Politici luganesi e dichiarazioni ondivaghe e vagabonde
Torna in scena a Lugano, con una serie di dichiarazioni dall’aria elettoralistica, il tema dell’autogestione, senza alcuna contestualizzazione - Di Martino Colombo, avvocato
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Torna in scena a Lugano, con una serie di dichiarazioni dall’aria elettoralistica, il tema dell’autogestione, senza alcuna contestualizzazione - Di Martino Colombo, avvocato
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Torna in scena a Lugano, con una serie di dichiarazioni dall’aria elettoralistica, il tema dell’autogestione, senza alcuna contestualizzazione - Di Martino Colombo, avvocato
Nulla di buono sul fronte municipale, vien da dire leggendo le esternazioni degli esponenti dell’esecutivo di Lugano che nel corso dell’ultima settimana si sono esibiti in un carosello di pretestuosi esercizi declamatori a tema autogestione. Come puntualmente accade in occasione delle elezioni comunali, a qualche mese dall’appuntamento per le Cantonali la politica torna a discutere dell’argomento. Proposte sorprendenti su una possibile riapertura dell’ex Macello, elogi alla “buona” realtà giovanile e ordinarie critiche all'”autogestione irrispettosa“, auspici a prendere spunto da realtà come quelle presenti oltre Gottardo, tirate di orecchie, precisazioni e smentite, la solita ingiuriosa sequela di aggettivi sul Mattino della Domenica, inconsistenti proposte di voti consultivi e così via. A corredare le dichiarazioni dei politici, i comunicati stampa di alcune segreterie partitiche comunali.
Ad aprire le danze è la socialista Cristina Zanini Barzaghi con una lunga intervista a laRegione in cui, tra le altre cose, esprime il suo parere sulla situazione dell’autogestione a Lugano. La capodicastero Immobili – che inizia definendo impropriamente gli spazi dell’ex Macello “occupati” facendo astrazione dalla convenzione firmata nel 2002 da Città e Conisiglio di Stato con l’associazione Alba per la concessione a quest’ultima di alcuni spazi dell’ex Macello a titolo gratuito – dice che la demolizione è stata un trauma, si rammarica di non essere riuscita a portare all’interno dell’esecutivo i suoi argomenti, facendo riferimento in particolare alle realtà autogestite di Zurigo. Infine, Zanini Barzaghi afferma che “una parte dell’ex Macello si potrebbe già ora riaprire. Si può provare a riaprire un dialogo con una nuova modalità e concedere per qualche anno questi spazi”.
Sulla possibilità di mettere a disposizione gli spazi pubblici dell’ex Macello, la municipale Ps trova una tiepida apertura da parte del sindaco leghista Michele Foletti, il quale afferma che «l’autogestione, oggi, non è un tema» ma non esclude la possibilità di utilizzare l’ex Macello per una non meglio specificata «cultura spontanea». Nonché del vicesindaco Plr Roberto Badaracco che ricorda le proposte che sarebbero state avanzate in passato e aggiunge che “la necessità di uno spazio è evidente” ma “non solo per il Molino”: deve essere un posto dove permettere ai giovani di “fare cultura, concerti, dove poter anche solo trovarsi e socializzare”. Più cauta è invece la collega di partito e capodicastero Sicurezza, Karin Valenzano Rossi, che pone l’accento sul rischio di occupazioni e propone un voto consultivo senza una “formulazione precisa” ma, indicativamente sull’”eventualità di ricercare spazi per l’autogestione da parte della Città. […] Spetterebbe poi al Dicastero immobili trovare uno stabile da proporre. Anche la stessa autogestione, se si vedesse riconosciuta, troverebbe, immagino, una modalità di condivisione differente”. Dalle affermazioni dei membri dell’esecutivo si rileva poi, nel complesso, una generale soddisfazione per l’esperienza della Tour Vagabonde che si sta svolgendo alla Gerra.
La domanda sorge spontanea: per quali motivi questi spazi non potevano essere messi a disposizione subito dopo lo sgombero avvenuto nel giugno 2021? È facile presuppore che all’epoca non era presente in città una “frangia della scena culturale alternativa […] più incline al rispetto delle regole”, così definita dall’UDC luganese, a cui rivolgersi e formulare false promesse. Nemmeno con le recenti boutades ci si rivolge all’Assemblea del Molino e ciò è vero sulla base di almeno quattro considerazioni.
La prima è che nelle dichiarazioni (anche di Badaracco e Zanini Barzaghi, i due municipali “contrari” allo sgombero) spicca l’assenza di ogni riferimento a una realtà non solo culturale ma con anche delle rivendicazioni di carattere politico e sociale. Quelle per cui si è sempre battuta l’Assemblea del Molino, che vanno dall’antirazzismo alla lotta contro il sistema carcerario, passando per l’accesso al lago o alla creazione di un centro di prima accoglienza. Rivendicazioni oltretutto condivise anche da quelle realtà svizzere citate da Zanini Barzaghi.
La seconda considerazione si basa sul fatto che nei giorni successivi allo sgombero alcuni politici luganesi (non solo municipali: il granconsigliere liberale Fabio Schnellmann profuse molte energie in questa direzione) proposero di mettere a disposizione dell’Assemblea del Molino il depuratore di Cadro destinato alla chiusura. La proposta, dalla simbologia emblematica, è apparsa subito assurda e inconsistente, tanto che nel giugno 2021 il direttore del consorzio Erminio Della Torre diceva: “a noi degli autogestiti non è stato detto nulla, è una novità”. Era evidente già allora il tentativo di decentralizzare e isolare la realà che dà politicamente e socialmente fastidio, e ancora oggi si constata questa volontà.
Inoltre, e veniamo alla terza considerazione, gli esempi citati dai municipali (la Tour Vagabonde e i centri sociali di Zurigo, Berna e Ginevra) sono fuorvianti se non addirittura ipocriti, visto che se ne esaltano le qualità, si sottacciono le differenze e si dimenticano le peculiarità che le caratterizzano. Infatti, malgrado la Tour Vagabonde nel suo manifesto dichiari che essa “non si contrappone alle realtà culturali, istituzionali e non, che operano sul territorio; non risolve un problema cronico come la mancanza di spazi per la cultura dal ‘basso'”; dunque la Straordinaria è chiara: non siamo la soluzione, non siamo alibi, siamo complemenatari e non esclusivi rispetto ad altre realtà.
Tutavia, la classe politica luganese continua ad elogiarla, paragonandola alla – per loro più scomoda – esperienza dell’autogestione all’interno dell’ex Macello. Tanto da ipotizzare di concederle degli spazi fino ad oggi mai messi in discussione. Per quanto riguarda le realtà d’oltre Gottardo ricordate in più occasioni dai municipali, l’invito è ad andare a vedere, a titolo di esempio, il film “Züri Brännt” proprio alla Straordinaria proprio questa sera nel contesto dell’evento “Zurigo brucia, e Lugano?”. Un film che raccoglie immagini e momenti del periodo caldo delle rivolte e delle proteste in riva alla Limmat negli anni Ottanta: un poliziotto deceduto, centinaia di arresti e feriti, migliaia di manifestanti nelle strade. La situazione oggi si presenta radicalmente diversa, è vero, ma non si può pensare di applicare dall’alto ricette e soluzioni che sono scaturite da contesti specifici e che sono evolute negli anni attorno alle persone che vivono quelle realtà. È chiaro che i parametri del discorso sono ben diversi a Lugano e in Ticino, dove si grida allo scandalo in seguito a qualche scritta sui muri o all’occupazione temporanea di spazi abbandonati da anni.
La quarta ed ultima considerazione riguarda la necessità, espressa da Zanini Barzaghi, di trovare nuove modalità di dialogo; punto questo su cui l’esponente Udc Tiziano Galeazzi concorda. Eppure è da decenni che sulle colonne del Mattino della Domenica, diretto dal municipale legista Lorenzo Quadri, si leggono i più svariati insulti verso tutte quelle persone che hanno vissuto o sostenuto l’esperienza del Molino. Anche domenica scorsa il foglio di via Monte Boglia non si è risparmiato: al suo interno si trova uno sgrammaticato intervento di CIP&CIOP, in cui l’autore si lancia in invettive contro i “brozzoni autogestiti”, che vogliono solo “vandalizzare, brozzare e berciare”; definiti anche nel comunicato della sezione comunale leghista “figli di papà nullafacenti”. Su questo argomento, negli ultimi anni, si ricorda il generale silenzio da parte di tutte le forze politiche e in particolare la difficoltà della liberale Valenzanzo Rossi, in occasione di una trasmissione su Teleticino, a condannare l’uso del termine «brozzoni» da parte del collega in Municipio. Infine, si ricorda che è proprio l’UDC di Lugano che, spalleggiato dalla Lega, aveva lanciato la fallimentare iniziativa popolare “Adess Basta!”. Encomiabili esempi di apertura al dialogo. Non resta che condividere e ribadire il concetto espresso da Popper nel suo Paradosso della tolleranza: “difendere la tolleranza richiede di non tollerare l’intolleranza” e ricordare le centinaia e centinaia di attività organizzate negli anni all’ex Macello.
Tutto questo è avvenuto due anni dopo aver raso al suolo nottetempo un luogo che ospitava numerosi spazi di attività – una biblioteca, una palestra popolare, una sala prove e una cinema, una cucina, dei bar – modellati negli anni sulle esigenze delle persone che li frequentavano, pensati per essere accessibili e fruibili da chiunque e che hanno permesso a migliaia di persone di fare cultura e politica dal basso, partecipare a concerti e conferenze, o anche solo di trovarsi a socializzare. Le dichiarazioni di settimana scorsa ci dimostrano – se nuovamente ve ne fosse bisogno – tre aspetti.
Il primo è che gli spazi dell’ex Macello rispondevano a tutta una serie di esigenze e necessità: sgomberare e abbattere il tetto non ha fatto altro che rendere esplicita l’importanza di quei posti. In secondo luogo, appare ancora più chiaro che da parte del Municipio non vi è un reale interesse di riconoscere quello che è stata – ed è tutt’ora – la realtà autogestita che continua a vivere a Lugano e in Ticino, rivendicando spazi non solo per proporre forme di cultura o per socializzare, ma anche per sviluppare forme politiche e organizzative diverse e in contrapposizione a quelle dominanti. Infine, occorre necessariamente constatare che le autorità politiche non hanno mai capito – o più probabilmente non hanno mai voluto davvero capire – la realtà che hanno sgomberato dall’ex Macello.
Da un lato perché pretendere che l’offerta di un locale per la cultura alternativa possa bastare a soddisfare quei bisogni da cui è nata l’esperienza Molino è infatti sintomo della mancanza di una benché minima cognizione di causa – o peggio di una pura strumentalizzazione politica. Dall’altro perché dopo il misero fallimento della raccolta firme dell’UDC per l’iniziativa «Adess basta!», la liberale Valenzano Rossi ha saputo unicamente proporre un voto consultivo, parlando poi in modo vago di mandati e progetti da studiare nelle stanze del Dicastero Immobili: tutte modalità decisionali lontane anni luce dalla realtà del Molino, e che possono funzionare unicamente in contesti istituzionalizzati, senza nessuna rimessa in discussione dell’essenza stessa di tali istituzioni.
Nell’immagine: “l’ex Macello” prima della demolizione
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