così per UBS, che si compiace di questo atteggiamento attendista. “Non c’è nulla in vista”, commenta la NZZ. Alcuni suggeriscono che la Commissione parlamentare d’inchiesta possa diventare un buon pretesto per ritardare il passaggio all’azione. Ci vorranno uno, due o tre anni perché la Cpi arrivi a tirare le proprie conclusioni. Aspettiamole prima di fare qualcosa!
La NZZ non si accontenta però di bacchettare UBS e le autorità federali; continua infatti a segnalare con un certo allarme che anche le banche cantonali rappresentano un “rischio sistemico”. Certo, oggi se la cavano egregiamente, ma in caso di disgrazia, viste le enormi somme che gestiscono, ognuna di esse potrebbe anche dover chiedere aiuto. La legge stabilisce che i Cantoni devono fornire loro una “assicurazione contro tutti i rischi” per salvarle ad ogni costo. Tre lodevoli eccezioni: Berna, Ginevra e Vaud hanno eliminato questo obbligo. Ci sono ancora 21 banche cantonali che beneficiano della protezione dello Stato. Tuttavia, molte di esse hanno bilanci che superano di gran lunga il PIL del loro cantone. Il think tank liberale “Avenir Suisse” ha confrontato i bilanci delle banche cantonali non solo con il PIL cantonale, ma anche con le spese annue cantonali, fornendo informazioni per lo meno inquietanti: se, ad esempio, la banca cantonale di Appenzello Interno dovesse subire una perdita del 20% del suo patrimonio a causa di una crisi, il cantone, per poter onorare il suo obbligo di responsabilità, dovrebbe teoricamente rinunciare a tutte le sue spese per quasi cinque anni.
Il quotidiano zurighese si affretta a sottolineare che, anche in tempi recenti, diversi di questi “rassicuranti” istituti hanno subito gravi contraccolpi. Alcuni sono addirittura scomparsi, a Soletta e Appenzello Esterno. Altri hanno dovuto essere salvati con miliardi di denaro pubblico, soprattutto durante la crisi immobiliare degli anni Novanta. Anche a Berna, Ginevra e nel Cantone di Vaud, prima che questo obbligo venisse revocato.
Ma a parte questo, va tutto bene… Madame la Marquise!
Traduzione a cura della redazione