Tahar Ben Jelloun: Israele-Hamas, la mia lettera a Netanyahu (e a Sinwar)
Ho deciso di scrivere per rivolgermi direttamente ai protagonisti della guerra in corso in Medio Oriente. Ecco cosa voglio che sappiano
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Ho deciso di scrivere per rivolgermi direttamente ai protagonisti della guerra in corso in Medio Oriente. Ecco cosa voglio che sappiano
Signor primo ministro Benjamin Netanyahu,
ho il dovere, in qualità di semplice cittadino, di informarla che ha perso la guerra contro Hamas e i palestinesi.
Lei senza dubbio non lo sa, non perché i suoi servizi le mentano per riguardo, ma perché non è possibile sradicare una popolazione all’interno della quale si ritiene che si trovino i combattenti responsabili dell’orribile tragedia del 7 ottobre. A meno di non uccidere tutti, cosa che lei cerca di fare, indifferente e sordo alle proteste di molti Paesi e molti popoli.
Assassinare, uccidere, arrivare a bombardare abitazioni civili nelle quali muoiono a migliaia famiglie intere, non è fare la guerra, è sfogare una volontà feroce di far scomparire i palestinesi. Non si tratta più di riconoscerli, ma di cancellarli, di fare in modo che non ne resti più nemmeno uno.
Ricordiamo tutti la voce della piccola Hind — sei anni — intrappolata nell’automobile in cui erano appena morti i suoi genitori, mentre chiamava aiuto dicendo che non voleva morire, e che ha finito per essere uccisa da un cecchino con un’ottima mira.
Ci sono centinaia, migliaia di Hind fra le 28.000 persone morte a Gaza dall’inizio della rappresaglia. Ricordiamo anche quel padre che, seduto in mezzo ai corpi dei figli e della moglie crivellati di colpi, invocava la morte, perché per lui sarebbe stato meglio morire che vivere senza di loro.
Lei ha perso la guerra perché non si vince mai uccidendo alla cieca, scientemente, volontariamente, persone disarmate, affamate, smarrite, disperate, che cercano riparo dalle bombe che piovono senza sosta su di loro.
Ha perso la guerra perché, contro ogni previsione, la causa palestinese è tornata alla ribalta e ha ricevuto l’appoggio del mondo intero, anche dell’America, del Regno Unito e dei Paesi europei.
Capi di Stato fra i più importanti, a cominciare da suoi amici e complici dell’amministrazione americana, le chiedono un cessate il fuoco, le chiedono di non perseguire oltre la sua vendetta, di non colpire la popolazione rifugiata a Rafah.
Il Sudafrica ha avviato una procedura presso la più alta giurisdizione delle Nazioni Unite accusando lo Stato di Israele di genocidio nei confronti dei palestinesi nella guerra di Gaza. Più di 50 Paesi si sono uniti all’azione di Pretoria. Il Consiglio per i Diritti umani delle Nazioni Unite ha condannato le sue azioni.
Lei ha perso la guerra perché non si fa la guerra violandone le regole e i principi. Siamo abituati al fatto che Israele non prende mai sul serio le risoluzioni di condanna delle Nazioni Unite. Questa volta però si tratta di genocidio, crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Presto o tardi lei sarà giudicato per questi crimini.
Lei ha perso la guerra perché la maggioranza dei vertici di Hamas è ancora attiva. Senza dubbio perché la popolazione li aiuta e li protegge, non necessariamente perché ne condivide l’ideologia o perché approva le atrocità che alcuni di loro hanno commesso il 7 ottobre, ma perché solo Hamas sembra in grado di infliggerle una sconfitta, se non militare, almeno morale e politica.
Lei ha perso la guerra perché, per quanto generalizzati siano i massacri, non riuscirà a eliminare la determinazione alla resistenza di un popolo in lotta contro uno Stato da lei trasformato in un carnefice e un genocida.
Mi rivolgo anche al capo di Hamas, Yahya Sinwar, l’uomo che ha trascorso diversi anni nelle prigioni israeliane, considerato responsabile dell’attacco del 7 ottobre ed eletto nemico numero uno di Israele, che lo cerca ovunque ma invano per ucciderlo.
Nessuno sa dove siano lui e gli altri dirigenti di Hamas, Mohammed Deif, Ismail Haniyeh e Khaled Meshal, è impossibile localizzarli. Dopo la sconfitta di Khan Younis, Sinwar rischia di perdere il comando di Hamas.
Quello che desidero dirgli è semplice.
Sinwar, lei ha l’ambizione di diventare l’eroe del popolo palestinese, ha sofferto in prigione, ha pianificato l’attacco del 7 ottobre, il suo popolo continua a essere bombardato e lei sa che il primo ministro israeliano non intende cedere né negoziare e ha dichiarato più volte di voler sradicare Hamas, farla sparire.
Se Netanyahu ha perso la guerra, non significa che Hamas l’abbia vinta. Il prezzo che il popolo palestinese sta pagando ogni giorno è immenso. Intere famiglie muoiono sotto le bombe israeliane.
Che cosa fa lei per proteggere il suo popolo? Si nasconde nei tunnel, dove nessuno può vederla. Ma il popolo ha bisogno di un leader, di un capo che diriga la guerra e lo tenga al riparo.
Lei è riuscito a dare nuovo impulso alla causa palestinese. Sono state organizzate manifestazioni di sostegno in tutto il mondo. Non è più una causa dimenticata.
Lei sa che Netanyahu rifiuterà ogni negoziazione e ogni mano tesa. Usi l’immaginazione per trasformare le sue sconfitte in una vittoria e permettere al popolo di Gaza e della Cisgiordania di recuperare le proprie terre e le proprie case bombardate.
Lei sa anche di non poter contare sui Paesi arabi della regione. Del resto, non si sono mossi per venire in aiuto di chi sta morendo sotto le bombe.
La sua solitudine è la sua forza, ma continui a privilegiare la soluzione dello scambio degli ostaggi con i palestinesi prigionieri in Israele. Faccia in modo che Israele la accetti. In guerra non si fanno sconti, ma il rapporto di forza è tale da permetterle di imporre una simile soluzione.
(Traduzione di Alessandra Neve)
Nell’immagine: Tahar Ben Jelloun
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