Un tribunale di periferia sempre più internazionale
Criticato da molti per la sua posizione lontana dai centri, il Tribunale penale federale di Bellinzona compie 20 anni
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Criticato da molti per la sua posizione lontana dai centri, il Tribunale penale federale di Bellinzona compie 20 anni
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Occorre fare qualcosa per rianimare (e aiutare) la nostra magistratura: per esempio domani…. - Di Michel Venturelli
• – Redazione
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• – Redazione
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• – Redazione
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• – Silvano Toppi
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• – Redazione
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• – Redazione
Alle elezioni amministrative secca sconfitta del ‘sultano’ che lo scorso anno sembrava imbattibile con la riconferma alla presidenza
• – Aldo Sofia
Criticato da molti per la sua posizione lontana dai centri, il Tribunale penale federale di Bellinzona compie 20 anni
Il TPF ha preso ufficialmente vita il primo aprile del 2004, con l’idea di meglio definire le responsabilità tra Cantoni e Confederazione e di rendere più efficace il perseguimento della criminalità organizzata e dei grandi crimini finanziari. Non è uno scherzo: il tribunale a cui compete il giudizio sugli affari criminali svizzeri di respiro internazionale ha preso sede nella piccola, periferica e italofona Bellinzona. Opposta alla più centrale Aarau, la candidatura ticinese fu preferita nel 2002 dal Parlamento federale in un’ottica di distribuzione regionalista della giustizia. Una scelta che fece storcere il naso a diversi addetti ai lavori confederati: per molti non è tuttora concepibile il fatto che le tre corti del tribunale (Corte penale, Corte dei reclami penali e Corte d’Appello) si trovino lontane dai centri finanziari e dai luoghi in cui operano procuratori, giudici e avvocati esperti in casi transnazionali. La prospettiva di una carriera a Bellinzona, inoltre, avrebbe fatto sì che il posto di giudice presso una di queste corti non fosse particolarmente attrattivo per molti candidati validi della Svizzera tedesca e romanda.
Viaggi e soggiorni in Ticino sono scomodi anche per i giornalisti. Fatta eccezione per casi di grande impatto mediatico, come ad esempio quelli legati alla FIFA, è vero che gran parte dei dibattimenti passa piuttosto inosservata. Se non ci fosse l’encomiabile presenza dei colleghi dell’ATS poco si saprebbe di casi che, pur senza essere glamour, hanno un evidente interesse pubblico. Il principio fondamentale della pubblicità della giustizia rischia così di venir meno. Di recente la giornalista romanda Fati Mansour, storica penna di giudiziaria per il giornale “Le Temps”, ha ribadito come “installare il TPF a Bellinzona non è stata una buona idea”. Una critica che dovrebbe fare riflettere molto anche la stampa ticinese che, nonostante abbia un’istituzione di questa importanza a chilometro zero, diserta spesso i casi che non toccano l’orticello nostrano. Ne è un esempio il processo per crimini contro l’umanità nei confronti dell’ex ministro dell’interno del Gambia, Ousman Sonko. Durante i primi giorni, lo scorso gennaio, il dibattimento è stato seguito da vari giornalisti provenienti da tutta la Svizzera e da varie testate internazionali. Nessun collega ticinese era però presente, ciò che non ha mancato di suscitare qualche comprensibile battuta da parte dei colleghi confederati.
Il TPF si è distinto come un luogo importante della giustizia elvetica, con codici a volte formali ma sicuramente professionali. I casi d’interesse non sono certo mancati: in questi vent’anni da Viale Franscini sono passati terroristi, mafiosi, corrotti, corruttori, dirigenti d’impresa, miliardari, funzionari, banchieri, criminali di guerra e truffatori d’alto rango. Certo, non sono mancate le figuracce (si veda il filone tedesco dello scandalo FIFA evaporato dalla prescrizione), i problemi interni o le tensioni con il Ministero pubblico della Confederazione. Rispetto ai primi tempi dove si attendevano le cause, i dossier oggi non mancano. Nei prossimi mesi saranno giudicati Dinara Karimova, figlia dell’ex presidente uzbeco, un ex dipendente del gigante ginevrino delle materie prime Gunvor, la società di trading petrolifero Trafigura e alcuni suoi dirigenti e il presunto criminale di guerra siriano Rifaat al-Assad.
Per evitare di dare l’impressione – descritta da le Temps – di essere un’istituzione un po’ fuori dal mondo e in cui i giudici si dimostrano poco sensibili alle sfide di alcuni casi fuori dall’ordinario, va però detto che anche lo stesso TPF potrebbe fare qualche sforzo in più. Ad esempio, nel già citato processo contro Ousman Sonko, condotto in tedesco, il tribunale non ha previsto la traduzione integrale per l’accusato, le vittime e i giornalisti gambiani venuti a Bellinzona.
Se si vuole essere un’istituzione capace di affrontare questioni che oltrepassano le frontiere nazionali e che hanno un impatto importante in altri paesi e nella giurisprudenza internazionale, Bellinzona potrebbe investire in qualche piccolo accorgimento tecnico. In altri Paesi europei, nell’ambito di processi legati alla giurisdizione universale, sono infatti previste non solo delle traduzioni integrali ma anche delle ritrasmissioni in streaming. Per i suoi vent’anni, il TPF potrebbe insomma farsi un bel regalo: diventare un poco più moderno.
Nell’immagine: il NYT a Bellinzona c’è. I giornalisti ticinesi no
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