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Di Andrea Legni ed Enrico Phelipon, L’Indipendente

Quante possibilità ci sono di subire un’avversità perfetta, dove ogni tassello si inserisce al posto giusto fino a formare un mosaico capace di trasformare una disgrazia in una fortunata opportunità. Come se in uno stesso giorno a un imprenditore andasse in fiamme il ristorante per il quale aveva appena stipulato un’ottima polizza antincendio e cadesse a terra il computer a poche ore della scadenza dell’assicurazione contro i danni accidentali. Non è tecnicamente impossibile, ma di certo si può dire che è nato con la camicia. È quanto accaduto a Istanbul, dove domenica è esplosa una bomba nel centralissimo viale Istiklal Caddesi provocando 6 morti e 81 feriti. Dalla nazionalità dell’attentatrice, al luogo da cui l’attacco sarebbe stato progettato, al momento in cui avviene fino al dettaglio simbolico della scritta sulla felpa indossata: ogni dettaglio di quanto accaduto è perfetto per i fini politici e militari del presidente turco Recep Tayyip Erdogan.

Sono bastate poche ore per permettere alla Turchia di affermare di aver concluso le indagini sul fatto. A collocare la borsa-bomba che ha provocato il massacro sarebbe stata una giovane donna di nome Ahlam Albashir, curda di cittadinanza siriana. L’imputata è apparsa con le manette ai polsi, l’espressione smarrita e il volto gonfio e livido, nella foto diffusa dal governo. Secondo le autorità avrebbe confessato: è stata lei ed è stata addestrata dal PKK (il partito dei lavoratori del Kurdistan) come ufficiale speciale dei servizi segreti curdi per compiere l’attacco. È entrata illegalmente in Turchia attraverso il confine siriano di Afrin-Idlib, mentre le menti del PKK hanno pianificato i dettagli dal quartier generale di Kobane. Se non fosse stata presa sarebbe fuggita in Grecia, mentre sulla felpa indossata al momento dello scatto scenico diffuso dalla polizia turca esibiva la scritta “New York”. Per supportare questi dettagli non è stata fornita alcuna prova.

La foto della presunta terrorista, Ahlam Albashir, diffusa dalla Turchia dopo l’arresto

Di certezze in questa vicenda purtroppo ci sono solo i civili innocenti morti e feriti, perché per il resto rimangono ancora aperti diversi punti interrogativi, a partire dalla velocità con cui le autorità turche hanno risolto il caso, nonostante sia il PKK che le Syrian Demoratic Force (SDF-YPG) – le milizie curde che hanno combattuto in Siria contro lo Stato Islamico – abbiano fermamente smentito ogni responsabilità. E si tratta di organizzazioni che di solito rivendicano le proprie azioni. Di certo per ora c’è solo che ogni dettaglio fornito è perfettamente utile alla strategia del governo turco.

Da tempo Erdogan cerca di ottenere via libera al suo progetto di conquistare ulteriore territorio curdo in Siria, allargando la cosiddetta “zona cuscinetto” di confine creata grazie ad un accordo del 2019 con gli Stati Uniti. La città di frontiera da cui Ahlam Albashir sarebbe penetrata in territorio turco, Afrin, è in mano a jihadisti – che sono al governo della città dopo aver combattuto i curdi su mandato turco – in lotta tra opposte fazioni. Ankara cerca da tempo il pretesto per intervenire a ristabilire l’ordine. Quella da cui invece i vertici del PKK avrebbero ordito l’attacco è Kobane: città simbolo della resistenza curda contro lo Stato Islamico e al centro del progetto di confederalismo democratico attuato dai curdi nei territori autogovernati del Rojava, la zona sotto il loro controllo in Siria. Guarda caso è proprio la città nella quale Erdogan annuncia di voler intervenire militarmente da mesi.

Addebitare l’attentato al PKK è inoltre funzionale alle strategie politiche della Turchia, sia verso gli USA che verso Finlandia e Svezia che necessitano del via libera di Ankara per coronare l’obiettivo di entrare nella NATO. Questo potrebbe rappresentare un ulteriore indurimento delle operazioni militari del governo contro i curdi nella Turchia sud orientale, in Iraq e in Siria. Operazioni che a dire il vero non si sono praticamente mai fermate, dati i numerosi raid aerei occorsi negli ultimi mesi contro le presunte basi del PKK, nella regione del Kurdistan iracheno. Inoltre questa ipotesi tornerebbe utile anche per l’impasse emersa dalla richiesta di ingresso nella NATO da parte di Svezia e Finlandia. L’ingresso di nuovi paesi nell’alleanza Atlantica deve essere approvato da tutti i paesi membri. La Turchia si sta opponendo all’ingresso dei due proprio in relazione alla questione curda, per Ankara pericolosi terroristi, mentre per le due democrazie nordeuropee una minoranza perseguitata a cui garantire asilo politico. O almeno cosi era prima dello scoppio della guerra in Ucraina.

I vertici del governo di Ankara, non hanno inoltre esitato a lanciare un attacco agli Stati Uniti. «Non accettiamo il cordoglio dell’ambasciata statunitense, lo respingiamo» ha detto il ministro dell’Interno della Turchia, Suleyman Soylu, paragonando il telegramma della Casa Bianca nientemeno che a un «assassino che si presenta per primo sulla scena del crimine». Gli Stati Uniti in Siria sono alleati delle SDF, le milizie a maggioranza curda che hanno combattuto, con il supporto americano e di altri paesi occidentali, per liberare le zone della Siria che erano cadute sotto il dominio dello Stato Islamico. Che Ankara al pari del PKK considera pericolosi terroristi. Il dettaglio della felpa con scritto “New York” indossata (o fatta indossare) dalla presunta attentatrice è un particolare simbolico che palesa scenograficamente la connessione tra i curdi e gli Stati Uniti.

Non è mancata inoltre una frecciatina anche contro la Grecia, dove secondo i turchi l’attentatrice sarebbe fuggita se non fosse stata arrestata. Tra Turchia e Grecia esistono diverse controversie aperte nel Mediterraneo, e i due governi non sono nuovi a scambiarsi accuse reciproche, nonostante l’appartenenza comune dei due alla NATO.

Non si può inoltre non considerare le ripercussioni che l’attentato potrebbe avere a livello interno in vista delle prossime elezioni politiche previste nel 2023. Secondo i sondaggi, il partito del presidente Erdogan (AKP – Partito della Giustiza e dello Sviluppo), sarebbe in calo di almeno 10 punti percentuali rispetto alle precedenti elezioni a causa delle condizioni economiche e delle divisioni interne al partito stesso. A settembre 2022 l’inflazione in Turchia ha raggiunto livelli record che hanno toccato l’83% portando ad un conseguente aumento considerevole dei prezzi dei beni di prima necessità. Il momento è quantomai propizio per saldare l’opinione pubblica di fronte al nemico esterno.

Una poderosa mole di particolari che convergono tutti insieme fino a trasformare una tragedia in una occasione perfetta. Questo significa che il regime turco si sia auto inflitto l’attentato? Naturalmente non ci sono indizi in questo senso e anche se così fosse verosimilmente non ce ne sarebbero. Le variabili circa i possibili autori, dopotutto, possono essere tante: da gruppi jihadisti, a diverse fazioni politiche, fino al singolo fomentato che non risponde ad organizzazioni né ad apparenti logiche o strategie. Di certo la Turchia, risolvendo il caso a tempo di record, ha trovato il colpevole perfetto inserito nel contesto perfetto. Ultimo tassello: è dagli anni ’90 che il PKK ha abbandonato la strategia di utilizzare anche il terrorismo per perseguire l’obiettivo dell’indipendente del Kurdistan e in passato, quando lo fece, aveva sempre rivendicato le azioni. La scelta di tornare a farlo proprio mentre è in atto a livello internazionale una compagna per la sua rimozione dalla lista delle organizzazioni terroriste di Stati Uniti e Unione Europea sarebbe quantomeno insensata e suicida.

Nell’immagine: a sinistra – secondo la Turchia – Ahlam Albashir sul luogo dell’attentato. A destra la foto dopo l’arresto dove spunta la felpa “New York”






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