Due anni di talebani al potere
L’emergenza umanitaria in Afghanistan è sempre più grave
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L’emergenza umanitaria in Afghanistan è sempre più grave
• – Redazione
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• – Redazione
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• – Lelio Demichelis
Vuole abolire la banca centrale, è contro l’aborto, favorevole alle armi per tutti e crede che vendere organi possa essere «un mercato in più»
• – Redazione
La strana proposta di un alto esponente dell’Alleanza Atlantica sta scuotendo l’Occidente
• – Redazione
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• – Yurii Colombo
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• – Federico Franchini
Morto a Milano a 93 anni - Fu il primo a intuire la società dei consumi con uno studio sulla lingerie in Italia
• – Redazione
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• – Redazione
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• – Aldo Sofia
Da Valigia blu
Era il 17 agosto 2021 quando, a due giorni dalla caduta di Kabul, in una conferenza stampa i talebani promettevano che avrebbero protetto i diritti dei media e delle donne. “I media privati possono continuare a essere liberi e indipendenti. Possono continuare le loro attività”, aveva dichiarato il portavoce dei talebani Zabihullah Mujahid, aggiungendo: “Permetteremo alle donne di lavorare e studiare”. A due anni di distanza dalla presa del potere e da quelle dichiarazioni, il paese è precipitato ormai in una spirale di repressione, e attraversa una delle peggiori crisi umanitarie al mondo.
Secondo la ACLED (Armed Conflict Location and Event Data Project), ci sono stati oltre 1000 episodi di violenza contro i civili da parte dei talebani, nel periodo che va dalla caduta di Kabul al 30 giugno scorso. Il dato pone il regime talebano tra i primi governi o Stati de facto autori di violenze contro la popolazione, secondo solo alla giunta militare del Myanmar. Un rapporto di Amnesty International dello scorso giugno ha invece messo in evidenza la pratica delle punizioni collettive in quelle zone dove si è concentrata maggiormente la resistenza ai talebani, come il Panshir. La lista di crimini di guerra e violazioni del diritto internazionale commesse nella regione è impressionante, denuncia Amnesty: torture, esecuzioni, cattura di ostaggio, incendi e detenzioni arbitrarie.
Secondo Human Rights Watch, la repressione dei diritti in Afghanistan sta colpendo in particolare donne e bambini. Dall’insediamento del regime, le autorità talebane stanno negando a donne e ragazze “il diritto all’istruzione, al lavoro, al movimento e alla riunione”. Il 20 dicembre 2022 è stato imposto il divieto alle donne di accedere alle università, scatenando numerose proteste nei campus. Pochi giorni dopo, il 24 dicembre 2022, è stato annunciato il divieto per le donne di lavorare con le organizzazioni non governative locali e internazionali, tra cui le Nazioni Unite. Ciò ha danneggiato gravemente i mezzi di sostentamento delle donne, rendendo praticamente impossibili i processi di monitoraggio della loro condizione.
“Le politiche misogine dei Talebani mostrano un totale disprezzo per i diritti fondamentali delle donne”, ha dichiarato Fereshta Abbasi, ricercatrice sull’Afghanistan di HRW. “Le loro politiche e restrizioni non danneggiano solo le donne afghane che sono attiviste e difensori dei diritti, ma anche le donne comuni che cercano di vivere una vita normale”.
Aggiungendosi a decenni di guerra, eventi climatici estremi e disoccupazione diffusa, le restrizioni hanno contribuito a peggiorare la crisi alimentare nel paese. Secondo i dati a disposizione delle Nazioni Unite, oltre 28 milioni di persone, pari a circa due terzi della popolazione, necessitano assistenza umanitaria. Quattro milioni sono gravemente malnutrite; di queste, 3,2 milioni sono bambini sotto i cinque anni. “La popolazione afghana sta vivendo un incubo umanitario sotto il dominio talebano”, ha dichiarato Fereshta Abbasi. Per la ricercatrice, i governi attualmente impegnati con l’Afghanistan dovrebbero “fare pressione per invertire urgentemente la rotta e ripristinare i diritti fondamentali di tutti gli afghani, fornendo al contempo assistenza vitale alla popolazione.
Critica è anche la situazione della libertà di stampa. Il Committee to Protect Journalists ha documentato negli ultimi due anni un quadro sistematico di aggressioni, arresti arbitrari, perquisizioni domestiche e censure ai danni di giornaliste, in uno sforzo complessivo di repressione della libertà di stampa.
La direzione generale dell’intelligence (l’agenzia di intelligence dei talebani) ha inoltre chiuso varie testate e organi di stampa afghani, vietando ad alcuni media internazionali di trasmettere dall’interno del paese. Ai corrispondenti esteri sono invece applicate restrizioni sui visti. Nei due anni di occupazione almeno 64 giornalisti sono stati arrestati come rappresaglia per il loro lavoro. Tra questi c’è Mortaza Behboudi, cofondatore del sito di notizie indipendente Guiti News, in carcere dallo scorso gennaio.
Drammatica è la situazione dei numerosi giornalisti afghani fuggiti nei paesi limitrofi, come Pakistan e Iran. Molti di loro sono infatti bloccati in un limbo burocratico e si trovano con i visti in scadenza. Il rischio è che non riescano a ottenere alcun tipo di protezione umanitaria, e che quindi possano essere deportati in Afghanistan.
La Direzione generale dell’intelligence ha finora avuto un ruolo centrale nella repressione della libertà di stampa Le poche testate indipendenti, come Ariana News e TOLO News, devono fronteggiare pressioni politiche ed economiche, e chi opera dall’esilio deve confrontarsi col rischio di possibili ritorsioni. Un altro obiettivo delle autorità sono le piattaforme di social media, con provvedimenti che hanno preso di mira i canali YouTube, mentre è al vaglio la messa al bando di Facebook.
Secondo il CPJ, i governi stranieri dovrebbero velocizzare i processi di rilascio visti e reinsediamento, fornendo sostegno ai giornalisti afghani in esilio. Dal 2021, proviene infatti dall’Afghanistan il maggior numero di giornalisti che riceve sostegno dall’organizzazione. Il CPJ, infine, ha in questi giorni chiesto alle autorità talebane di arrestare “l’incessante campagna di intimidazione dei media e di rispettare la promessa di proteggere i giornalisti in Afghanistan”.
Nell’immagine: talebani durante la loro prima conferenza stampa dopo il ritorno al potere
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