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La denuncia di un rovinoso progetto a Carona


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Villaggi traditi
• 14 Aprile 2021 – Redazione
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Dopo 9 anni di matrimonio, la sposa si sente trascurata, se non addirittura tradita. Era il 2013 quando Lugano puntò al primato della città più grande della Svizzera per estensione territoriale. E chiese la mano ad altri 7 villaggi, tra cui Carona. Durante la celebrazione Lugano esordì così: “Carona apporta in dote alla Città vasti ambienti naturali e paesaggistici di pregio, zone edificabili, boschi, prati, campi e una zona residenziale di qualità, che offrono la possibilità di svago, ricreazione e turismo”

Portare in dote? Lugano sposa Carona? Metafora già allora indicativa. La dote, infatti, era “tradizionalmente, il complesso dei beni che la moglie, o altri per essa, portava al marito come contributo agli oneri del matrimonio” (Treccani). Fuor di metafora si sarebbe potuto e dovuto piuttosto precisare che con l’aggregazione tra Lugano e Carona e altri paesi attorno alla città, erroneamente chiamati “Quartieri”, la nuova Lugano avrebbe dovuto assumere importanti responsabilità: per esempio riconoscerne l’importanza paesaggistica, storica ed edilizia. Potenziarne i servizi, e darsi gli strumenti e le competenze per conoscerne meglio le peculiarità, in modo da garantire e finanziare la loro corretta tutela, e valorizzarle per quello che rappresentano. A 9 anni dalle ultime aggregazioni, le attese verso la cura di questi territori, di Carona nello specifico, ma anche di Sonvico, di Brè e di Gandria da tempo villaggi facenti parte di Lugano, sono andate deluse.

Ecco perché “Villaggi traditi”. Con la nascita di un movimento che punti ad una visione identitaria della città e dei suoi villaggi aggregati. Eppure, due anni fa il Sindaco Marco Borradori disse: “Abbiamo bene in chiaro cosa fare. “Approfondite riflessioni incentrate sul rapporto tra città e nuclei sono da tempo avviate e saranno componente centrale delle strategie sviluppate nel quadro del Piano direttore comunale”. In realtà nulla si vede ancora all’orizzonte. Anzi, oggi è sempre più chiaro che non c’è nemmeno un abbozzo di Piano direttore comunale. Ciò che si osserva è invece la mancanza di riflessione, di pensiero politico e culturale, di una strategia che diriga l’azione del Municipio verso un armonioso sviluppo nella realtà odierna. Come mai questa rovinosa lacuna? L’impressione è che (anche nell’esecutivo) manchi del tutto la volontà di conoscere la situazione, di studiarla, di approfondirla, per poi agire con un piano complessivo.

Insomma, non si capisce quale identità voglia avere questa Grande Lugano, che non è più soltanto la città del passato, ma la città che aggregando una ventina di villaggi con i loro nuclei storici, ha cambiato dimensioni e volto. Non la si può governare come nel passato, ma facendo in modo che si identifichi anche con le nuove realtà che la compongono: non più solo una città sul lago, ma una Lugano che deve sentire come suoi, profondamente suoi, i nuclei storici e i loro dintorni, una realtà periurbana, ricca di valori storici naturali e paesaggistici. In realtà si va in tutte le direzioni, disordinatamente e svogliatamente, senza un’idea precisa. Col rischio di fare letteralmente dei disastri.

Uno su tutti è Carona. Questo villaggio ISOS, dunque protetto a livello federale, ha conservato con cura la sua storia culturale e artistica. Ha un nucleo molto vivo, con tante famiglie, manifestazioni artistiche ed è per questo conosciuto in tutta Europa. Eppure, negli ultimi anni troppi problemi sono rimasti irrisolti e mortificando il paese e i suoi abitanti. La viabilità è un esempio clamoroso, con auto che sfrecciano o che intasano la stretta strada che taglia in due il paese; c’è poi il cronico dilemma dell’assenza di parcheggi; e non da ultimo il futuro della famosa PISCINA, situata in un parco e ideata negli anni Sessanta da Luigi Giussani, che fu anche l’artefice della funivia Melide-Carona e del Parco San Grato. Ma perché, cosa sta succedendo per quella storica piscina (peraltro molto suggestiva e particolare nel suo genere). Carona è sempre stata in grado di gestire da sola questa struttura nonostante il suo deficit. Con l’aggregazione si pensava che la potenza della “grande Città” non solo riuscisse a sostenere la spesa di una piscina unica in Ticino per il contesto paesaggistico, ma che la si potesse finalmente rimodernare. E invece… nulla. Anzi con il pretesto dei problemi di spesa, il Municipio di Lugano ha spesso minacciato di chiuderla.

Ma poi la sorpresa. Nell’ottobre del 2019 il Municipio annuncia di aver trovato una soluzione. Si è fatto avanti un investitore privato. Prendere o lasciare, fanno capire le autorità cittadine. L’unica alternativa alla chiusura. Ma subito ecco la seconda sorpresa. Su un investimento totale di 7 milioni di franchi, necessari al risanamento della piscina e annessi il Municipio ce ne mette ben 6. Un autentico regalo all’investitore privato, che con un solo milione si prende tutta la zona più pregiata. E a cosa servirebbe l’unico milioncino sborsato dall’imprenditore? A costruire 50 casette di legno da sparpagliare nel cosiddetto Glamping, un campeggio che vuole essere glamour. Riassumendo: più dell’85% dell’investimento totale sarebbe composto da soldi pubblici. Di noi cittadini.

Non è finita. Ecco l’ultima (si spera) sorpresa. L’infrastruttura viene sì risanata con i soldi pubblici, ma alla popolazione rimane con soltanto 1/3 del sedime, che in questo modo perde tutta la zona collinare più pregiata. E, udite udite, c’è persino il rischio che a luganesi e turisti non sia nemmeno concesso di accedere alla piscina. Un’ipotesi evocata nel progetto complessivo, là dove si parla di un possibile uso esclusivo dei clienti del Club Village. Alla faccia di una piscina che fa parte della grande Lugano. E dei benefici del turismo di cui la Città si vanta. Bisognerà tornare anche sull’impatto ambientale di un simile progetto. Per ora limitiamoci a denunciare il fatto che il Municipio da una parte sostiene di non avere i soldi per ristrutturare la piscina, tuttavia ci mette 6 milioni (praticamente regalati al privato) quando è evidente che un oculato investimento pubblico (e persino minore di 6 milioni) permetterebbe di rendere attrattiva la struttura, di avere più clienti e di compensare in questo modo le spese di gestione. E poi è sempre sostenibile il concetto che ogni cosa pubblica e di servizio debba generare un profitto? In questo caso evidentemente no, visto che non sarebbe né pubblica, né di servizio. Indifferente a tutti questi argomenti, il Municipio è andato per la sua strada e in gennaio ha chiesto al Cantone la revisione del Piano Regolatore per consentire l’edificazione del villaggio turistico. La risposta del Cantone è stata chiara per chi ha orecchie per intendere. Nel suo rapporto sottolinea, infatti, la necessità di garantire una gestione parsimoniosa del suolo, il rispetto del paesaggio e della qualità urbanistica. E indica che si tratta di una zona speciale necessaria all’adempimento di un interesse pubblico a servizio della collettività. Nella risposta viene evidenziato il fatto che il Club Village diventa elemento invasivo per le sue notevoli dimensioni, con l’inevitabile e inaccettabile riduzione degli spazi riservati alla popolazione.

Anche la STAN (La Società ticinese per l’Arte e la Natura) ha sentito di dover prendere posizione. E lo ha fatto in termini molto critici, e sottolinea “una pianificazione in netto contrasto con la pubblica utilità che viene richiesta dalla legge per qualsivoglia misura pianificatoria”. Ci pare quindi indispensabile reagire, promuovere un serio dibattito su questi temi, opporci a progetti improvvisati e irreversibili.

Il gruppo Villaggi traditi (autori noti alla redazione)
www.villaggitraditi.ch






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