Inclusione sì, ma per chi? La storia di Nicola
L'educazione è un diritto di tutte/i, e non deve dipendere da fattori locali o contingenti
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L'educazione è un diritto di tutte/i, e non deve dipendere da fattori locali o contingenti
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L'educazione è un diritto di tutte/i, e non deve dipendere da fattori locali o contingenti
Prima di quella calda giornata del 11 giugno 2012 il mio sguardo sul mondo, sulla società e sui suoi funzionamenti era un po’ diverso, sicuramente meno “ampio”, rispetto a quello che è oggi, e questo lo devo anche alla nascita di mio nipote Nicola. Ricordo che fra le tante preoccupazioni di quei suoi primi giorni di vita, nella nostra famiglia – in cui si mastica scuola da un paio di generazioni – si era già affacciata la questione della futura scolarizzazione di Nicola, nato inaspettatamente con la sindrome di Down; all’improvviso, la divisione fra una scuola per bambini “speciali” e una scuola per bambini “normali” – che fino a quel momento mi era apparsa naturale – mi sembrava assurda, ingiusta, e mi sentivo rassicurata nel sentire aria di cambiamento nel mondo della scuola, in cui si cominciava a parlare di “inclusione” e di “progetti pilota” e si iniziavano a intravvedere i vantaggi – per la società tutta – di una scuola in cui allieve e allievi fossero quotidianamente confrontati con la diversità nelle sue più ampie sfaccettature. Soltanto due anni dopo la nascita di Nicola il Dipartimento dell’Educazione della Cultura e dello Sport ha dedicato ad esempio un numero della sua rivista Scuola Ticinese proprio al tema dell’inclusione; nell’editoriale, il capo divisione Emanuele Berger scriveva: “la scuola ticinese, da molti anni, ha preso la ferma decisione di integrare nella scuola dell’obbligo tutti gli allievi, indipendentemente da qualsiasi caratteristica personale, in particolare dal profitto scolastico” (cfr. Scuola Ticinese 2014, p. 13).
Le premesse per un’inclusione, insomma, sembrava vi fossero. Quando tuttavia, nel settembre 2016, è iniziato il percorso di scuola dell’obbligo di Nicola, anche i primi concreti ostacoli si sono palesati. L’inserimento alla scuola dell’infanzia è stato frenato infatti dalla difficoltà del bambino di essere autonomo nell’andare in bagno. Tuttavia dopo diversi colloqui con il direttore della sede, gli educatori del SEPS (Servizio Educazione Precoce Speciale) e le educatrici dell’asilo nido che aveva frequentato fin da neonato, si è riusciti a trovare una soluzione temporanea che permettesse a Nicola di frequentare il primo anno di scuola dell’obbligo in una classe regolare. La garanzia che potesse continuare la frequenza anche i restanti due anni è stata confermata solo quando – all’inizio del secondo anno – Nicola ha dimostrato di essere autonomo in tutti i bisogni primari quotidiani, poiché – per questo tipo di aiuti – non sarebbe stata assegnata al bambino nessuna figura professionale di riferimento.
Durante il suo percorso si è venuta a creare una rete di riferimento composta dal direttore, dalla maestra, da una OPI che lo seguiva per quattro ore settimanali nelle attività didattiche, dagli educatori del SEPS e dal sostegno pedagogico, che incontrava regolarmente la famiglia. Alla fine dell’ultimo anno di scuola dell’infanzia, la rete ha deciso – sulla base della procedura di valutazione standardizzata (PVS) – che Nicola continuasse il suo percorso di formazione presso la Scuola Speciale Cantonale. È quindi stata esclusa la possibilità di un’inclusione individuale con il sostegno di una OPI nella scuola regolare, nonostante l’esperienza di inclusione alla Scuola dell’infanzia nel corso dei tre anni precedenti fosse stata positiva. Tuttavia, nelle linee guida federali [pdf] sull’uso della PVS si fa esplicito riferimento ad “assicurare la maggior partecipazione possibile nelle scuole regolari («scuola per tutti»). Non era neanche stato proposto a Nicola di poter far parte di una classe inclusiva, composta da bambini di scuola regolare e bambini di scuola speciale, seguiti in co-docenza da un/a maestro/a di scuola regolare e un/a maestro/a di scuola speciale.
La decisione non era stata tuttavia condivisa dai genitori, il cui auspicio era che Nicola potesse continuare la sua scolarizzazione in un contesto di inclusione, poiché le loro priorità – come si legge in una lettera di osservazioni in risposta alla decisione della rete – non erano “centrate sul netto raggiungimento di obiettivi scolastici, bensì più sulla continuità di un apprendimento di competenze trasversali come tra l’altro ritenuto prioritario nel piano Harmos anche per i primi due anni di scuola elementare ” (Osservazioni dei genitori sul rapporto PVS del 28.03.2019 alla commissione indipendente). Le loro richieste erano tanto più legittime considerando anche gli ultimi studi sull’efficacia dell’inclusione per lo sviluppo cognitivo dei bambini con sindrome di down, presentati fra l’altro nel ciclo di conferenze organizzate dal Dipartimento Formazione e Apprendimento (DFA) della SUPSI in collaborazione con ATGABBES (Associazione Ticinese dei Genitori e degli Amici di Bambini Bisognosi di Educazione Speciale) nel marzo 2016. Si veda in particolare la relazione della psicologa S. Buckely “Una scuola buona per tutti: educazione inclusiva ed efficace per bambini con sindrome di Down e disabilità cognitive”.
Per tentare di permettere a Nicola di proseguire il suo percorso scolastico in un contesto inclusivo – fino a quel momento molto positivo – i genitori, oltre ad aver inoltrato le osservazioni in forma scritta alla commissione indipendente, hanno cercato un confronto orale con la direzione della scuola elementare, il municipio e la sezione della pedagogia speciale, per trovare un compromesso: in particolare è stato chiesto se fosse possibile far nascere un progetto inclusivo (nel comune di residenza o nelle vicinanze), sulla scia di quelli che stavano nascendo in quegli anni in altri comuni del Cantone e di cui erano a conoscenza. È stato anche richiesto di poter dividere la prima elementare del comune di residenza in due gruppi per poter agevolare l’inclusione di Nicola. Le iniziative non hanno tuttavia avuto nessun seguito. Le responsabilità per la riuscita logistica del progetto venivano rimbalzate dalle parti.
Alla fine, la soluzione trovata per Nicola è stata quindi quella di frequentare le lezioni presso la scuola speciale di Molino Nuovo e, per tre mezze giornate, le lezioni alla scuola regolare del comune di residenza in una prima elementare di 25 bambini, senza nessun tipo di sostegno. Date le premesse, il “progetto di inclusione” (se tale può essere definito) è stato fallimentare: non si è trattato infatti di inclusione, ma piuttosto di un tentativo di “integrazione”, in cui si è chiesto a Nicola di frequentare due scuole, abituarsi a diverse figure di riferimento, e adeguarsi alle esigenze della classe di scuola regolare (di 25 bambini) senza beneficiare di alcun sostegno. Fatiche che non avremmo chiesto a nessun bambino normodotato di sette anni. La famiglia, in accordo con la scuola e in assenza di alternative inclusive, ha quindi deciso – dopo la seconda elementare – che Nicola frequentasse la scuola speciale a tempo pieno.
La storia di Nicola ci fa riflettere su due aspetti: la prima è che la scuola ticinese si sta muovendo nella giusta direzione di una scuola più inclusiva, e questo lo abbiamo scoperto leggendo regolamenti, seguendo conferenze e incontrando persone che lavorano nell’ambito dell’educazione speciale; purtroppo questa tendenza non è ancora diventata sistemica, e troppo spesso il percorso di un bambino o una bambina con bisogni educativi speciali dipende dalla disponibilità degli attori che si trovano sul campo: quindi dal caso, dalla fortuna. Esistono realtà comunali in cui progetti inclusivi – anche con bambini con sindrome di Down – esistono e funzionano molto bene; ma la mancata regolamentazione di questa procedura crea ulteriori discriminazioni e disuguaglianze all’interno della popolazione di bambini e bambine speciali in età scolare. L’auspicio è quindi che la pratica inclusiva diventi una procedura naturale che permetta a tutte e tutti di avere accesso a una scuola dalle pari opportunità, una scuola in cui relazionarsi con le diversità non dovrà più essere insegnato, ma semplicemente vissuto nel quotidiano.
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