Diocesi di Lugano: spunti per un’interpretazione
A pochi giorni dalle dimissioni del vescovo Valerio Lazzeri, sono molti gli aspetti legati al futuro della diocesi che attendono di essere chiariti e risolti
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A pochi giorni dalle dimissioni del vescovo Valerio Lazzeri, sono molti gli aspetti legati al futuro della diocesi che attendono di essere chiariti e risolti
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A pochi giorni dalle dimissioni del vescovo Valerio Lazzeri, sono molti gli aspetti legati al futuro della diocesi che attendono di essere chiariti e risolti
Trascorso qualche giorno dall’annunciato quanto repentino cambiamento alla testa della Diocesi di Lugano, che da lunedì pomeriggio ha un nuovo amministratore apostolico pro tempore, è forse possibile tornare ad affrontare alcune delle questioni che si delineano all’orizzonte, in un ambito le cui dinamiche interne – amministrative, gerarchiche, formali – tendono a non essere immediatamente comprensibili a chi le osservi dall’esterno (non escluso chi scrive).
La vera notizia emersa dalla conferenza stampa di lunedì mattina non sono state le dimissioni di mons. Valerio Lazzeri, anticipate dalla RSI già venerdì scorso, bensì le modalità del commiato voluto dal vescovo: un discorso toccante, con il cuore in mano, in piena e totale adesione a quella umanità che don Valerio ha testimoniato durante i suoi nove anni alla testa della diocesi. Nella spiazzante richiesta di perdono e nella commovente ammissione dei propri limiti fisici e psicologici, le sue parole hanno riecheggiato altre espressioni di “fragilità in atto” (non saprei come chiamarle altrimenti) cui la Chiesa cattolica ci ha abituato negli ultimi anni, dalla malattia di Giovanni Paolo II a quella – per i ticinesi – di mons. Eugenio Corecco, senza dimenticare l’«ingravescentem aetatem» di Benedetto XVI. Per chi crede, si tratta di testimonianze potenti che si inseriscono con forme diverse e persino antitetiche, di perseveranza le une e di rinuncia le altre, in una tradizione di fede e cultura che ha al proprio centro l’immagine di un Dio che si sacrifica per tutti, senza temere di mostrare le proprie fragilità.
Dal punto di vista strettamente giuridico, in un’area di sovrapposizione tra il diritto canonico e il concordato che regola i rapporti tra la Santa Sede e la Confederazione svizzera a proposito della Diocesi di Lugano, quest’ultima è attualmente definita “sede vacante”, e così sarà fino alla nomina del nuovo titolare. Le regole che determinano queste fasi intermedie sono le più varie e dipendono in prima battuta dalla causa dell’assenza del vescovo: morte, dimissioni per raggiunti limiti di età o dimissioni per motivi di salute.
Se un vescovo muore in carica, nella prassi usuale interviene il capitolo a nominare un amministratore diocesano pro tempore; in altri casi generalmente è il papa, tramite il nunzio, a formalizzare la scelta di un amministratore apostolico. Non potendo portare a termine per ragioni di salute il consueto periodo di transizione (come aveva fatto ad esempio mons. Grampa, rimasto un anno tra la presentazione e l’accettazione delle dimissioni, avvenuta contestualmente solo alla nomina del successore), Valerio Lazzeri ha chiesto al nunzio di anticipare i tempi secondo la modalità normalmente utilizzata dato il quadro giuridico sulle successioni episcopali.
La scelta di mons. Alain de Raemy è stata suggerita da confronti interni alla conferenza episcopale svizzera, non da ultimo anche per gli equilibri non idilliaci sul fronte della chiesa friburghese, che molto in fretta si è ritrovata priva del proprio vescovo ausiliare (il titolare mons. Morerod si è detto negli scorsi giorni molto «felice» che la scelta fosse caduta su de Raemy…). Ma tali dinamiche non devono sorprendere: come per i direttori d’orchestra o gli allenatori di calcio, i vescovi sono sovente in sovrannumero, specie in un ambito complesso come quello svizzero, nel quale il turnover è piuttosto basso (il prossimo fronte che dovrebbe aprirsi, non prima di qualche anno, è quello della diocesi di Sion).
… in un minuscolo spazio vitale. Sono, per citare un noto lungometraggio della Disney, i poteri assai limitati dell’amministratore apostolico in caso di sede vacante (diverso perciò dal ruolo quasi omonimo tenuto dai vescovi ticinesi tra il 1884 e il 1971), cui non sarà concesso ad esempio nominare nuovi parroci. Se vale la regola latina del sede vacante nihil innovetur, nei prossimi mesi la diocesi si troverà quindi confrontata al congelamento di molte procedure e di molti dossier.
Lo slancio pastorale mostrato lunedì mattina da mons. de Raemy, che si è fatto apprezzare per la sua affabilità citando persino il «se sbaglio mi corrigerete» di papa Wojtyla, sarà insomma contenuto da paletti piuttosto stretti, e finalizzato all’individuazione dei possibili successori di Lazzeri. Nessun commissariamento, quindi, della diocesi luganese per presunti scandali o altro (per quelli ci sarebbe voluta un’altra figura, ad esempio quella di un «visitatore» apostolico).
Assieme al gioco simpatico – ma evidentemente ozioso – del totovescovo, è tornata in auge nei media la questione del ressortissant, una regola specifica per la diocesi luganese iscritta nel concordato tra la Svizzera e la Santa Sede del 24 luglio 1968: «L’Evêque de Lugano sera nommé par le Saint-Siège et sera choisi parmi les prêtres ressortissants tessinois». Se ressortissant vale, come parrebbe di capire, «attinente di», la scelta potrà cadere allora su ogni sacerdote di almeno 35 anni, ordinato almeno da cinque e in possesso almeno di una licenza in materie teologiche, e che abbia però anche un’attinenza ticinese. Fu il caso di mons. Grampa, un italiano di Busto Arsizio nel frattempo naturalizzato; e quella stessa regola impedì a Padre Mauro Jöhri, grigionese di Bivio, di essere preso in considerazione in passato nonostante la grande esperienza internazionale come ministro generale dell’Ordine dei Cappuccini.
In attesa che i meccanismi ecclesiastici facciano il loro corso, con i ritmi dilatati che da sempre li caratterizzano (incompatibili con la nostra epoca ansiosa e trafelata), le dimissioni di mons. Lazzeri hanno già contribuito a far emergere a livello di opinione pubblica alcune questioni che covavano sotto la cenere: innanzitutto i problemi finanziari della diocesi, una struttura complessa da cui dipendono numerosi servizi (comprese due scuole) e il cui patrimonio immobiliare si è rivelato negli ultimi anni più un peso che una vera fonte di reddito.
Le difficoltà comunicative sottolineate da Luigi Maffezzoli, presidente dell’Azione cattolica, al Quotidiano della RSI lo scorso 10 ottobre sono un ulteriore problema che ha toccato la diocesi in anni recenti, sia nelle sue relazioni con la stampa, sia nell’ascolto delle molte realtà che compongono il variegato patchwork della chiesa ticinese. Temi questi, al crocevia delle questioni gestionali e delle spinte sinodali così tipiche della chiesa di papa Francesco, che meriteranno di essere seguiti da vicino, nei prossimi mesi, anche alle nostre latitudini.
Nell’immagine: la cerimonia di ordinazione di un vescovo
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