“Il suo unico crimine è di aver detto la verità”, martellano i firmatari dell’Appello di Ginevra. La petizione, lanciata a inizio mese, chiede “la liberazione immediata” di Julian Assange, fondatore di WikiLeaks detenuto nella prigione ad alta sicurezza di Belmarsh, a Londra, dall’11 aprile 2019 – giorno del suo arresto all’ambasciata dell’Ecuador. Julian Assange aveva già vissuto sette anni rinchiuso in quest’ambasciata, dove si era rifugiato per evitare l’estradizione verso la Svezia, che lo accusava di stupro, un caso poi chiuso.
Il fondatore di WikiLeaks è stato minacciato di estradizione verso gli Stati Uniti. Lì rischia una pena di 175 anni di prigione. Sotto accusa la sua ONG fondata nel 2006, WikiLeaks, piattaforma internet sviluppata dall’australiano per permettere a qualsiasi cittadino di pubblicare anonimamente documenti compromettenti su una società, una organizzazione o un governo. È grazie alla piattaforma che centinaia di migliaia di cablogrammi diplomatici hanno potuto essere pubblicati dal 2010 in collaborazione con i media internazionali tra cui The New York Times, The Guardian, Der Spiegel, Le Monde ed El País.
Tra i documenti rivelati, migliaia di documenti confidenziali del Dipartimento di Stato americano e del Pentagono. Julian Assange ha rivelato gli errori commessi dall’esercito americano in Irak o in Afghanistan, o ancora le cattive condizioni di detenzione a Guantanamo. Ma per gli Stati Uniti ha soprattutto messo in pericolo la vita degli individui che hanno fornito informazioni all’esercito o alla diplomazia americana.
Questo il motivo per cui il Ministero americano della giustizia reclama la sua estradizione al governo britannico. La giudice inglese incaricata del caso ha già opposto un primo rifiuto, il 6 gennaio 2021, invocando il rischio del suicidio, e ha deciso di tenerlo in detenzione sul territorio britannico in attesa dell’esame di appello richiesto dagli Stati Uniti. La data esatta di questa procedura è ancora sconosciuta.
Sei richieste
Intanto, diverse istituzioni e personalità ginevrine hanno deciso di unirsi per sostenere Assange e ricordare le sue cattive condizioni di detenzione. Tra le figure che si sono mobilitate vi sono la compagna dell’informatore (l’avvocatessa britannica Stella Morris), il relatore speciale delle Nazioni Unite sulla tortura Nils Melzer, il sindaco di Ginevra Frédérique Perler, l’ex direttore del CICR Yves Daccord, il consigliere agli Stati Carlo Sommaruga, il segretario generale della ONG Reporters Sans Frontières Christophe Deloire, l’ex deputato Jean Rossiaud e il direttore esecutivo del Club svizzero della stampa Pierre Ruetschi.
Quest’ultimo afferma: “Ginevra, città che accoglie il Consiglio dei diritti dell’uomo, città umanitaria, città di pace e di negoziazione, città che accoglierà il 16 giugno i presidenti Joe Biden e Vladimir Putin: è qui che le cose si decidono, è qui che noi esigiamo la liberazione di Julian Assange”.
Nella loro petizione, i firmatari si rivolgono a numerosi interlocutori “in nome dei valori promossi dalle organizzazioni di difesa dei diritti umani basate a Ginevra”. Chiedono anche alle autorità britanniche di rifiutare l’estradizione di Julian Assange e di concedergli la libertà. Al governo americano domandano di rinunciare alle accuse contro di lui; sollecitano le organizzazioni internazionali e le ONG di usare la loro autorità per contribuire alla sua scarcerazione, e ai media di continuare a informare sulla sua situazione. In sostanza chiedono a tutti i popoli di sostenerlo, e a tutti gli Stati democratici di assicurargli un rifugio.
Un visto umanitario
Frédérique Perler, sindaco di Ginevra, si associa “pienamente” a questo appello, e sottolinea: “Julian Assange è il simbolo di una persecuzione politica e giudiziaria insensata di cui i bloggers possono essere vittime. Ha dovuto fuggire, esiliarsi e vivere nascosto per averci informato. Ha perso la sua libertà per proteggere la nostra”. Il consigliere agli Stati Carlo Sommaruga manifesta la sua indignazione: per il socialista, è dovere della Svizzera, afferma, “proteggere i nuovi dissidenti che agiscono ormai nel mondo virtuale.”
Su questo tema, l’ex deputato del gran consiglio ginevrino Jean Rossiaud ribadisce la sua idea di accordare ad Assange un visto umanitario: “i deputati hanno già votato questa risoluzione, dunque Ginevra è pronta ad accoglierlo. Salviamolo dalla tortura, portiamolo in un ospedale per farlo curare, e poi, grazie a questo visto umanitario potrà decidere cosa vuole fare e dove andare.”
Confinato, poi incarcerato per un totale di oltre dieci anni, Julian Assange ha subito un decadimento fisico e mentale, secondo quanto riferiscono regolarmente gli osservatori o i suoi famigliari. La compagna Stella Morris teme per la sua vita. Per lei, il padre dei suoi due bambini uscirà di prigione o come uomo libero o in una bara. “Julian non è semplicemente un nome o un simbolo; è un uomo, un essere umano e soffre. Lo si nasconde, si tenta di farlo tacere, ma lui si batte”.
Turbata dalla statua del suo compagno realizzata dallo scultore Davide Dormino eretta ai Bains des Pâquis, a fianco di quelle di Edward Snowden e di Chelsea Manning, prosegue: “è in prigione unicamente per avere divulgato prove concrete sui crimini commessi dallo stesso paese che tenta oggi di estradarlo. Chiediamo a Joe Biden, che sarà presto in questa città, di fermare una simile follia”.
Pubblicato da Le Temps nel giugno 2021, nostra traduzione