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Di Francesco Cundari, Linkiesta

Riuniti nella villa di Silvio Berlusconi, i leader del centrodestra ieri «hanno convenuto che Berlusconi sia la figura adatta a ricoprire in questo frangente difficile l’Alta Carica con l’autorevolezza e l’esperienza che il Paese merita e che gli italiani si attendono». È la notizia che senza dubbio sarà oggi su tutte le prime pagine, ma potrebbe essere presa tale e quale dalle prime pagine di un qualunque quotidiano degli ultimi trent’anni.

Due giorni fa, in un’intervista al Manifesto, Massimo D’Alema si è detto favorevole «alla ricostruzione unitaria di una forza progressista» (come del resto anche Pier Luigi Bersani, il giorno prima, sul Corriere della sera). E anche questa è una dichiarazione che potrebbe essere presa pari pari da un qualunque giornale degli ultimi trent’anni. E non nel senso che nel corso degli ultimi trent’anni l’una o l’altra di queste dichiarazioni sia stata già pronunciata, l’una o l’altra di queste iniziative già annunciata, tentata o realizzata; il che, intendiamoci, farebbe comunque dell’Italia un caso pressoché unico nell’occidente (non si danno altre democrazie occidentali in cui gli stessi leader promuovano le stesse iniziative e rilancino le stesse candidature a distanza di tre decenni). Qui però siamo di fronte a un caso ancora più estremo. Il punto non è che quelle stesse dichiarazioni le potete ritrovare in questo o quel quotidiano di quindici, venti o ventisette anni fa; il punto è che le potete ritrovare in tutti, o come minimo, e più volte, in ogni singola annata, dal 1993 a oggi.

Da quando è stato introdotto il sistema maggioritario, con quell’obbrobrio sconosciuto a ogni altra democrazia occidentale che sono le coalizioni pre-elettorali, viviamo un interminabile, assurdo, grottesco giorno della marmotta.

Da allora in poi, ogni giorno, quando si alza il sole, un leader del centrodestra si sveglia e sa che dovrà partecipare a un fondamentale vertice di coalizione la cui conclusione sarà che Silvio Berlusconi è indiscutibilmente «la figura adatta a ricoprire in questo frangente difficile l’Alta Carica con l’autorevolezza e l’esperienza che il Paese merita e che gli italiani si attendono» (l’unica eccezione sarebbe stata proprio in questa legislatura, visto il tracollo elettorale di Forza Italia nel 2018, ma come si è appena visto non si farà eccezione neanche stavolta: si tratta solo di sostituire Palazzo Chigi con il Quirinale, e scusate se è poco).

Da allora in poi, ogni giorno, quando si alza il sole, un leader della sinistra si sveglia e sa che dovrà fare un’ampia intervista in cui lanciare la proposta di un nuovo grande partito della sinistra, o del centrosinistra, o dei democratici, o dei democratici e progressisti (ovviamente unitario).

Da allora in poi, ogni giorno, quando si alza il sole, non importa se tu sia di destra o di sinistra, l’importante è che tu dichiari l’improrogabile esigenza di cambiare la legge elettorale e fare le riforme istituzionali, per completare la transizione e salvare il bipolarismo, affinché gli elettori possano scegliere tra due schieramenti chiari, e la sera stessa del voto si sappia chi ha vinto, e il vincitore possa governare.

Sono trent’anni che ripetono in coro questa filastrocca davanti alle telecamere, per poi correre a telefonare a Clemente Mastella, a Domenico Scilipoti o a Lello Ciampolillo, per poi far rinascere e rimorire partiti, governi e coalizioni sulla base delle più spericolate alchimie parlamentari e politiche, per poi ricominciare da capo, sempre da capo, come se non ci fosse un domani. Che in effetti non c’è, ahinoi. Perché – per l’appunto – è sempre il giorno della marmotta.

I personaggi più incredibili di tutta questa vicenda però non sono loro, che alla fine non fanno altro che recitare una parte, sempre la stessa (e perché dovrebbero cambiare, finché dura?). I personaggi più incredibili siamo noi, tutti noi che ne scriviamo e ne parliamo, che commentiamo, che li elogiamo o li critichiamo, prendendo le parti degli uni o degli altri, come se fosse normale. Ecco, dobbiamo dircelo una volta per tutte: non è normale. Tutto questo non è normale.

Non è normale discutere della stessa identica riforma elettorale-istituzionale (cambiano i dettagli, e a volte neanche quelli, ma il principio è sempre lo stesso), dello stesso identico nuovo grande partito unitario della sinistra, con le stesse parole d’ordine, gli stessi slogan, le stesse argomentazioni, ogni anno, ogni singolo anno, ogni maledetto anno, per quasi trent’anni di fila.

Basta, basta, basta: abbiate pietà di noi. Rimettete il sistema proporzionale, lasciate che ogni partito si presenti con i suoi candidati, il suo programma e il suo simbolo, e prenda voti e seggi su quello, senza coalizioni-carrozzoni in cui entrare e uscire, dando ogni giorno un nuovo giro a questa giostra infinita.

In Germania, dove vige un sistema proporzionale, in cui le coalizioni di governo si formano in parlamento, dopo il voto, proprio come accadeva in Italia prima dei referendum del 1993, Angela Merkel è rimasta alla guida dell’esecutivo per sedici anni filati. Ma non è solo la stabilità e la governabilità che dovremmo invidiare alla Germania. Dovremmo invidiarle anche, non sembri una contraddizione, il ricambio.

Quando Silvio Berlusconi saliva infatti per la prima volta a Palazzo Chigi, nel 1994, il suo omologo tedesco era Helmut Kohl. Quando andava al governo per la seconda volta, nel 2001, cancelliere era Gerhard Schröder. La terza, nel 2008, Merkel, che intanto ha fatto in tempo a concludere la sua carriera, dopo sedici anni filati al governo, passando il testimone al socialdemocratico Olaf Scholz. E poi ironizzano sul fatto che i capi di governo stranieri non fanno in tempo a conoscere i nostri governanti.

Altro che ricambio. Qui il Djokovic della politica italiana, capace di tenere inchiodato un intero paese ai suoi capricci, mobilitando milioni di fanatici ed esasperandone almeno altrettanti in tutto il mondo, c’è poco da fare, è sempre lui: Silvio Berlusconi. Colonna portante di quel bipolarismo di cartapesta che da trent’anni tiene in piedi, e di cui è al tempo stesso padre, figlio e spirito santo.

Nell’immagine: fotomontaggio da il Fatto Quotidiano






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