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• 15 Novembre 2022 – Aldo Sofia
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Sul proscenio i due leader antagonisti ancorché sorridenti per la storica photo opportunity, e alle loro spalle le sagome di due comprimari, nel più classico del ‘wayang kulit’, il raffinato teatro delle ombre indonesiane. Così è stato il primo summit da presidenti, a Bali, nell’anticipo del G-20, tra il cinese Xi Jimping e l’americano Joe Biden. Due che si ‘conoscono bene’, ha voluto ricordare il capo della Casa Bianca, visto che si erano già incontrati una decina di volte negli anni in cui erano entrambi vice-presidenti. E le ‘ombre’? Quelle degli assenti, cioè Putin e Zelensky, assenti dal vertice che pure non poteva non occuparsi della guerra ucraina. 

Il padrone di casa indonesiano, Joko Widodo, sperava nel gran colpo di poter ospitare i due nemici. S’è dovuto rassegnare: lo zar bloccato in patria dalle umiliazioni militari, dalla rabbiosa frustrazione dei falchi, e anche dalla decisione degli occidentali di non volerlo sull’ “isola degli dei”; mentre il leader ucraino in perenne tuta simil-militare si muove nella Kherson liberata dai russi, chiedendosi quale sarà la risposta sollecitata dai falchi, che a Mosca pretendono un’altra pesantissima rappresaglia per ristabilire l’impossibile onore del loro sconfortato esercito dopo oltre sette mesi di conflitto. Joko Widodo si consolerà sventolando al vertice di Bali i risultati di un’economia indonesiana che è l’invidia di tutti (+5,7 % di Pil nel terzo trimestre dell’anno, mentre la Banca Mondiale certifica un probabile nuovo capitombolo della ricchezza mondiale dal 4 al 3,2%) e soprattutto per aver comunque offerto al mondo lo spettacolo della prima stretta di mano fra un capo della Casa Bianca rinfrancato dalla ‘non sconfitta’ delle midterm elections e il potente occupante della Città proibita che ha appena ottenuto dal Congresso comunista il terzo mondato consecutivo di segretario del PCC, un inedito dai tempi di Mao. Insomma, il confronto fra due leader entrambi rafforzatisi in poche settimane. Che hanno aperto varchi vistosi alla prospettiva di una nuova distensione fra i due giganti mondiali.

“Gestire la competizione” era, da una parte e dall’altra, l’obiettivo dichiarato del vertice sino-americano, avanzando ciascuno quelle che sono le rispettive ‘linee rosse” per evitare che il duello esiziale nell’Indopacifico fra le ‘due principali potenze del mondo’ (come lo ha definito l’ufficialissimo ‘China Today’ per la felicità del capo del Cremlino, escluso dal club dei super-grandi) non si trasformi in scontro armato. La ‘red line’ di Xi Jimping comprende naturalmente Taiwan, che per Pechino dovrà tornare alla madre patria in base al principio (in teoria riconosciuto anche dagli Usa – che però dicono di voler proteggere la democrazia nata in settant’anni a Formosa) che ‘esiste una sola Cina’, per cui l’indipendenza di Taiwan e una vera pace sono inconciliabili. Meno netta in fatto di ‘linee rosse’ quelle di Biden, che pretende statu quo e stabilità dell’intera area (compresa una nuclearizzata Corea del Nord da riportare nei ranghi) e il principio dell’esclusione dell’atomica su ogni teatro di conflitto. Principio che l’interlocutore gli ha offerto, o ribadito, con esplicito riferimento alla tragedia ucraina. 

Insomma, un ‘approccio morbido’. Con cui l’America cerca di ottenere dei ‘limiti’ all’alleanza che Mosca e Pechino hanno definito ‘senza limiti’.  Biden ottiene soddisfazione. In effetti, la condanna di qualsiasi tipo di militarizzazione ‘di grano ed energia’ nelle relazioni internazionali suona come un comune monito e una condanna al Cremlino, anche se XI ha ribadito la richiesta di cancellare le sanzioni economiche. E in questo nuovo clima rientra probabilmente anche la confidenza al ‘Financial Times’ di un alto funzionario cinese: e cioè che Vladimir Putin entrò in armi in Ucraina il 24 febbraio scorso senza preavvertire l’amico asiatico. Ipotesi già circolata, ma che confermata direttamente dal quartier generale dell’ “Impero di Mezzo” fa capire che non proprio tutto funziona nella strategica partnership dei due compagni di strada. Oggi Putin è sicuramente più isolato.

Impressioni suffragate da dichiarazioni non equivoche, ma è meglio fermarsi con la lista delle speranze di disgelo. Tanto più che il “New York Times”, non smentito, se n’è uscito negli scorsi giorni con la rivelazione che il mese scorso Biden ha firmato un documento sulla sicurezza nazionale in cui si recita che ‘la Cina è l’unico paese con l’intenzione di rimodellare l’ordine internazionale e, sempre più, il potere economico, militare e tecnologico per avvicinarsi a questo obiettivo”. Che non è proprio il viatico ideale per immaginare chissà quale nuova distensione fra Pechino e Washington. Mentre dalla capitale americana emerge sempre più nitida una recita dell’equivoco. Quello di vertici del Pentagono e della Sicurezza Nazionale che si contraddicono: uno sostenendo che la Casa Bianca continua le pressioni sulla leadership ucraina per spingerla verso un processo dialogante con Mosca, e l’altro subito precisando che solo Kiev può decidere come e quando accettare la prospettiva della pace.  Anche gli Stati Uniti hanno il loro ‘wayang kulit’. Il loro ‘teatro delle ombre’.






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