La Svizzera si comporta come un bambino viziato quando si tratta di energia
Le questioni più scottanti di fronte ad un possibile blackout secondo Stéphane Genoud, professore di gestione energetica
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Le questioni più scottanti di fronte ad un possibile blackout secondo Stéphane Genoud, professore di gestione energetica
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Le questioni più scottanti di fronte ad un possibile blackout secondo Stéphane Genoud, professore di gestione energetica
Di Sarah Sermondadaz, Heidi.news (traduzione a cura della redazione)
L’aumento dei prezzi dell’elettricità, i timori di un blackout invernale, il salvataggio di Axpo da parte del Consiglio Federale. Il prossimo autunno si preannuncia ricco di novità e di incognite in campo energetico. Heidi.news ne ha parlato con Stéphane Genoud, professore di gestione energetica presso l’Alta Scuola di gestione ambientale a Sierre.
Professor Genoud, secondo lei, il Consiglio federale, che ha recentemente annunciato una vasta campagna di comunicazione sul risparmio energetico, ha preso le misure della situazione?
La probabilità che il prossimo inverno non si verifichi un blackout non è ovviamente da scartare. Una campagna come quella che è stata annunciata però può insegnare a qualcuno come risparmiare un po’ di energia ogni inverno, ma a mio parere non è all’altezza della sfida. In qualche modo ci prendono per bambini.
Una cosa è dire che la Svizzera ha un deficit energetico, ma poi gli esperti incaricati dalle autorità e le autorità stesse dovrebbero spiegarne le implicazioni direttamente al pubblico. Mi sarebbe piaciuto vedere la signora Sommaruga in diretta televisiva con alcuni esperti per un’ora per rispondere alle domande del pubblico, sarebbe stato importante.
La radice del problema è che consumiamo troppa energia. Dobbiamo lavorare per intervenire su stabili, case e palazzi attraverso adeguate e rinnovate misure di isolazione, e dobbiamo assolutamente porre fine alla nostra dipendenza dal gas. Ma cosa stiamo facendo concretamente per ridurre la nostra produzione di CO₂? Ci comportiamo come bambini viziati.
Ma la situazione è preoccupante…
È una tempesta in un bicchier d’acqua. Ogni giorno milioni di persone sulla Terra non hanno accesso all’energia. Noi abbiamo energia in abbondanza, e siamo talmente ben abituati che quattro ore di interruzione programmata della corrente in inverno ci sembrano la fine del mondo. Naturalmente, si tratta di misure che possono diventare problematiche se non sono pianificate. Ma se dovessimo subire dei blackout programmati, non sarà la fine del mondo, sarà solo segno che siamo stati cattivi gestori del nostro patrimonio energetico.
I tagli sull’energia potrebbero però avere conseguenze disastrose per chi è già fragile e in difficoltà.
È vero. A mio avviso, il rischio principale non riguarda gli ospedali, che spesso sono attrezzati per affrontare il rischio di blackout. Sono più preoccupato per le Case per anziani e per le persone con mobilità ridotta o che necessitano di attrezzature speciali e che vivono a casa. I Comuni dovrebbero avere o approntare liste di persone vulnerabili cui destinare la massima attenzione, ma non sempre fanno questo lavoro, che logicamente risulta ancora più complesso nelle grandi città.
Perché ci è voluto così tanto tempo per reagire a questa situazione? Il rischio è ben noto dalla fine del 2021.
Il rischio è noto da quando Guy Parmelin lo ha annunciato nel settembre 2021. Cioè molto prima della guerra in Ucraina e della chiusura delle centrali nucleari francesi! Il fatto è che dobbiamo prendere davvero sul serio la nostra dipendenza dai combustibili fossili e la nostra dipendenza dalle importazioni di energia. La discussione di un accordo energetico fra Aziende elettriche dovrebbe essere un argomento da dibattere a livello popolare. Ma abbiamo già mostrato il nostro attuale grado di sensibilità per la questione con il voto sulla legge sul CO₂.
Secondo lei, i politici federali prendono abbastanza sul serio le questioni energetiche e climatiche?
Nel maggio scorso si è tenuto un importante incontro tra parlamentari e scienziati a Berna dove sono riuscito a riunire una folta delegazione del Vallese e quando il capo Dipartimento dell’Ambiente del Vallese riesce a dire alla stampa che non mette in discussione il cambiamento climatico ma che non è un’emergenza, ecco, allora siamo ad un punto drammatico, perché il Vallese, appunto, è uno dei Cantoni che soffrirà di più in Svizzera, a causa dello scioglimento dei ghiacciai e della destabilizzazione del permafrost nelle montagne, che porterà a frane. La consapevolezza è ancora troppo carente.
Sono stati annunciati aumenti record dei prezzi dell’elettricità, con un incremento medio del 27% secondo la Commissione federale dell’energia. Le autorità politiche devono intervenire?
Quante persone leggono davvero la bolletta dell’elettricità? Le persone ricche spesso non hanno idea di quanto pagano. Certo, dovremmo sostenere le persone a basso reddito, quelle che faticano ad arrivare a fine mese, e fare in modo che non debbano scegliere tra un pasto caldo e pagare l’assicurazione sanitaria. Tecnicamente, questo sarebbe abbastanza facile da fare, basterebbe la dichiarazione dei redditi. Ad ogni modo, l’intervento politico non è necessariamente auspicabile. In Francia, lo scudo energetico non ha risolto nulla, ma ha semplicemente ritardato il momento in cui il contribuente pagherà il conto, mentre riempie le tasche delle compagnie petrolifere. Ed è peccato, perché ogni franco della fattura per l’energia avrebbe potuto essere investito nelle rinnovabili. Non è che non sappiamo come costruire edifici a energia positiva, che producono più elettricità di quanta ne consumino, ma stiamo perdendo un terzo delle persone interessate a installare le energie rinnovabili nelle loro case a causa dei costi. Se lo Stato investisse maggiormente negli incentivi il costo di un impianto si ripagherebbe in meno di 10 anni.
I politici di destra e i rappresentanti dell’economia parlano ora di rilanciare l’energia nucleare e di costruire nuove centrali. Sarebbe una buona idea?
Qualche giorno fa il direttore della centrale nucleare di Gösgen, un dirigente di Alpiq, ha spiegato lui stesso la riluttanza dei produttori di energia elettrica a investire oggi in una nuova centrale nucleare. Di fronte al rischio di un blackout, abbiamo bisogno di elettricità ora, non tra 30 anni, e il costo di un chilowattora da energia nucleare sta salendo alle stelle. Certo, un giorno potrebbe esserci la fusione nucleare, ma non siamo ancora a quel punto, non possiamo certo farvi affidamento. I politici di destra pensano che il nucleare sia una formula magica. Per certi ambienti a Berna pare quasi automatico pensarci come se fosse una mera questione tecnica. Del resto sappiamo bene che sui banchi federali siedono non poche persone elette per la loro visione tecnocratica di questa fase di transizione energetica.
Secondo lei la paura di un blackout elettrico può servire da acceleratore per la transizione energetica, che è ancora così lenta?
Le risponderò facendo riferimento alla crisi del Covid-19. Quanti morti abbiamo dovuto contare durante la crisi? Eppure abbiamo abbandonato le maschere e abbiamo ricominciato ad abbracciarci e baciarci. Un vero movimento di sensibilizzazione può partire solo dal basso, come nell’isola danese di Samsø, che è diventata un modello mondiale di energia rinnovabile, anche grazie al coinvolgimento della popolazione.
Mi chiedo se la Svizzera abbia perso questa opportunità. Ci sono stati movimenti giovanili per il clima (Sciopero per il clima, Extinction Rebellion), che hanno molti più alleati che nemici. Ma se questi giovani, che scendono in strada e protestano, sono forti collettivamente, sono invece fragili individualmente, e tanto più da soli davanti a un giudice, come capita che finiscano certe manifestazioni. Se li separiamo, è finita. Ma abbiamo bisogno di movimenti dalla strada. Noi adulti abbiamo troppo da perdere, e naturalmente non siamo portati a correre il rischio di finire in prigione.
In filigrana, dietro la questione della scarsità di energia c’è anche la questione della sobrietà.
Abbiamo vissuto a lungo al di sopra delle nostre possibilità e ora ci troviamo davanti segnali seri di cambiamento radicale. Non è solo una questione di energia, ma anche di sicurezza alimentare, poiché l’Ucraina, che è in guerra, è stata a lungo uno dei granai del mondo. Non stiamo parlando di caviale, ma di grano. Ma restando strettamente al solo tema energetico, si pensi, ad esempio, al modo in cui il problema si sta presentando nel Regno Unito, dove le bollette stanno aumentando a ritmi allarmanti.
Dobbiamo parlare di resilienza e sobrietà, certo, ma dobbiamo anche parlare di decrescita. Io formo economisti, e una delle uniche volte che sentono parlare di decrescita è probabilmente nel mio corso. Dobbiamo parlare di modelli di economia circolare, di cooperative… Non siamo assolutamente ancora pronti, come forma mentale, per affrontare quello che ci accadrà. Dobbiamo cominciare subito a chinarci sulle condizioni che ci permetteranno di essere più resilienti. Questa è la prossima grande questione, e i governi e le aziende non l’hanno ancora capito.
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