I diritti storti di Zelensky

I diritti storti di Zelensky

Quel che non si dice dell’Ucraina


Silvano Toppi
Silvano Toppi
I diritti storti di Zelensky

I diritti sono diritti, in particolar modo quelli umani. Non ci può essere il pretesto della difesa di un diritto per renderli storti, per negare, vietare, contrastare un altro diritto: è di per se una assurdità o è perlomeno una perdita di credibilità.

Si sa per quali motivi o per quale difesa di diritti si è con l’Ucraina e non con la Russia, con Zelensky e non con Putin. Se si tenta tuttavia di discutere sul se, sul ma, sul come, per molti o per chi comanda è già arrendevolezza, subdolo passaggio di campo, tradimento, pacifismo o neutralità segnati da ambiguità, incoerenza o opportunismo. 

Ne deriva  un paradossale divieto a interrogarsi sull’irragionevolezza del tutto. Ed è già una privazione implicita di un diritto. Che porta poi all’assiomatica impossibilità di scendere a trattativa, nonostante un conflitto che miete vittime umane con distruzioni a non più finire, nell’attesa, sempre assurdamente protratta- con l’afflusso di nuove armi o di nuovi candidati alla morte o la nutrita certezza di riconquiste e  della pronta ricostruzione per i superstiti grazie a fondi raccolti con iniziativa svizzera- che   ci saranno  solo  vittoria (nostra) e sconfitta (loro).

I  diritti dei padroni più che  dei lavoratori

Ci sono però  altri diritti, ci sono  fatti, realtà, che non rientrano nella categoria proibita dei se dei ma e del come, e di cui non si parla. Riguardano anche direttamente Volodymyr Zelensky, grande difensore dei diritti dalle tribune più prestigiose del mondo (Stati Uniti, Europa, Svizzera, Qatar; e a quanto pare anche nell’imminente Festival di Sanremo). 

“Liberalizzazione, digitalizzazione e deregolamentazione saranno i fattori principali dell’ambiente economico d’Ucraina”: assicurava già al Forum economico di Davos  un anno fa (maggio 2022) il primo ministro ucraino Denys Shmyhal. Rassicurante per una certa parte, quella che conta. Lo ha riaffermato all’apertura della Conferenza internazionale sulla ricostruzione del paese, in ottobre.

Capita ora che proprio l’ultimo fattore, la deregolamentazione, sta suscitando in Ucraina la reazione dei sindacati. I quali denunciano che dopo l’invasione  russa  si è adottata e si è imposta una serie di leggi antisociali che riducono o penalizzano i diritti dei lavoratori. Grazie anche a una sorta di legge marziale.

 Queste critiche  sono ora arrivate anche alla Confederazione europea e internazionale dei sindacati. I quali in una lettera comune indirizzata alla Commissione e al Consiglio europeo accusano  la legge 5371 di “distruggere i diritti collettivi che sono al centro del modello sociale europeo”.  In concreto: la legislazione, da poco ratificata, esclude i lavoratori di imprese con meno di 251 salariati dal quadro giuridico del diritto del lavoro. Ogni occupato deve ormai negoziare un contratto direttamente con il datore di lavoro. Una disposizione che riguarda il 70 per cento degli occupati in Ucraina, che perdono così i benefici dei contratti collettivi o del settore.  Quindi, diritto concesso ai datori di lavoro  di licenziare come e quanto vogliono, ma anche di ordinare al personale (quasi necessità inevitabile) di fare delle ore supplementari “appena necessario”. Un’espressione che lascia ampio incontrollabile margine di manovra. 

C’è però di più. Il governo ha pure adottato una legislazione  che autorizza i datori di lavoro a sospendere il versamento dei salari se le circostanze della guerra lo giustificano. 

Lo scopo dichiarato: sostenere le imprese nella regione dell’est più colpite dalla guerra. “Ma in realtà è stato utilizzato in tutto il paese”, sostiene Vitalii Dudin, capo del consiglio dell’organizzazione Sotsialnyi Ruh (Movimento sociale, in ucraino), spiegando che la misura ha creato della disoccupazione nascosta, non registrata come tale, e che circa 100 mila ucraini sono stati colpiti da questa sospensione di salario.

Interrogativi sulla ricostruzione

Come spiegare questa politica antisociale? Dudin sostiene che la deregolamentazione è cominciata già prima dell’invasione russa.“Zelensky rappresenta gli interessi della piccola borghesia e dei piccoli padroni. Vuole liberarli dalle costrizioni che subiscono, non considera i diritti dei sindacati perché ritiene che non fanno altro che aggiungere altra burocrazia inutile”. Inomma, diritti uguale burocrazia.

Tuttavia, più globalmente, le organizzazioni sindacali europee sono allarmate e preoccupate perché temono che la ricostruzione dell’Ucraina sarà utilizzata per liberalizzare e deregolamentare a tutto tondo. Anche perché il partito di Zelensky dispone della maggioranza assoluta e di fronte all’Occidente della continuità di una sorta di “legge marziale”, “con nessuna possibilità per una ricostruzione equa e giusta mancando in pratica un’opposizione di sinistra o l’azione di una ONG influente” (commenta sempre Dudin).

Denys Gorbach (politologo, studioso da tempo dell’Ucraina, insegnante a Sciences Po a Parigi, interrogato sull’ultimo numero della prestigiosa  rivista “Alternatives economiques”) sostiene che Zelensky e il suo partito non hanno una ideologia chiara, e la loro linea è spesso mutata. Si trovano  d’accordo sulle teorie neoliberali per quanto riguarda il diritto del lavoro, sostengono però anche l’importanza del ruolo dello Stato in vari altri campi dove fa loro comodo. Di fronte a un paese da ricostruire, non è quindi improbabile che anche questa sorta di equilibrio…vada in frantumi”.

 Non una buona prospettiva (ma, in fondo, non è quanto è capitato con la Russia di Eltsin e poi di Putin o con altri Stati dell’Est europeo che pure sono membri dell’Ue?).

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