Bye bye Mister Bibi
Un’affollata, contraddittoria coalizione libera Israele da Netanyahu. L’uomo forte è Naftali Bennett, leader dei coloni, e c’è poco da gioire
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Un’affollata, contraddittoria coalizione libera Israele da Netanyahu. L’uomo forte è Naftali Bennett, leader dei coloni, e c’è poco da gioire
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Un’affollata, contraddittoria coalizione libera Israele da Netanyahu. L’uomo forte è Naftali Bennett, leader dei coloni, e c’è poco da gioire
Quella che si compiace di essere “l’unica democrazia” del medio-oriente ci ha già offerto, nella sua storia, qualche bizzarria e non poche storture. Per esempio: è una democrazia selettiva, che ha proclamato Israele “lo Stato degli ebrei” nonostante il 20 per cento della popolazione sia musulmano o cristiano; ancor peggio, è una democrazia che da oltre mezzo secolo occupa i territori palestinesi, procede ad annessioni, porta a 700 mila i coloni in Cisgiordania e a Gerusalemme Est; oppure la democrazia di governi che dovevano la loro sopravvivenza a mini partiti religiosi, ago della bilancia e partner molto esosi che ottenevano praticamente tutto per il mondo ultra-ortodosso. Vabbè, musica nota e un po’ deprimente.
Ma stavolta siamo a una eccentricità politica senza precedenti. E assai paradossale. Pur di liberarsi, dopo un regno durato 12 anni, di Benjamin Netanyahu, tutti gli altri, ma proprio tutti, si sono inventati una inverosimile cordata multicolore, qualcosa che ricorda una sorta di circo barnum piuttosto che una coalizione di governo: dai partiti nazional-religiosi annessionisti alla sinistra radical-pacifista, otto formazioni che salgono su un carro molto variopinto. Risultato, anche, di livori personali di non pochi che dopo essere stati partner regolari e servili del longevo ex premier, per motivi più che altro di ambizione personale hanno deciso di voltargli le spalle.
A guidarli, due pivot che già di loro sembrerebbero inconciliabili: il pluri-ministro Naftali Bennett, leader del sionismo politico, con tre passioni: l’informatica (che gli ha garantito una ricchezza ultra milionaria), l’annessione di tutti i territori palestinesi, la moltiplicazione degli insediamenti ebraici, insomma uno che per ideologia e prassi sulla carta è pure peggio di Bibi; e poi Jair Lapid, ex personaggio del giornalismo televisivo, e amletica guida di un centrismo cerchio-bottista. Questi due si alterneranno alla guida del governo, due anni a turno. E, con loro, altri alleati inverosimili: partiti che sognano Heretz Israel (la grande Israele biblica), partiti personalistici senza profilo politico, partiti della sinistra storica in profonda crisi esistenziale come il Labour, persino il piccolo Meeretz della sinistra radicale unico superstite della soluzione dei due Stati, e infine uno schieramento della minoranza araba che fino a pochi mesi fa veniva accusato di essere associabile al “terrorismo fascio-islamista” e che oggi garantisce i 4 seggi indispensabili per assicurare la maggioranza alla Knesset.
In nome dell’altisonante mantra dell’interesse nazionale. In realtà, appunto, con un unico collante: la cui sigla è “ttb”, acronimo di “tutto tranne Bibi”. In altre circostanze, in un quadro di coerenza politica più credibile, l’uscita di scena di Netanyahu sarebbe stata una buona notizia per chi crede che l’uomo abbia portato più guai che soluzioni nel rapporto con le popolazioni ‘occupate’. Certo, un mini-bonus di fiducia iniziale non si nega a nessuno. Ma cosa c’è da festeggiare di fronte a questa idra confusa, a questo corpaccione mosso da spinte contraddittorie, a questo carrozzone che non promette niente di buono, sia in fatto di tenuta, sia di contenuti, sia di programmi (per ora non esistenti)? Magari rispianando in fretta la strada a un ritorno del lottatore Bibi? Insomma: da festeggiare, niente; da temere, molto.
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