Il caso Navalny, o del ricorso alla cospirazione
Agli occhi di un esperto svizzero troppe cose non tornano nella tesi dell'avvelenamento
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Agli occhi di un esperto svizzero troppe cose non tornano nella tesi dell'avvelenamento
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Agli occhi di un esperto svizzero troppe cose non tornano nella tesi dell'avvelenamento
Con questo articolo di Jacques Pilet, storico fondatore del settimanale “L’Hebdo” e poi del “Nouveau Quotidien“, abbiamo il piacere di iniziare la collaborazione con il settimanale online romando Bon pour la Tête (che dell’Hebdo è la continuazione ideale).
“L’affaire Navalny. Le complotisme au service de la politique étrangère“, un libro di cui i media non hanno quasi parlato, ha di che incuriosire chiunque sospetti dei racconti semplicistici. Innanzitutto perché è il frutto del lavoro approfondito di un grande professionista dei servizi segreti, Jacques Baud – ora in pensione – che ha passato la propria vita a guardare oltre le apparenze, al servizio della Confederazione, delle Nazioni Unite e della NATO. La sua opera va ben al di là del caso specifico. Smonta i meccanismi della propaganda e dell’azione degli Stati Uniti, seguiti dall’Europa, contro la Russia e altri paesi.
Per l’opinione pubblica occidentale il caso è chiaro. Navalny è stato avvelenato dagli agenti di Putin a causa del suo impegno in favore della democrazia. Tuttavia questa visione non regge all’analisi approfondita dei fatti che ha intrapreso Baud, sulla base delle fonti ufficiali o para-ufficiali, nonché dei media russi dell’opposizione, a esclusione di tutte quelle provenienti dal Cremlino o teleguidate da lì. Il libro non offre la chiave dell’enigma, ma il minimo che si possa dire è che dubitare sia più che legittimo.
L’avvelenamento da Novichok? Benché questa tesi sia stata martellata da numerosi governi e da tutti i media allineati, non esiste alcuna prova. I medici e i diversi esperti tedeschi che hanno analizzato il sangue e le urine del paziente accolto a Berlino, due giorni dopo il suo collasso in aereo e uno scalo all’ospedale di Omsk, hanno constatato “un’intossicazione da una sostanza del gruppo degli inibitori della colinesterasi”. Così come hanno fatto più tardi i ricercatori svedesi, britannici e francesi, che hanno tenuto però segreti i dettagli delle loro scoperte. Il problema è che questi perturbatori del sistema nervoso possono provenire da taluni medicamenti o da un’intossicazione alimentare. Da notare peraltro che il governo tedesco non ha mai incriminato direttamente la Russia. Un esame di tutti i fatti suggerisce che se ci fosse stata la volontà di eliminare Navalny, ci sarebbero stati molti altri mezzi più efficaci e più discreti per farlo. Chi altro avrebbe potuto? Le ipotesi non mancano in un paese dove i mafiosi senza scrupoli sono legioni. Gli affaristi non si fanno regali.
Ma sin dall’inizio, autorità e media occidentali hanno raccontato una storia semplice: la colpa è di Putin! L’entourage dell’attivista ha colto immediatamente la palla al balzo, fornendo del resto numerose versioni contraddittorie di come si è svolta la storia.
Per rendere la narrazione più sconvolgente era anche necessario dipingere un ritratto lusinghiero del personaggio, presentato come un valoroso difensore della democrazia. Eppure la sua biografia mostra altre sfaccettature. Uomo d’affari prima d’essere un politico, Navalny è un ultra-nazionalista non estraneo all’estrema destra russa, xenofoba e razzista. Amnesty International, che ne reclama certo la liberazione, rifiuta tuttavia di concedergli lo statuto di prigioniero di coscienza poiché “si è fatto propugnatore della violenza e della discriminazione e non ha mai ritirato le sue dichiarazioni“.
La sua azione politica? Mirava esclusivamente al rovesciamento di Putin e del suo partito, riunendo i democratici, gli indignati per la corruzione, ma anche la destra ultranazionalista, anch’essa opposta al governo. Nessun progetto coerente per la società, nessun programma preciso. Il campo dei suoi simpatizzanti, secondo dei sondaggi condotti da un organismo dell’opposizione, sembra molto più piccolo di ciò che è stato detto e ripetuto dai media occidentali. L’attuale caccia ai suoi seguaci non è certamente a favore di Putin, ma non è sufficiente a concludere che essi costituiscono un movimento determinante all’interno del gioco politico.
Su questo caso Baud non offre prove, ma una somma straordinaria di informazioni taciute o distorte. A ognuno il compito di farsi un’opinione. È più categorico invece sull’ingranaggio generale di un’interpretazione forzata, che ignora le contraddizioni per costruire un vero e proprio complotto politico. La manipolazione manichea è uno strumento di potere. Può anche ingannare il giudizio di coloro che se ne compiacciono. Come possiamo non vedere la differenza degli sguardi sulle violazioni dei diritti umani quando avvengono in Russia o in Arabia Saudita, o in altri paesi “amici”? Si decretano cascate di sanzioni in un caso, e si distoglie lo sguardo in altri. Punire alcuni, senza grande effetto, e assecondare altri, che a volte si comportano anche peggio, nel proprio interesse. Questa è la politica dell’Occidente. Dove porta? Chi beneficia di questa nuova guerra fredda, a parte i trafficanti di armi?
Leggere questo libro nel momento del disastro della NATO in Afghanistan è tristemente doloroso. Gli errori occidentali danno le vertigini. Ogni volta, invece che una fredda e libera analisi dei fatti, ha prevalso una lettura predeterminata, un approccio volontariamente emotivo alla realtà.
Convinto di questo Jacques Baud ha pubblicato anche un piccolo libro sul dirottamento dell’aereo Ryanair in Bielorussia. Senza provare la minima simpatia per il dittatore in carica, rivela una montatura politica e mediatica che viene minata dalla ricostruzione meticolosa dell’evento, con materiale a supporto. Un solo rammarico: Baud avrebbe potuto menzionare anche gli errori dell’informazione fornita dal Cremlino.
Il suo lavoro ha suscitato molto poco scalpore anche se è a dir poco sbalorditivo. Coloro che sono irritati da queste opere preferiscono sprofondarle nel silenzio. Perché i fatti rivelati non sono facili da contraddire. Che si sia d’accordo o no con le riflessioni di Jacques Baud, s’impone comunque di rendere omaggio al suo sforzo e al suo coraggio.
Jacques Pilet
Traduzione e link: naufraghi.ch
Articolo originale su Bon pour la Tête
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