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• 30 Dicembre 2021 – Enrico Lombardi
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Siamo ancora qui a parlare di scarpe, scarpe vecchie (anzi: antiche), e al modo in cui i politici si occupano della cultura, calpestandola con le loro scarpe grosse.

In tempi come quello che stiamo vivendo, in cui è veramente difficile non accusare un certo disagio, magari sconforto, per un’altra fine d’anno in clausura, in quarantena, mascherati e silenti, un po’ nervosi e un po’ depressi, a rimuginar bocconi amari pre o post festivi, non si è certo troppo predisposti ad assecondare suadenti inviti a procedere “soft”, con leggerezza, a piccoli passi, in punta di piedi. Anche perché quest’anno di questioni che ancora bruciano, dalle nostre parti, ce ne sono non poche, e ci vorrebbe in verità ben altro che un tampone (soft, anche lui) per farsene una ragione.

A tamponare sta provvedendo da tempo ormai non solo lo splendido personale paramedico di centri sanitari e farmacie, ma sul piano delle decisioni politiche, in prima fila, come un sol uomo, il Municipio di Lugano, che fa, disfa e poi rattoppa come può, non senza malcelato fastidio, su scelte e decisioni che non di rado paiono stravaganti, incomprensibili, indigeribili.

In quest’ultima categoria, inutile sottolinearlo, continua a crepitare, come brace sotto la cenere di un decreto d’abbandono, e a ravvivarsi in fiamme e fuoco com’è capitato ieri sera, la vicenda dell’ex-Macello, sepolcro imbiancato di una gestione del “caso autogestione” che si camuffa alla bell’e meglio da claudicante malinteso; in attesa di una seria verifica e di una presa di posizione della Sezione Enti Locali, siano intanto tutti invitati a voltar pagina, volgendo lo sguardo alla piazza brulicante di finti chalet natalizi in bella schiera accanto all’alberone che si innalza verso l’infinito e oltre, là verso il ginocchio della costellazione dei gemelli, dove brilla Borrastar, la stella di nome Marco, “comprata” dal Municipio per le feste.

Per la cronaca e per la precisione, il cielo non è (ancora) in vendita anche se molte organizzazioni offrono stelle a prezzi stracciati. Solo l’Unione Astronomica Internazionale può attribuire il nome ad una stella, a patto che il nome sia quello di chi l’ha scoperta. Ma amen, sono dettagli; l’importante è costellare la città di cartelloni che augurano Buone Feste in nome della stella chiamata Marco, da contemplare possibilmente ascoltando “In ginocchio da te”.

Allo scomparso Sindaco, evocato in qualsiasi circostanza anche e soprattutto post mortem come artefice di ogni benemerita iniziativa ed ogni complicata decisione (Macello compreso) si sono già attribuite pressoché tutte le virtù cardinali, in attesa di intitolargli non solo il primo premio della Stralugano, ma anche almeno una piazza, poi il nuovo stadio e magari un giorno anche il lago, chissà, non ci sono limiti alla fantasia dei politicanti.  Ad un certo punto, detto sottovoce, in modo molto soft, varrebbe poi anche la pena di lasciarlo finalmente in santa pace, per rispetto, vero e profondo, nei confronti della sua memoria. Ma è ancora troppo presto, a quanto pare, poiché intanto la sua stella ancora illumina pensieri, parole e fatti del Municipio.

Quelli, ad esempio, che hanno portato alla decisione di trasformare la bella e prestigiosa Villa Heleneum di Castagnola in “Museo della scarpa”, affidandone la gestione alla Fondazione Bally, che vi trasferirà, dal canton Soletta (dove languiva da anni, prima di essere chiuso), non solo la propria collezione storica di calzature ma anche uffici e sale di rappresentanza (si vede che gli impiegati amano la vista lago e i locali prestigiosi, la sede attuale all’USI non essendo degna del loro genio creativo).

Ne abbiamo già parlato sulla nostra zattera, la scorsa estate, quando la notizia era trapelata, non senza suscitare sorpresa e perplessità. Ci ritorniamo sulla scorta di due nuovi eventi. Anzitutto le schermaglie politiche, in Consiglio Comunale, fra interrogazioni ed interpellanze inoltrate da un gruppo socialista capeggiato da Aurelio Sargenti ed il capo dicastero Cultura Roberto Badaracco, finite martedì in “cronaca” sulla “Regione” con un’ intervista incrociata che pare non appianare proprio nulla nel contrasto fra chi, come fa Sargenti legittimamente, chiede come sia possibile destinare una sede museale cittadina, pubblica, tanto pregiata, ad una simile utilizzazione, e dall’altra il Municipale, che parla di “accanimento” contro una scelta che egli ritiene ponderata, oltre che dotata della superiore legittimazione derivante dall’imprimatur del defunto Sindaco.

A chi proprio ne avesse tempo e voglia, si potrebbe suggerire di andare nel sito della Città e leggersi i verbali delle sedute del Consiglio Comunale per intuire che ancora una volta non ci si trova di fronte ad una decisione chiara e chiaramente condivisa, tutt’altro. Di fronte alle domande, il Municipio dice che la decisione è di sua sola competenza e che il legislativo non ha nulla da dire sul tema, “e più non dimandare”; insomma, una specie di sfoggio di dignità offesa, appunto quando non si hanno risposte decenti da dare. L’edificio non è in locazione (ma, pare di capire, in comodato d’uso; quindi, gratis?), e anche se lo fosse – notare la logica dell’argomentazione – il canone sarebbe inferiore a 250’000 franchi l’anno, quindi fuori dalla competenza del CC; il vincolo museale dell’edificio sarebbe rispettato, anche se le scarpe sarebbero esposte in una parte minima dell’edificio, per il resto occupato da uffici privati e da sale di rappresentanza. Sembrerebbe di sognare, se non fossimo a Lugano, che in cultura e altrove ci ha abituati al peggio, alla disinformazione e all’improvvisazione.

E poi: se si pensa, solo così per dire, che il progetto alternativo bocciato, quello di collocare a Villa Heleneum una prestigiosa collezione di arte orientale, era sostenuto da un centinaio di firme “eccellenti” fra cui Mario Botta, Sergio Ermotti, Marco Solari, Giampiero Casagrande, ecco che viene da chiedersi come sia poi possibile giustificare la soluzione calzaturiera in base alle “competenze interne all’amministrazione, e in particolare delle Divisioni Cultura (uffici istituzioni, patrimonio e sviluppo) e Gestione e Manutenzione.” (si veda la “Risposta all’interpellanza n.1240). Peraltro, nulla si sa dei progetti alternativi, ben chiusi nei cassetti del Municipio.

Insomma, pareri esterni non servono, sono inutili sassolini nelle scarpe, bastano quelli interni di Gestione e Manutenzione. Ma non si sta parlando di un progetto di “politica culturale” della città, dell’occupazione privata di una sede museale pubblica? Ah, ma già, anche il referente del Museo delle Culture Francesco Paolo Campione sarà stato interpellato. Sì, certo, ma poche settimane prima, alla Rete Due, aveva rivelato come la soluzione ideale fosse quella della collezione di arte orientale: non l’avranno avvertito, nel regno delle comunicazioni claudicanti va così.

Un ennesimo pasticcio? Vedremo, perché qui il convitato di pietra si manifesterà ben presto, anzi si è già manifestato, in modo anche piuttosto inquietante. Stiamo parlando del “Lifestyle Tech Competence Center”, roboante insegna sotto la quale accampano (in rete, naturalmente) aziende private ed istituzioni come USI e SUPSI, sotto la guida esperta del presidente Carlo Terreni, co-fondatore di Netcomm Suisse, agenzia specializzata in e-commerce (del fashion, ovviamente, scarpe comprese).

Terreni, per intenderci, è colui che nell’annuncio funebre che ha voluto pubblicare per la scomparsa di Marco Borradori ha pensato bene di fare un proprio comunicato promozionale scrivendo fra l’altro “Caro Marco, (…)  negli anni hai sostenuto l’Associazione NetComm Suisse e hai contribuito attivamente a creare il polo di ricerca e sviluppo LifestyleTech Competence Center credendo nel rilancio di Lugano e del Ticino attraverso l’innovazione, la tecnologia e le collaborazioni internazionali.  Molti dei successi ottenuti in questi anni dalla nostra Associazione, sono il frutto diretto della tua grande disponibilità «la parola giusta al momento giusto» e della tua determinazione nel sostenere progetti che reputavi importanti per il rilancio della nostra Città. Completeremo i progetti che insieme abbiamo avviato, ricordandoti con riconoscenza e affetto.”

Beh, adesso sappiamo che quel comune progetto, tanto voluto e sostenuto dal compianto Sindaco, s’ha da fare, sarà redditizio persino, per la filiera della tomaia fashion e dell’e-commerce, in barba pure alle preoccupazioni dei commercianti del centro cittadino e al recente e fragoroso tramonto della locale fashion valley.

Ma per quest’ultimo aspetto, ecco che arriva la “sorpresa soft”, il secondo motivo per cui tutto torna d’attualità, o forse tutto torna, e basta. In punta di piedi, senza presentazioni, lo scorso novembre, in Via Nassa ha aperto un grande negozio Bally. Ne ha dato notizia il “Corriere del Ticino” con un redazionale che, prevedibilmente, si presenta come un comunicato stampa promozionale: già dal titolo (“Con un ‘soft opening’ Bally sbarca in via Nassa”) è tutto uno sdilinquirsi sul nuovo punto vendita della grande azienda calzaturiera svizzera con sede a Caslano. Insomma, in punta di piedi, una vetrina per le scarpe nuove in centro; con un colpo di tacco, un’altra (denominata pomposamente museo) per quelle vecchie a Castagnola.

Tutta la storia puzza parecchio, e non solo di piedi; pare quindi un atto dovuto che gli Enti Locali (sì, gli stessi che dovrebbero dare un’occhiata alla questione dell’ex Macello), dietro segnalazione – l’ha annunciata Sargenti – o d’ufficio, esaminino la questione con cura, in particolare sotto il profilo dell’utilizzo corretto di beni pubblici di importanza culturale.






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