È morto Joseph Ratzinger, il teologo che fece anche il papa
La parabola di un pontefice che ha vissuto più da “emerito” che da papa in carica
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La parabola di un pontefice che ha vissuto più da “emerito” che da papa in carica
Era cambiato Ratzinger o era cambiato il mondo? Erano cambiati entrambi, ma fermo è sempre rimasto in lui il desiderio, tipico del filosofo e dell’accademico, di riuscire a conciliare fede e ragione, di dialogare con la scienza e con le altre religioni allo scopo di mettere a fuoco, contro ogni relativismo, quel fenomeno sorprendente che è l’umanità nelle sue più varie espressioni. La necessità di un “illuminismo allargato”, che non negasse le prospettive metafisiche, fu uno dei suoi cavalli di battaglia, variamente declinato negli scritti del teologo, del cardinale e del papa.
Che gli esiti non siano sempre stati all’altezza delle sue aspettative, come è accaduto con il celebre discorso di Ratisbona (2006) nel quale aveva voluto mostrare l’irrazionalità della conversione forzata e quindi della jihad (salvo poi scontentare mezzo mondo islamico), è un fatto che dice molto di quest’uomo che da papa faticò a trovare uno stile adeguato al colloquio con il mondo, lui che aveva già presentato più volte a Giovanni Paolo II le proprie dimissioni dalle numerose cariche vaticane, e che si trovò poi a subentrare a un papa santo in un momento (2005) in cui il ruolo stesso del pontefice si identificava per molti con la persona stessa di Karol Wojtyla.
Essendo stato per decenni il garante della fede cattolica sotto il suo predecessore, sarebbe inutile cercare differenze dottrinali tra i due (ma il discorso varrebbe naturalmente anche per papa Bergoglio, sovrapponibile al 99%) e le novità del suo pontificato andrebbero quindi ricercate su altri piani: innanzitutto il forte richiamo all’identità europea, che gli ha dettato tra l’altro la scelta del nome (San Benedetto è patrono del continente), e finalmente una più decisa gestione degli abusi sessuali in seno alla Chiesa, che per primo papa Ratzinger ha affrontato di petto iniziando una lenta riforma che è ancora in corso e che molto avrà da fare in futuro, purtroppo. I casi di padre Maciel, fondatore dei Legionari di Cristo, e degli abusi nella Chiesa irlandese sono stati trattati da Ratzinger con grande severità, cosa di cui i media sovente si dimenticano.
Ma se un “coup de théâtre” c’è stato nei suoi pochi anni di pontificato, è stata la sua repentina conclusione l’11 febbraio 2013, con quelle dimissioni date in latino per “ingravescente aetate” (per l’età che avanza) di fronte a un gruppo di cardinali che faticavano a capirne persino la lettera. Ci riuscì una giornalista dell’ANSA che aveva fatto il liceo classico, prima a comunicare al mondo lo scandalo delle dimissioni di un papa.
Emerito da allora, ha vissuto più a lungo da ex papa di quanto non abbia fatto da pontefice in carica, mettendo a volte in difficoltà (non per sue intenzioni) chi era venuto dopo di lui, e che si era trovato confrontato al nutrito gruppo di sostenitori che ancora rimpiangeva il cardinale tedesco. La verità è che alla coesistenza di più pontefici dovremo cominciare a fare l’abitudine: se Bergoglio, pur avendo già pronta una lettera di dimissioni in caso di gravi ragioni di salute, non si sarebbe fatto da parte fintanto che Ratzinger era in vita (due papi emeriti sono davvero troppi anche per il nostro mondo postmoderno), ora che le circostanze sono cambiate è da credere che non passerà troppo tempo prima di ritrovarci ad attendere nuove fumate, bianche o nere, dai ripidi tetti del Vaticano.
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