L’America se ne va, resta l’Afghanistan
Biden ritira i marines ma non c'è pace per il paese asiatico
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Biden ritira i marines ma non c'è pace per il paese asiatico
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Biden ritira i marines ma non c'è pace per il paese asiatico
Ci provò anche l’Unione Sovietica dopo il “golpe” del Natale 1979, e l’Afghanistan diventò per l’Armata Rossa un incubo che contribuirà al crollo dell’Urss. Si sono illuse l’America, andata in guerra per vendicare l’11 settembre, e che due decenni dopo torna a casa senza averla vinta, diciamo pure che ne è uscita sconfitta, pur avendo trascinato nella micidiale mischia anche un pugno di nazione alleate. Un Afghanistan per due terzi composta da una popolazione che ha conosciuto per lo più violenza, signori della guerra, attentati, bombardamenti (che hanno massacrato soprattutto i civili, spesso sciagurate vittime del ‘fuoco amico’), il fanatismo dei Talebani che non permettevano alle ragazze di andare a scuola, poi un presidente eletto perché in grado di controllare soltanto l’area della capitale Kabul, ecco un paese così oggi non può certo festeggiare come pretendono di fare (mentendo) gli ‘amici’ occidentali che dal 1.maggio all’11 settembre organizzeranno un ‘graduale’ ritiro, graduale per non perdere del tutto la faccia.
Non festeggiano, gli Afghani, e si interrogano più che ansiosi sul loro futuro. Dove tutto indica (dalla storia passata a quella più recente) che le tribù dell’anti mosaico difficilmente riusciranno ad evitare dii sbranarsi, una volta di più, e chissà quanto a lungo, e chissà con quali interessate interferenze di potenze globali o regionali (prima di tutto il Pakistan, la cui intelligence militare ha regolarmente armato e teleguidato i massimalisti islamici Talebani, dopo aver armato l’Al Quaeda di Bin Laden affinché, complici gli Stati Uniti, liberasse il paese dai ‘kafir’, dagli ‘infedeli’ sovietici. Si prospetta dunque la cancellazione di quelle piccole, fragilissime, transitorie riforme fiorite negli ultimi due decenni (per donne, cultura, informazione); e si teme che il “Regno dell’insolenza” torni ad essere quel ‘buco nero’ che è stato a lungo.
L’innegabile sconfitta militare (non tanto diversa da quella in Vietnam, anche se basata su una diversa narrazione e percezione) non aiuterà certo l’America e soci a fare quello minimamente che andrebbe fatto, aiutare il Paese ad evitare il peggio, un’altra guerra fratricida. Oltretutto sul terreno rimarranno in armi (oltre alle logiche tribali) soprattutto Talebani e Isis, e uno dei due gruppi di tagliagole vorrà prevalere. Altissimi rischi umani e di instabilità regionale che non possono essere certo nascosti dietro i simbolismi decisi da Biden nel portare a termine la ritirata già avviata da Trump. Quel “tutti a casa” entro la mezzanotte dell’11 settembre, venti anni dopo l’attentato alle Torri, appare come una forzatura storica. La sottolineatura di un tragico anniversario. Non di una liberazione.
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