Trump e i repubblicani, scatta la resa dei conti
Non si sono mai amati, Donald Trump e Mitch McConnell. Per quattro anni i due uomini più potenti del partito repubblicano hanno portato avanti – con discreto successo e...
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Non si sono mai amati, Donald Trump e Mitch McConnell. Per quattro anni i due uomini più potenti del partito repubblicano hanno portato avanti – con discreto successo e...
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Non si sono mai amati, Donald Trump e Mitch McConnell. Per quattro anni i due uomini più potenti del partito repubblicano hanno portato avanti – con discreto successo e turandosi reciprocamente il naso – un’alleanza di interessi con un unico fine: la preservazione e l’esercizio del potere.
E quando questo potere è scivolato via, con la contestata ma inequivocabile sconfitta dell’ex presidente nelle elezioni di novembre, e con la perdita della maggioranza al senato nello storico ballottaggio in Georgia (dove i democratici non vincevano un seggio senatoriale dal 2000), era inevitabile che i nodi venissero al pettine. Soprattutto dopo l’inaudito assalto a Capitol Hill del 6 gennaio, che ha messo l’establishment repubblicano di fronte a un dilemma esistenziale: e ora che ce ne facciamo di Donald Trump, istigatore dell’attacco al simbolo della democrazia americana? Coccoliamo il presidente defenestrato per il timore di perdere la sua fedelissima base elettorale oppure approfittiamo dell’onta per l’assalto e lo scarichiamo?
Durante il processo di impeachment per “istigazione all’insurrezione” il leader del GOP al senato McConnell ha cercato di tenere cinicamente il piede in due scarpe: da una parte – dopo aver illuso con la scaltrezza della vecchia volpe il fronte democratico – ha votato contro la messa in stato di accusa di Trump, decretando di fatto il fallimento del processo di postuma destituzione; dall’altra, con spericolato contorsionismo, ha approfittato dell’occasione per accusare l’ormai ex alleato di essere «praticamente e moralmente responsabile» per l’insurrezione del 6 gennaio.
Trump non l’ha presa affatto bene e – come è nel suo stile – ha deciso di passare al contrattacco, uscendo dal suo isolamento e scatenando una guerra frontale con McConnell, definito un «furfante della politica, privo di visione, saggezza, talento e di personalità» ed esortando i repubblicani a scaricare il «loser», il perdente. La resa dei conti dentro il partito fra trumpisti ed establishment moderato è dunque solo alle prime scaramucce, ma l’obiettivo dell’ex presidente è chiarissimo: tenere stretto il controllo su un partito in crisi di identità in cui nessuno può competere con la personalità e popolarità di Donald Trump.
Ma l’ex tycoon ha anche un altro motivo per non voler perdere lo scudo politico del partito repubblicano: i suoi guai giudiziari non sono finiti con l’assoluzione al senato. La procura distrettuale di Manhattan sta indagando da tempo sulle sue finanze, in Georgia i procuratori stanno investigando il tentativo di Trump di ribaltare il risultato elettorale, mentre alla Camera un deputato democratico ha intentato la prima causa civile per le responsabilità di Trump nell’assalto al Congresso.
Insomma, sotto attacco su più fronti, Donald Trump seguirà i suoi istinti e farà di tutto, anche ricorrendo ai colpi bassi, pur di vincere la battaglia intestina per il controllo del partito: la notte dei lunghi coltelli, tra le fila repubblicane, è soltanto all’inizio.
Andrea Vosti è autore di “America First”, Armando Dadò editore
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