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Di Marino Niola, La Repubblica

Addio al sociologo dell’amore. Francesco Alberoni è morto lunedì sera a 93 anni al Policlinico di Milano dove era ricoverato da alcuni giorni per una complicazione sopraggiunta durante una terapia alla quale era sottoposto per problemi renali. Scompare la figura più poliedrica, erratica e discussa delle scienze sociali in Italia. La sua storia personale non è quella, predestinata e prevedibile, del pollo di batteria accademico. Al contrario, la sua formazione e i suoi temi di ricerca sono lo specchio di una curiosità onnivora, di una interrogazione a trecentosessanta gradi che lo porta ad oltrepassare continuamente i confini delle discipline. 

Si laurea in medicina a Pavia nel 1953. Poi sente l’attrazione fatale della psichiatria, diventando allievo del grande Franco Fornari e poi di padre Agostino Gemelli, fondatore dell’Università Cattolica. Ma la psicologia gli sta stretta e comincia ad estendere lo sguardo ai fenomeni sociali e di costume. Sono gli inizi di quella che Pasolini definì la mutazione antropologica italiana. Di questo processo destinato a cambiare i connotati del Belpaese, Alberoni cerca di vedere il bicchiere mezzo pieno. 

La sua lettura non è mai luttuosa né tanto meno apocalittica. Ma curiosa, positiva, fiduciosa. E la sua analisi dei processi sociali non si limita ai fenomeni strutturali, come l’economia e la politica, ma sceglie temi che stanno fra pubblico e privato, costume e società. 

Alla fine degli anni Cinquanta, alla vigilia del miracolo economico, decide di studiare i cambiamenti del Paese scegliendo come indicatori i corredi e l’intimo. A finanziare la ricerca è la Bassetti. E il sociologo risale lo Stivale in Cinquecento, dalla Calabria a Bolzano. Scoprendo che a dispetto della retorica politica e sociale cattolica e marxista non tutti si trasferiscono al Nord perché costretti dalla miseria. Ma perché spinti da un sogno di cambiamento, da una irrefrenabile voglia di futuro. Che attrae soprattutto le donne che nella vita urbana e nel lavoro in fabbrica vedono una chance di liberazione da un mondo patriarcale. 

E lui legge i segni di questo cambiamento nella nuova tendenza femminile per la lingerie colorata e nell’abbandono delle tradizionali lenzuola ricamate. «Nel giro degli imprenditori diventai un enfant prodige – ha dichiarato – per i sociologi uno da uccidere in fasce». Di qui nasce un libro importante L’integrazione dell’immigrato nella società industriale (1958). Nel 1964 scrive Consumi e società, che anticipa di ben sei anni La società dei consumi di Jean Baudrillard, considerato una bibbia della sociologia critica. 

La differenza è che Alberoni considera meno ideologicamente gli oggetti di consumo come un elemento caratterizzante della società moderna. Perché sono cose e insieme rappresentazioni, al confine tra sogni e bisogni. Oltre che un potentissimo motore dell’economia e quindi un acceleratore di benessere. Molti considerano Consumi e società il primo libro su marketing e pubblicità. Da allora il rapporto con il mondo pubblicitario si fa sempre più stretto. Invenzioni fortunate come Mulino Bianco, Piumone Bassetti, Tod’s e tante altre portano la sua firma. 

Ma forse il contributo più squisitamente alberoniano alle scienze sociali è lo studio del rapporto tra i movimenti collettivi e le istituzioni. Ai suoi occhi i primi sono istanze di rinnovamento allo stato emergente ed effervescente, che le seconde sclerotizzano tradendone lo slancio vitale. Quando Alberoni dà alle stampe Movimento e istituzione nel 1977, è già stato rettore della facoltà di sociologia di Trento, uno dei focolai del Sessantotto. La brigatista Mara Cagol, moglie di Renato Curcio, si laurea con lui. «Fu lei a portare Curcio sulla cattiva strada», disse. Nell’officina della contestazione trentina ha potuto osservare da vicino l’incandescenza di un movimentismo allo stato nascente. Proprio nella fase più esplosiva. 

E riconosce nell’innamoramento il corrispettivo individuale dei movimenti sociali. Insomma, innamorarsi è rivoluzione. Perché in fondo è la versione a due dello stesso elan vital che dà origine ai movimenti sociali. Ogni coppia in amore sprigiona le stesse forze di liberazione, apertura, solidarietà, gioia di vivere che sono alla base di ogni big bang sociale. Da questa riflessione nasce Innamoramento e amore che esce nel 1979 ed è subito best seller. Il libro viene tradotto in più di venti lingue e vende più di due milioni di copie. Ma quel che più conta, viene letto dalla gente comune che nel suo linguaggio in presa diretta, senza frigidità accademica, trova una sponda ideale tra la testa e il cuore. 

Molti parroci cominciano a usarlo e continuano a farlo nei corsi di preparazione al matrimonio. E nei ritiri comunitari, fra i temi proposti ai promessi sposi c’è la costruzione della famiglia come piccola Chiesa, che è una trasposizione religiosa dell’idea alberoniana dell’innamoramento costruttivo, della coppia e della comunità come conseguenze dell’amore. E questa idea dell’eros come interfaccia tra individuale e collettivo attraversa come un basso continuo l’opera di Alberoni e si prolunga nella sua intensa attività pubblicistica, soprattutto nella rubrica settimanale “Pubblico e privato”, uscita in prima pagina sul Corriere della Sera dal 1982 al 2011. 

E dopo una breve parentesi a Repubblica, passa al Giornale con cui collabora fino alla fine, scrivendo L’articolo della domenica. E in tutto questo trova il tempo di dirigere il Centro sperimentale di cinematografia, di fare il rettore dello Iulm, il consigliere di amministrazione della Rai. Di innamorarsi tre volte. E di candidarsi alle Europee con Giorgia Meloni nel 2019. E di tornare proprio nelle scorse settimane agli onori delle cronache nel caso Santanché con una villa venduta al fidanzato della ministra e rivenduta da quest’ultimo a un milione di euro in più dopo appena 58 minuti. Ma in ogni caso, se non avesse «azzeccato il colore di reggiseni e mutandine sognato dalle italiane», Alberoni probabilmente non sarebbe diventato Alberoni. 

Nell’immagine: farina del suo sacco






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