Fine anno, la solita rassegna dei fatti
Perché dei fatti e non delle idee? Con un anno in via di estinzione piovono di solito le rassegne dei fatti politici nazionali e cantonali capitati e ritenuti degni di rilievo....
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Perché dei fatti e non delle idee? Con un anno in via di estinzione piovono di solito le rassegne dei fatti politici nazionali e cantonali capitati e ritenuti degni di rilievo....
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Perché dei fatti e non delle idee? Con un anno in via di estinzione piovono di solito le rassegne dei fatti politici nazionali e cantonali capitati e ritenuti degni di rilievo. Dei fatti, non delle idee. Anche perché le idee non capitano, ma maturano, se ci sono ancora teste che pensano.
Perché non ci si chiede: quali sono le idee che hanno mosso quei fatti o che stanno dietro quei fatti? Anche perché a volte – non fosse che per un atto di disperazione o di mostruoso anacronismo rispetto a ciò che capita altrove o di ignoranza belluina rispetto a fior di indagini e di studi che dimostrano che quell’idea, già tradotta in pratica, è grossolanamente errata (come quello dello sgocciolamento della ricchezza dai ricchi sui poveri, riproposta nel Ticino) – capita infatti di chiedersi: ma dove si ispireranno i nostri politici, in particolar modo quelli ticinesi, seduti su scranni legislativi o esecutivi o su poltrone presidenziali di partiti, quando esprimono certe loro idee, critiche, proposte? Difficile rispondere. Cosa leggeranno? Alcune di quelle idee, poche, sono però ancora residui del distillato delle antiche ideologie di riferimento, divenute ormai uno scolorito apparato scenico che intristisce il teatrino politico. Proviamoci almeno con quelle.
C’è chi, ammettendo implicitamente una fastidiosa e anche controproducente incoerenza con ciò che dovrebbe implicare un termine “ideologico” attribuitosi da un secolo, ha preferito rinunciarvi (il riferimento “cristiano” del partito democristiano, ad esempio) e si è accucciato nel Centro. Anche se era già casa di qualcun altro. È difficile capire se ci sia stato qualcosa di onesto o sia solo prevalsa l’attesa di una diversa risurrezione (non quella cristiana) nelle elezioni dell’anno venturo.
C’è chi ha persistito nel duetto liberale-tratto-radicale, forse per incantare ancora con la gloriosa storia. Ma poi tutti ammettono sottovoce o alcuni si lamentano apertamente per quel radicale ormai scomparso anche dal boccascena. Ed è quindi in sovrappiù. Forse anche per la scomparsa degli ultimi grandi e coerenti “radicali” che contavano ancora e il sopraggiungere a piedi, perché il treno della storia è già passato, degli ultimi imperterriti neoliberisti, con le ricette dei bisnonni Hayek (fuori lo Stato dall’economia, salvo quando ci interessa) e Friedman (quello contro la responsabilità sociale dell’impresa e dell’ azionista da privilegiare sopra tutto) o del nipote Laffer (quelle della famosa curva in base alla quale i ricchi non vanno tassati più di quel tanto, anzi piuttosto sgravati, altrimenti se ne vanno e l’economia cade a pezzi) o del bitcoin, moneta libera e anti-istituzioni che strapazza quell’ufficiale e salverà così le finanze statali gonfiandole come le cascate del Niagara.
C’è chi già nella sua etichetta insiste sempre nel pretendersi di “centro, anche se poi l’ufficialità si definisce di destra. Di centro, luogo che quindi o non conosce o non esiste o essendo di fatto una non-scelta di centro è anche un non-luogo (è complicato, è vero) e mancando così di idee proprie e certe, deve sempre inventarsi qualcosa per situarsi, per tentare di toccar riva, di convincere dividendo (dall’immigrazione, alla piovra europea, alla perdita di sovranità, alla città nemica della campagna, all’illibertà pandemica) perché ritiene che solo così si troverà il teatrino della recita redditizia. L’aspetto un poco comico che sono anche altri partiti o movimenti o bertucciarsi dentro questo “centro” che rende, divenuto però luogo politico conteso e ormai troppo affollato. Intimorito vi si trova spesso a recitare anche il Consiglio federale. Senza recita a soggetto.
C’è poi chi è accusato di vivere timoroso o un poco rattrappito, di non saper attingere al formidabile patrimonio storico dei suoi principi, delle sue lotte, dei suoi strumenti politici e sociali, rianimandoli (oltretutto, grande beffa, sottrattigli spesso dagli altri, astuti, perché facevano comodo per salvarsi e continuare o anche per venderli come propri successi). Oppure di puntare solo sull’essere affidabile (contro chi lo ritiene sempre sovversivo o anche come risposta rassegnata alla perdita di consenso) e tentato di accentrarsi anch’esso come altri, tanto da perdere la vitale differenza, forse causa delle sue perdite. Forse sarà quello più impegnato, anche in fatto di idee o di risurrezione di idee, l’anno prossimo. Gli altri, anche scarsi di idee, sembrano vivere di rendita.
Un film che dovrebbe essere proiettato in Consiglio comunale a Lugano, e al Macello
E se proprio dovessimo comunque definirla dovremmo chiamarla ‘coercizione cosciente’ perché imposta da fattori e forze esterne