Le prime mosse di Biden
America is back, con la forza militare e il pugno duro
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America is back, con la forza militare e il pugno duro
• – Andrea Vosti
Da tre settimane oltre 2.000 morti al giorno; una strage di Stato, denuncia l’opposizione; e il resto del mondo tace
• – Redazione
Netanyahu potrebbe cercare il sostegno di un partito islamista che definì “terrorista”
• – Aldo Sofia
I paladini della privatizzazione sono diventati statalisti, ma sempre per riempirsi le tasche
• – Marco Züblin
Era lì da decenni a far su e giù. AlpTransit lo ucciderà
• – Rocco Bianchi
Pechino è il terzo partner mondiale della Confederazione, che fa poco o nulla per denunciare le gravi violazioni della Cina sui diritti umani
• – Aldo Sofia
• – Franco Cavani
Migliaia di messaggi ieri in una manifestazione virtuale per dire no al virus e sì alle misure di contenimento
• – Riccardo Fanciola
Issare il sommo poeta ancor più sul piedestallo aiuta a farlo amare e capire?
• – Enrico Lombardi
30 anni fa cominciava la guerra nei Balcani. Tragico simbolo, Sarajevo. Dzemil vi perse il fratello ancora bambino. Lo cerca in migliaia di foto ottenute dai reporter di guerra
• – Simona Sala
Vladimir Putin è un assassino. I comportamenti della Cina costituiscono una “minaccia globale”. Il principe ereditario saudita Mohammad bin Salman – secondo un rapporto della CIA declassificato su ordine del presidente – è il mandante dell’omicidio di Jamal Kashoggi e un interlocutore sgradito.
Chi pensava che nei suoi primi cento giorni alla Casa Bianca il vecchio Joe Biden si sarebbe mosso in politica estera con i guanti di velluto è stato decisamente smentito. Le relazioni con la Cina di Xi Jinping da fredde sono diventate glaciali, a dimostrazione della rissa verbale – oltretutto sotto l’occhio delle telecamere – andata in scena all’inizio del primo incontro bilaterale di Anchorage tra i rispettivi capi della diplomazia. Con Anthony Blinken a denunciare le violazioni dei diritti umani nello Xinjiang, in Tibet e a Hong Kong, e con la delegazione cinese a rinfacciare agli americani il razzismo sistemico negli Stati Uniti. Diplomazia da Far West insomma, alla faccia del protocollo e della prudenza, che si innestano sulla guerra commerciale e tecnologica avviata da Donald Trump. Il confronto tra le due superpotenze economiche si preannuncia molto duro.
Con Putin il presidente statunitense si è spinto addirittura oltre. Rispondendo a una domanda del giornalista di ABC George Stephanopoulos che gli chiedeva se Putin fosse un killer, Biden ha annuito, prima di proferire – con sconcertante candore – un convinto “yes, I do”. Certo, l’inquilino della Casa Bianca ha voluto indicare una netta inversione di rotta rispetto alla compiacenza (per alcuni sudditanza) di Trump verso lo zar del Cremlino, ma sono in molti a chiedersi l’utilità pratica di un simile attacco. Soprattutto quando in ballo c’è il rinnovo del trattato New Start sulla non proliferazione nucleare. Senza dimenticare che Putin resta un interlocutore indispensabile su numerosi fronti dello scacchiere internazionale, come in Medio Oriente.
E proprio in Medio Oriente la nuova amministrazione americana ha impresso la svolta più clamorosa e forse più avventata: dapprima con l’annuncio dello stop al sostegno bellico all’Arabia Saudita in Yemen; quindi con il raid punitivo contro due basi utilizzate da miliziani filo-iraniani in Siria; infine con l’ordine di togliere i sigilli al rapporto della CIA sull’omicidio Khashoggi che inchioda il principe bin Salman, erede al trono saudita e di fatto reggente plenipotenziario del principale alleato arabo di Washington nella regione. Non proprio il modo più pragmatico per conseguire due obiettivi dichiarati della presidenza Biden: contenere l’influenza dell’Iran in Medio Oriente e riportare Teheran al tavolo dei negoziati sul suo programma nucleare.
Insomma, il trionfalistico “America is back!” con il quale Biden aveva voluto consegnare ai libri di storia la parentesi Donald Trump sembra per ora prendere forma nel ritorno del multilateralismo e dell’attenzione per il clima e per i diritti umani, con gli alleati di Washington – dall’Europa al Giappone – che tirano un sospiro di sollievo dopo quattro anni di imprevedibilità firmata America First. Per il resto, le prime mosse del nuovo presidente sembrano essere in linea con il tradizionale interventismo americano, in cui la forza militare e il pugno duro vengono giustificati – e talvolta impiegati – come surrogati della diplomazia.
Andrea Vosti è autore di “America First”, Armando Dadò editore
Fino a oggi non si ha notizia di alcuna iniziativa che faccia luce su un’operazione quantomeno discutibile, malgrado le aspettative degli investitori danneggiati, dell’opinione...
Il commento di Daniel Ritzer sui fatti di Mendrisio, per gentile concessione de laRegione