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Naufragi

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Flora Ruchat-Roncati: le riflessioni e l’eredità culturale di un’architetta esemplare
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Primo anniversario
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Ezio Mauro – La guerra di Putin è un attacco al nostro mondo
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Ezio Mauro – La guerra di Putin è un attacco al nostro mondo

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Yurii Colombo – I russi preoccupati da una guerra già persa

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La nave dei folli – Perché non dichiariamo guerra a Putin?
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Silvano Toppi
Silvano Toppi
La nave dei folli – Perché non...
• 25 Febbraio 2023 – Silvano Toppi

Nel periodo elettorale i contributi di candidate e candidati sono benvenuti sulla nostra zattera secondo queste regole

Probabilmente alcuni metteranno il berretto in feltro del Che in capo all’ex-senatore Dick Marty (uno degli ultimi veri “liberali” rimastici e della cui competenza, per quanto ha ricercato, fatto e denunciato in nome della libertà, della democrazia e della giusta “sovranità” di un paese, non si può dubitare), accusandolo probabilmente di non aver filosofato quanto basta o di non aver azzerato “i vecchi pregiudizi ideologici” perché ha osato dire, in una intervista al Tg, che nel conflitto ucraino “c’è un grandissimo vincitore, i mercanti, i produttori d’armi, tanto che anche la conferenza di Monaco, che doveva essere una conferenza di pace, è stata sponsorizzata in parte da fabbricanti d’armi, ciò che pochi media internazionali hanno rilevato”. E neppure i filosofi. E per aver anche aggiunto che una seria collocazione “storica” di quanto sta accadendo, senza ovviamente giustificare l’aggressione russa, aiuterebbe a capire o a… utilmente filosofare.

Tra le grandi follie del momento, ci sono infatti tre atteggiamenti che immancabilmente emergono e portano a quel genere di condanna:

  1. se sei contro le armi, o sei un inetto o un semplicione perché si sa che le contese, le guerre, si risolvono solo con le armi, anzi con la sovrabbondanza di armi di ogni genere, difensive o offensive che siano, senza ipocrita distinzione onusiana o elvetica (cioè, solo armi difensive quando si è di fronte a un’aggressione); quindi è incomprensibile la titubanza nell’invio a Zelensky di carri armati Leopard e Abrams, aerei americani F-15, razzi a lunga gittata o munizioni svizzere per i Leopard;
  2. se dici di volere la pace, che presuppone accorgersi finalmente della folle distruzione di tutto per uscirne e giungere a trattative e quindi a cedimenti da una parte e dall’altra, sei un ambiguo (come il papa) o un rinnegato cui la difesa dei diritti umani e di un popolo non interessa;
  3. se osi porre qualche punto interrogativo sulla politica statunitense, sulla predominanza della Nato in ogni scelta politica, sull’accodamento belligerante dell’Europa agli Stati Uniti senza saper assumere una propria funzione mediatrice e certamente più credibile e meno economicamente e imperialmente interessata (ci voleva una Merkel, dirà qualcuno!), eccoti subito accusato di sinistrismo o di “vecchi pregiudizi ideologici” (antiamericani? anticapitalisti? antimperialisti?).

Come spesso in ogni follia, c’è un che di paradossale in tutto questo. A stretto rigor di logica (la quale è parte essenziale della filosofia e dovrebbe strutturarne il ragionamento), se tutto quanto abbiamo rilevato fa da premessa, la conclusione dovrebbe essere una sola: l’Occidente (Stati Uniti ed Europa) e la Nato (con tutto il suo imponente armamentario, fortemente accresciuto nell’’ultimo anno con maggiori e “obbligati “dispendi degli Stati, compresa la Svizzera, e con grandi affari dell’industria delle armi, come negli Stati Uniti), convinti che solo sconfiggendo la Russia si salva, non solo l’Ucraina di Zelensky, ma i diritti dell’uomo, la libertà, la democrazia, dandosi anche la certezza che non rinascano altre tentazioni e la triste storia si ripeta, ecco, allora non si perda più tempo e dignità e si dichiari finalmente guerra a Putin, causa di tutto, e lo si distrugga. È la logica delle armi, della guerra, dell’antipacifismo, la fine finalmente dei vecchi pregiudizi ideologici che sarebbero finalmente sconfitti anch’essi da un’altra grande vittoria.

Non dichiariamo guerra a Putin come si dovrebbe per due motivi: primo, perché forse ci basta farla per procura, interessante anche economicamente (solo per gli Stati Uniti), fornendo solo le armi (che sono un affare); secondo, perché non vogliamo e temiamo la guerra (almeno i popoli), anche se ne stiamo tremando, perché non abbiamo ancora capito (i grandi capi politici, molto meno quelli militari, una volta tanto più intelligenti) sino a dove può portare la cosiddetta “escalation”, immancabile e non a caso termine inglese che torna spesso nei telegiornali, sui giornali e persino in qualche comunicato ufficiale.

Post scriptum Per rilevare, con due fatti recenti, una logica (o una legge) altrettanto singolare: più i diritti umani o dei popoli sono geograficamente lontani dal tuo epicentro politico o economico e quindi anche dalla continua attenzione o dei media o delle istituzioni internazionali e dunque dalla minor pubblicità sia politica-istituzionale sia spettacolare, più te ne puoi fregare rispetto a quello che proclami e al contrario fai e più ne puoi approfittare subdolamente per invadere e dilagare come vuoi.


Ipocrisia gigantesca. Società americane ed europee (Austria, Germania) e giapponesi sono implicate in catene di approvvigionamento di armi al regime birmano (ha rilevato il quotidiano inglese The Guardian), regime repressivo già condannato da un rapporto Onu per i 17.200 prigionieri politici e la eliminazione di 2.730 oppositori, attualmente sotto inchiesta da parte della Corte internazionale di giustizia per genocidio. Secondo un rapporto del Consiglio consultivo speciale per il Myanmar, un’associazione di esperti indipendenti, quelle forniture possono essere utilizzate dalla giunta per “episodi di repressione feroce” per mantenere il terrore sul paese e la popolazione. Il giornale inglese parla di “ipocrisia gigantesca”.


Un delitto coloniale. Mercoledì scorso Human Rights Watch ha accusato Gran Bretagna e Stati Uniti di essere ritenuti colpevoli di crimini contro l’umanità perché hanno dislocato forzatamente delle popolazioni indigene sull’arcipelago contestato dei Chagos, nell’oceano Indiano. In un rapporto di oltre cento pagine l’organizzazione di difesa dei diritti umani si basa su centinaia di testimonianze e di documenti ufficiale per sottolineare “le persecuzioni razziali” di Londra e Washington, un “delitto coloniale”. Il motivo dello spostamento forzato della popolazione dei Chagos è quello di poter estendere una base militare comune tra Gran Bretagna e Stati Uniti e installarvi piattaforme di lancio per razzi intercontinentali. La base militare ha già avuto un’importanza rilevante durante i conflitti in Iraq e Afghanistan.






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