La trave e la pagliuzza
Partiti, famiglie e parabole elettorali in un Cantone che a volte assomiglia a un condominio
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Partiti, famiglie e parabole elettorali in un Cantone che a volte assomiglia a un condominio
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Partiti, famiglie e parabole elettorali in un Cantone che a volte assomiglia a un condominio
Uno degli espedienti maggiormente adottati (ed abusati) nella politica, specie se è quella in campagna, consiste nel ricorrere costantemente al discorso della montagna, quello che sta nel Vangelo secondo Matteo, in cui Gesù esorta a non giudicare severamente gli altri senza prima aver esaminato, con lo stesso metro, sé stessi. Insomma, è la parabola della pagliuzza nell’occhio altrui e della trave nel proprio.
È una sorta di meccanismo automatico che nutre la retorica elettoralistica ( e non solo) nell’addebitare agli altri (ad altra parte politica o partitica) pratiche che in verità appartengono paro paro anche al proprio schieramento, oppure di puntare il dito su dinamiche interne alla corsa al voto degli altri, senza dire che anche in casa propria le cose funzionano allo stesso modo, càpitano in modo speculare.
Prendiamo il “Mattino” di ieri, in cui lo zio Cip di Corticiasca lancia i suoi sarcastici strali contro il “Califfato di Lumino”, ovvero – per il domenicale leghista – il peso politico determinante detenuto, in casa PS, dalla famiglia Carobbio (padre e figlia). Con la consueta pesante ironia l’articolo entra nel merito delle scelte dell’area rossoverde, indicando neanche troppo sottilmente come i disegni strategici del PS per andare al voto l’anno prossimo dipendano, in fin dei conti, dalla volontà di padre Werner e figlia Marina, sempre più in odore di candidatura per il Consiglio di Stato, per affiancare (o contrastare?) quella che potrebbe essere l’inesorabile ascesa verde di Greta Gysin.
Insomma, fra tante belle parole programmatiche, parrebbe, per il grufolante “Mattino”, che nell’area progressista si pensi in fondo solo al potere, alla cadrega, facendosi le scarpe gli uni con gli altri.
Intanto però ci si dimentica di ricordare (anzi, non se ne è mai fatto cenno) che in casa leghista, non più tardi di un paio di mesi fa, si è praticamente deciso di far fuori un proprio Consigliere di Stato (Claudio Zali) sparando bellamente sulla “sua” tassa di collegamento e soprattutto approfittando del congresso UDC per mandarci Gobbi ( che ha pure quella tessera partitica) a dire che la Lega deve aprirsi ad una prospettiva che preveda in Consiglio di Stato anche un rappresentante dell’altra destra ( senza troppi giri di parole, Norman al proprio posto e Marchesi al posto di Zali).
Può forse essere opportuno ricordare al biodegradabile foglio domenicale, che lo stesso Claudio Zali (per niente convinto, e ti credo, dell’alleanza Lega-UDC) era parso perlomeno sorpreso di fronte ad una simile prospettiva e che la sua prima esternazione era stata, papale papale “Con alleati come questi non ho bisogno di nemici”. E può anche essere di una certa utilità far presente che con quel tiro al piccione si è fra l’altro rinunciato a circa 18 milioni di introiti per lo Stato prodotti dalla tassa di collegamento. Ma che problema c’è: non è ancora entrata in funzione, e dunque non si rinuncia a niente, per dirla con Marchesi e le sue argomentazioni da capogiro.
Certo, si può dire che quell’aria un po’ da Far West non è nuova dalle nostre parti, men che meno in zona campagna, men che meno in prossimità di Via Monte Boglia, dove, ma tu guarda, per decenni ha dominato la scena una sola persona, il pistolero Giuliano Bignasca, affiancato da un fratello “Conte zio” ed ora sommessamente rappresentato dal figlio Boris, capogruppo a Lugano e Granconsigliere a Bellinzona, di mestiere, come il padre, imprenditore, con propensioni inedite (pare già sfumate) verso l’impreditoria sindacale. Ma questa è tutta un’altra storia (di famiglia), naturalmente.
È il Ticino claustrofobico che ben conosciamo e in cui tutti, quando non sono parenti, perlomeno si conoscono, direttamente o indirettamente; un grande condominio con i suoi classici ed epici scontri per il parcheggio o la lavanderia.
Ma sarebbe poi anche un territorio, un Cantone, che ha e dovrebbe poter continuare a meritarsi di più, a cominciare, magari, dal fatto che politicamente si cominci a parlare di visioni, idee di futuro, che non siano quelle tristi e rozze, lette ancora ieri sul “Mattino” per cui la crisi energetica (globale) che ci aspetta dal prossimo autunno potrebbe facilmente essere risolta cacciando dalla Svizzera tutti gli stranieri (che consumano e accendono la luce o il gas a sbafo).
Idee e progetti che prevalgano sui mal di pancia e sui calcoli elettoralistici, che riallaccino un rapporto fra politica e società civile. Fra una pagliuzza ed una trave non va dunque nemmeno eluso il fatto che per opporsi ai gastrici proclami della destra populista ( che riesce pure a dare del populista al fronte rossoverde) ci andrebbe, a sinistra, un po’ più di coraggio, uno slancio “ideale” (si diceva una volta) che si manifesti non necessariamente per conquistare un ipotetico secondo seggio in CdS, ma per affermare un modo diverso di “fare politica”.
Nel centenario dell’entrata in governo cantonale, il PS potrebbe interrogarsi sul fatto se sia davvero una necessità assoluta che proprio quello del posto in Governo rimanga e debba essere il primo obiettivo della propria azione e potrebbe magari provare a lanciare un segnale che nell’alleanza con i Verdi (e con altre forze, di sinistra) vi sarebbe pure la possibilità di dare al Paese una sostanza programmatica nuova, non per ritrovarsi a litigare sulle formule elettorali, ma per rispondere, senza i soliti compromessi, ad una politica populista dominante che sta trascinando il Cantone in una pericolosa deriva sociale, economica, culturale.
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