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• 25 Febbraio 2023 – Benedetto Antonini

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Sono molto riconoscente ad Enrico Lombardi, redattore di Naufraghi, per aver attirato la mia attenzione sul recente libro curato da Nicola Navone e dedicato a Flora Ruchat-Roncati nel decimo anniversario dalla sua scomparsa. Il libro si compone di tre parti principali: l’introduzione critica del curatore, la parte tecnica disciplinare, e la parte degli scritti più personali di Flora.

Nella prima parte si apprezzerà la serietà del ricercatore, direttore nell’Archivio del moderno, Il quale si è assunto l’oneroso compito di fare una scelta logica tra gli scritti e le interviste della grande architetta. Seppure egli affermi che ella non era di quegli architetti che amano scrivere molto e sovente, Si può desumere, scorrendo le abbondanti appendici in calce al volume, che Flora Ruchat-Roncati, di tanto in tanto, prendeva la penna e in quei casi i suoi scritti “lasciavano il segno. I testi sono brevi, chiari e profondi, ognora un invito alla riflessione per un impegno totale al servizio di una causa tanto nobile, quanto carica di responsabilità, come la trasformazione del territorio.
 In questo capitolo introduttivo si nota come Nicola Navone e, e non era certo un caso isolato, nutrisse un rapporto affettivo e di profonda stima nei confronti di Flora. Sentimenti che, ovviamente, gli hanno reso più difficile il compito di selezione dei documenti scritti o disegnati, in gran parte conservati presso il suo Archivio. In ogni caso occorre esser grati a lui per la sua pertinente scelta e all’editore per aver messo a disposizione di tutte le persone interessate alle questioni del territorio e della sua trasformazione una sintesi estremamente ricca di insegnamenti e di stimoli alla riflessione.

Dal profilo del pensiero disciplinare, ritengo che traspaiano, sia nella seconda che nella terza parte, la grande umanità ed il rigore morale di Flora Ruchat-Roncati, ossia il suo senso di responsabilità nei confronti non solo del territorio e dei suoi spazi, ma anche e, forse, soprattutto nei confronti della società, poiché come essa stessa afferma (pag. 132): “La manipolazione dello spazio, il progetto, dunque, ha sempre l’uomo al centro della riflessione e si estende in una dimensione squisitamente collettiva e culturale che deve resistere nel tempo”.

Percorrendo gli scritti prescelti si ricava il convincimento che l’architetta declinasse in ogni frangente della vita, sia essa professionale o privata, la medesima coerente rettitudine, la fedeltà ad un pensiero strutturato con chiarezza e basato su alcuni principi dichiarati e ripetuti, magari con parole diverse, in ognuno di essi. Sempre ritornano i medesimi termini cari, quali modestia, capacità di ascolto, rifiuto del protagonismo e dei comportamenti sguaiati.

E questo si verifica sia che si tratti di descrivere la sua collaborazione con Rino Tami per la consulenza architettonica nella progettazione dell’autostrada in Ticino, la sua consulenza architettonica per la Transjurane, o della progettazione delle tratte a cielo aperto di AlpTransit, oppure ancora quando parla del suo maestro, Rino Tami, per l’appunto, o rivolge parole quasi poetiche all’indirizzo di Alberto Camenzind, collega amico, oppure, infine, quando esprime i ricordi della sua vita, dall’infanzia alla maturità, nella bella intervista curata da Lucia Morello.

Altrettanto ricorrente e il concetto secondo cui ogni luogo e ogni spazio ha una sua dignità che merita rispetto, non solo perché contiene valori di memoria, ma anche perché questi valori possono e devono dettare tutte le scelte progettuali. In qualche passo si legge che la trasformazione di un luogo deve configurarsi in modo che l’osservatore abbia l’impressione che il nuovo è sempre stato lì. Il luogo stesso contiene le regole per la propria trasformazione; sta all’architetto scoprirle e realizzarle.  Si legge, infatti (p.78) “I principi dell’approccio architettonico rimangono fondamentali. Su questo credo non ci sia molto da inventare. La triade vitruviana rimane sacrosanta: alle firmitas, utilitas e venustas si deve aggiungere il luogo, inteso come generatore del progetto. Nessuna invenzione, ma piuttosto una traduzione adeguata delle premesse tecnologiche e funzionali, la progettazione della forma non è autonoma. Bisogna dare molto peso al contesto e alla nozione di progetto, come modificazione del luogo, dando ad esso un valore alto rispetto alla tradizione, che non è una tradizione congelata, ma un’esperienza che, come diceva Rogers, si modifica.
 Detto con parole più semplici (p. 132): “Una regola: quella di riuscire a leggere il luogo e le sue preesistenze; una delle prime forme di approccio al progetto, un’ancora sicura. Questo dialogo fa sì che ogni cosa dovrebbe essere lì e non altrove, come se ci fosse sempre stata.”

Illuminante e pure il passo in cui Flora Ruchat-Roncati descrive il processo mentale del progettare
(p. 131): “… poi l’operazione progettuale avviene in parallelo in un percorso interattivo e non lineare, ma contorto, pieno di tranelli, di dubbi, di ritorni. Poi il progetto deve essere via via semplificato (non banalizzato!) un processo complesso di riduzione rispetto agli obiettivi e ai mezzi per raggiungerli. Dapprima hai sul tavolo una marea di oggetti già prescelti, poi poco per volta selezioni quei pochi che davvero ti servono e alla fine il dubbio di aver “buttato con l’acqua sporca anche il bambino” potrebbe rimanere, ma non per molto.”

Suppongo che nell’ambito nelle sue numerosissime letture e della sua immensa e variegata cultura Flora Ruchat-Roncati conoscesse gli appunti rimasti di Antonio Gaudi, il quale, già nella seconda metà dell’Ottocento, esprimeva concetti analoghi: il prodotto architettonico è valido quando l’autore ha spogliato il suo progetto da tutto ciò che non è assolutamente necessario per la sua funzione e per la sua presenza nel contesto territoriale in cui verrà realizzato. In definitiva, questo libro di piccole dimensioni contiene un immenso tesoro, ossia la lezione essenziale per chiunque voglia essere architetto nel senso culturale del termine, ossia quel professionista che, in dialogo con altri specialisti, si fa carico d’interpretare l’insieme delle esigenze del compito e lo traduce in un’opera che si inserisce, come vogliono la deontologia e la legge, in modo ordinato e armonioso nel territorio che lo accoglie. Non posso che concludere con parole di Flora Ruchat-Roncati, un invito all’impegno civile e, allo stesso tempo, un malinconico monito (p. 133):

“È anche un diritto -primario- quello di avere uno spazio adeguato alle esigenze di vita. Purtroppo, resta privilegio di pochi, ma l’architettura, in questo senso, è un servizio da rendere per una società più giusta. Detto così è un’utopia un po’ passata di moda nel nostro mondo globalizzato, enfatizzato dalla voglia di apparire e da un eccesso di invenzioni sovente gratuite.”

Flora Ruchat-Roncati – Memoria e trasformazione – Scritti e conversazioni su architettura e territorio, a cura di N. Navone, Edizioni Casagrande Bellinzona 2022






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