Nessuno è nato qui
La Svizzera, una storia di migrazioni troppo spesso dimenticata
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La Svizzera, una storia di migrazioni troppo spesso dimenticata
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La Svizzera, una storia di migrazioni troppo spesso dimenticata
Nei miei anni di insegnamento negli Stati Uniti – lingua italiana per stranieri in un piccolo college della Virginia – capitava abbastanza spesso che i miei studenti confondessero noi svizzeri (Swiss) con gli svedesi (Swedish). Al netto della somiglianza fonica dei due toponimi, biasimavo allora la scarsa preparazione impartita loro dal sistema scolastico statunitense, in effetti piuttosto scarso fino all’università, dove invece poi eccellono; e più in generale registravo la consueta ignoranza degli americani nei confronti delle cose europee e della loro storia.
A distanza di tanti anni dovrei oggi fare ammenda: come ci ricorda infatti la nuova Storia svizzera delle migrazioni di André Holenstein, Patrick Kury e Kristina Schulz, recentemente pubblicata in italiano da Armando Dadò con prefazione di Luigi Lorenzetti, traduzione di Anna Allenbach ed editing di Orazio Martinetti, tra le pagine del Libro bianco di Sarnen (1470) si ipotizzava proprio che gli abitanti del Canton Svitto discendessero da non meglio precisati antenati svedesi. Lo strano vichingo con il corno delle Alpi e la forma di Emmental sottobraccio che visualizzavo sorridendo nei miei anni americani è insomma meno lontano dalla realtà di quanto potessi mai immaginare.
Ben mi sta, e bene farebbe a molti leggere questo libro, che è un brillante ed efficace compendio di storia nazionale riletta alla luce dei movimenti dei popoli: da e verso l’antica Confederazione, ma anche al suo interno (i Walser di Bosco Gurin, per citare un unico caso assai rappresentativo) su su fino ai nostri giorni e ai problemi migratori che tutti conosciamo, e che troppo raramente purtroppo vengono letti dalla politica e dall’opinione pubblica alla luce della storia di questo imprescindibile fenomeno, tra quelli che segnano maggiormente i destini dell’umanità. “Nessuno è nato qui”, recita un vecchio slogan che troppo spesso dimentichiamo.
Si pensi al caso curioso dei von Mentlen, famiglia che – a pelle – uno direbbe più svizzera non si può, e che proviene invece dalla sponda piemontese del Verbano, da quando un Bernardo Mantelli di Cannobio si stabilì ad Altdorf nel 1410, mise radici, germanizzò il proprio nome e i suoi discendenti rivarcarono le Alpi all’epoca dei Baliaggi divenendo poi una delle più influenti casate di Bellinzona. Ma ancor più affascinante è la storia dei pasticceri grigionesi, capaci di insegnare all’intero continente (dalla Spagna, alla Francia, alla Polonia, alla Russia) ad apprezzare le nuove prelibatezze di cioccolato e caffè, allora beni di lusso per pochi.
Se siamo onesti – e non tutti, o non sempre, lo siamo – dobbiamo ammettere che i territori dell’attuale Confederazione hanno dato parecchio al mondo in termini di forza lavoro, competenze artistiche, ingegneristiche e commerciali, ma altrettanto se non di più abbiamo ricevuto dalle numerose popolazioni di stagionali che nel Novecento ci hanno aiutati a costruire la Svizzera attuale e a mantenerla ai suoi alti standard. Gli italiani, gli spagnoli, i portoghesi, gli slavi, i principali bersagli cioè dei movimenti politici che negli anni Settanta gridavano all’inforestierimento, come se non ne stessimo in realtà approfittando tutti.
La duplice natura che da sempre contraddistingue i movimenti dei popoli (l’immigrazione economica e quella dei rifugiati), e i fenomeni di apertura e chiusura che regolano le loro politiche, ci permettono infatti di leggere in filigrana non solo l’evoluzione stessa della storia svizzera, ma anche la sua stessa società, che nel confronto costante con gli altri – suggeriscono gli autori del libro – finisce per raccontarci qualcosa di sé, di quello che vuole e non vuole, di quello che può e non può fare, di quanto sa essere egoista o generosa. Nei giorni un cui si medita di espellere dal nostro paese due povere donne afghane già accolte in Valle Verzasca, sarebbe bene tornare a porci le stesse domande.
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