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• 19 Marzo 2022 – Redazione
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Di Alessandro Dal Lago, il manifesto

In ogni conflitto si sprigiona la ‘nebbia della guerra’, il polverone più che impenetrabile che si leva dal terreno. Per orientarsi bisogna ricordare le guerre tra imperi grandi e piccoli, in ascesa o decadenti. Perché di questi si tratta, oggi: guerre che seguono una logica autonoma, al tempo stesso spaziale e temporale. Spaziale: ogni impero tenderà a crearsi una zona di influenza ai confini, che lo protegga dall’analogo movimento del vicino, o competitore, e ne attribuisca le minacce strategiche  e tattiche.  Così l’aggressività nazionalista della Russia di Putin, è del tutto speculare a quella della Nato, soprattutto nei membri più recenti, come i paesi baltici e tutti gli ex membri del Patto di Varsavia, a cominciare dalla Polonia, entrati poi nella Nato, e ovviamente per la crisi dell’Ucraina. Temporale: ogni impero o parte di impero, attuale o potenziale, cercherà nel passato motivazioni e giustificazioni del proprio comportamento spaziale.

E’ del tutto ozioso stabilire se la rivolta di piazza Maidan a Kiev nel 2014 fosse spontanea o in larga parte promossa e sostenuta da forze esterne (probabilmente, era entrambe le cose). Sta di fatto che rappresenta la base ideologica, emotiva e politica a cui entrambi i competitori attingeranno per giustificare la propria azione e motivare gli attori sul terreno (combattenti, politici, eccetera). Ogni impero reale o potenziale dispone della memoria di questo complesso di motivazioni. La memoria stabilisce le condizioni di adesione a una parte o all’altra del conflitto: il revanscismo russo è del tutto speculare al timore realistico, degli Stati baltici e dell’Europa orientale, che la Russia voglia ricostituire a spese loro la parte occidentale del proprio impero. 

Le guerre vengono combattute in base a pianificazioni strategiche e calcoli tattici per definizione sbagliati. La storia non ha mai offerto esempi di conflitti armati che si siano conclusi in base ai piani iniziali. Ciò vale per l’invasione napoleonica della Russia, lo scoppio della prima guerra mondiale, i piani di conquista di Hitler, la guerra del Vietnam, e così via. La ‘nebbia della guerra’ viene preceduto dalla ‘nebbia della pace’, o, se vogliamo, la ‘guerra in atto’ segue la ‘guerra potenziale’, per definizione foriera di errori di valutazione. Il conflitto in Ucraina ci offre un chiaro esempio di sovrapposizione di errori speculari.

La Nato non si aspettava, sino all’estate 2021, che la Russia accumulasse il proprio risentimento armato e si preparasse all’invasione. D’altra parte, Putin – con un’opinione pubblica in parte ostile a una guerra contro una popolazione sorella – non si aspettava che la propria armata, due terzi circa di quella disponibile all’intervento, si impantanasse in un conflitto con un’Ucraina largamente ostile.

Quanto all’Ucraina, l’ingenuità del presidente Zelensky e il cinismo delle autorità della Nato e dell’Unione europea (in varie gradazioni) sono clamorosi. Dopo aver impostato, a partire da Piazza Maidan, la propria azione come filo-occidentale e filo-Nato, con la cacciata di Yanukovyc, oggi il governo ucraino è disposto a rinunciare all’Alleanza e probabilmente a riconoscere le repubbliche separatiste russofone e la Crimea. Una valutazione delle forze in campo tre settimane dopo fa avrebbe facilmente fatto prevedere questo esito. Il cinismo occidentale emerge non solo nell’incessante soffiare sul fuoco della propaganda, ma nell’aver fatto credere all’Ucraina che la Nato l’avrebbe sostenuta contro Putin, a parte l’effettiva fornitura di armi leggere, missili antiaerei, sistemi elettronici. La richiesta incessante da parte di Zelensy di una ‘no-fly zone’, che non verrà mai attuata, esprime pateticamente il sovrapporsi di ingenuità dell’uno e del cinismo degli altri. Né Biden né le autorità dell’Alleanza atlantica si spingeranno mai ad avviare una sequenza di azioni e reazioni che potrebbe scatenare un conflitto generale, anche se non nucleare. 

Così Putin, tatticamente sconfitto, sta vincendo sul piano energetico. A che prezzo? Per cominciare, a quello della visibile erosione di parte del suo potere politico ed economico. Il default finanziario incombente lo costringe a legarsi alla Cina, che, come unico mercato di sbocco per le materie prime russe, assoggetterà l’economia di Mosca. E soprattutto a spese delle sofferenze di migliaia di civili e militari ucraini, e di ragazzi russi mandati a morire nella steppa, nonché da milioni di profughi ucraini, donne e bambini, costretti a lasciare il proprio paese bombardato.

Scrivo queste parole, deliberatamente lontane dalla facile emotività oggi dilagante, con il cuore oppresso da una sensazione di impotenza e fatalità.  Sotto le logiche più o meno automatiche degli imperi ribollono le illusioni della popolazione, le ideologie, le proiezioni fantastiche in orizzonti spaziali e temporali, il dolore e la sofferenza vera che non verranno rimarginati se non dal tempo, ma senza alcuna garanzia che la cecità strategica e la forza delle armi dispiegata non comportino alla fine disastri inimmaginabili.

C’erano alternative? Risponderò con un apologo storico, che trovo in ‘Counterpunch’, una rivista della sinistra americana specializzata in analisi politiche interne e internazionali. Quando i nazisti invasero Danimarca e Norvegia nel 1940, si trovarono di fronte a due reazioni diverse. La combattiva Norvegia scelse di resistere, sostenuta da Inghilterra e Francia, fu occupata dopo un breve conflitto, e il suo governo andò in esilio. La disarmata Danimarca scelse la resistenza passiva – accettò la sconfitta – e cercò di coesistere col regime nazista. Il re girava con la stella gialla sul petto, e i nazisti non sapevano come comportarsi. Nel 1943, nel corso di una notte, pescatori e diportisti danesi riuscirono a trasportare in Svezia gli ebrei di Danimarca attraverso l’Oresund [nell’immagine], beffando Hitler. Un’azione diversamente eroica, che esprime la civiltà di quella società nordica. Resistere con le armi, o accettare una sconfitta oggi che potrebbe portare a una vittoria domani: ecco una scelta fra due strategie che non possiamo chiedere al dittatore revanscista Putin, ma a chi lo contrasta in nome dei valori democratici. Qualche leader Nato avrebbe dovuto suggerirla a Zelensy, se solo entrambi avessero un minimo di cultura storica.






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