Appunti sparsi sul partito smarrito
Il PLR dovrebbe fare i conti con una propria identità che di “radicale” non ha più nulla, votata com’è ad un neoliberismo antipolitico per definizione, perché rinnega i fondamenti stessi del liberalismo
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Il PLR dovrebbe fare i conti con una propria identità che di “radicale” non ha più nulla, votata com’è ad un neoliberismo antipolitico per definizione, perché rinnega i fondamenti stessi del liberalismo
• – Andrea Ghiringhelli
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Scoperto ed esposto, l’individuo finisce per addebitare le mancanze e i ritardi della politica direttamente alla democrazia, da cui non si sente più protetto. Ma un’altra visione del mondo è possibile. Ancora una volta, dipende da noi
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La "moneta virtuale", qualche opportunità ma molti rischi
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• – Spartaco Greppi e Christian Marazzi
Pubblichiamo un capitolo del nuovo saggio dello scrittore. Appello a palestinesi e israeliani perché cessino la guerra
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Il basilese Beat Jans ed il grigionese Jon Pult sono i due candidati scelti dal PS nazionale per la successione di Alain Berset in Consiglio federale
• – Redazione
Lo Stato di diritto, la sovranità popolare e la Costituzione, che traccia limiti oltre i quali non è lecito andare: sono i limiti dei diritti fondamentali e dell’assoluto rispetto delle minoranze e delle opinioni delle minoranze
• – Andrea Ghiringhelli
Il rischio che se ne vada Netanyahu ma non le sue idee
• – Aldo Sofia
Non deve illudere l’intervento “al miele” del capo del Cremlino al G20, il primo dall’inizio dall’aggressione all’Ucraina
• – Yurii Colombo
Il PLR dovrebbe fare i conti con una propria identità che di “radicale” non ha più nulla, votata com’è ad un neoliberismo antipolitico per definizione, perché rinnega i fondamenti stessi del liberalismo
C’erano insomma nel partito due “anime”, quella radicale progressista e quella liberale dello Stato minimo e del libero mercato, e c’erano uomini di grande cultura politica che si combattevano aspramente, ma nessuno si sognava di zittire con le banalità del calcolo di bottega chi dissentiva.
Il confronto fra le due “anime” alimentò la vita politica e più di una volta i radicali tolsero il disturbo e camminarono da soli. Dopo la scissione di inizio Novecento vi furono altri dissapori ma c’erano le idee: dai conflitti nascevano ponti e intese e non ostinate preclusioni.
Negli anni ‘80 e inizi anni ‘90 del Novecento le due anime si ritrovarono sulla rivista “Ragioni Critiche”. Si discuteva delle radici del liberalismo, del nuovo Stato sociale, delle scelte liberali per la società di domani, di macroeconomia, di grandi temi di cultura politica, ma con lo sguardo ben fisso sulla nostra realtà: si discuteva sul Centro Universitario da promuovere, sui problemi della giustizia, sulle questioni tributarie, sulle prospettive dell’economia ticinese e delle finanze pubbliche, sulla formazione e le scuole ecc. E chi dibatteva? Tanti ticinesi: da Buffi a Ratti, da Bolla a Salvioni, da Generali a Martinelli e molti altri. E vi ritroviamo gli interventi di illustri studiosi come Giovanni Sartori, Norberto Bobbio, Karl Popper, Luciano Canfora, Salvator Veca, Luigi Bonanate, e poi Jean Francois Aubert, Jeaan-Pierre Bonny, Carlo Sommaruga Non azzardo il raffronto culturale fra il presente e quella stagione di fervida cultura politica: il presente non regge il confronto.
Sul finire del secolo scorso quella stagione terminò e fu la svolta. Trionfarono alcune sciocchezze concettuali. Gli intellettuali organici ripeterono che le ideologie avevano fatto il loro tempo e basta – dicevano – con le divisioni destra e sinistra perché il mondo è cambiato e a contare è il sano pragmatismo e la “governance”. L’intellettuale organico del nuovo orientamento, con cui scambiai allora qualche vivace e garbata opinione, mi informò che le due “anime” avevano fatto il loro tempo e i radicali -troppo ideologizzati, troppo legati a visioni superate – si potevano considerare condannati dai tempi nuovi: erano diventati delle “anime morte”. Ne presi atto e me ne andai: infatti dovetti ammettere che a dominare nel partitone era la conversione all’unicità del pensiero neoliberista, quello della legge aurea dello sgocciolamento della ricchezza dall’alto verso il basso (un falso storico), antipolitico per definizione perché rinnega i fondamenti stessi del liberalismo. Era, tra l’altro, l’opinione del democratico Stefano Rodotà: non vi può essere libertà e equità sociale senza solidarietà. Oggi lo ripete Michael Walzer, uno dei più grandi pensatori liberali del nostro tempo: dubita che possa esistere un capitalismo liberale, fino ad oggi non si è visto.
Il partito liberale oggi è poco liberale e molto liberista. Come risolvere il paradosso? Forse ci vogliono politiche molto profilate che sappiano veramente offrire a tutti i cittadini dignità personale e benefici collettivi e sappiano sfuggire alle tentazioni populiste “di chi punta a destra perché la destra va alla grande”. Ci vuole forse il coraggio di una visione autonoma del futuro, ci vogliono forse delle idee forti che recuperino con coerenza un sapiente equilibrio fra libertà, giustizia sociale e solidarietà.
Ma dove è finita l’anima sociale, pubblica e interclassista del partito? Come riaprire il dialogo con l’elettorato liquido? Come diventare propositivo e profilato? Un umile suggerimento di un trascurabile osservatore di cose politiche. Forse sarebbe utile adottare le procedure della democrazia dibattimentale: che si costituiscano dei gruppi di discussione rappresentativi dei vari ceti sociali, che si dibatta con vigore recuperando le “anime” cancellate dal pensiero unico, che si prenda atto che forse la legge aurea fu una bella idea ma generò enormi disastri che oggi stiamo pagando. Forse sarebbe utile seguire questa strada per ricostruire un progetto di futuro con al centro l’uomo. Forse sarebbe utile per cercare di ridare contenuti all’aggettivo liberale che tutti impiegano (tutti si dicono liberali) ma che ha smarrito la via. Forse sarebbe utile per recuperare un pochino di quell’elettorato liquido che nei partiti, dati alla mano, crede sempre meno.
Sarebbe già un bell’avvio, ma, lo so, è il sogno di un illuso. Perché i nostri politici, non tutti, ma parecchi, sono come i giovani pesci della storiella di Foster Wallace: ci sono due giovani pesci che nuotano e a un certo punto incrociano un anziano che va nella direzione opposta e dice: – Salve ragazzi, com’è l’acqua? – I due giovani continuano a notare e poi uno fa all’altro: – Che cavolo è l’acqua? -. Insomma: le realtà più ovvie e importanti sono spesso difficili da cogliere e ignorate se manca la consapevolezza. In politica è un problema.
Articolo pubblicato da laRegione
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