Le due guerre mondiali
Un saggio profetico scritto nel 1934 dalla filosofa Simone Weil pare ancora attualissimo per descrivere quanto sta avvenendo oggi
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Un saggio profetico scritto nel 1934 dalla filosofa Simone Weil pare ancora attualissimo per descrivere quanto sta avvenendo oggi
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Un saggio profetico scritto nel 1934 dalla filosofa Simone Weil pare ancora attualissimo per descrivere quanto sta avvenendo oggi
Due tipi di guerra sono in verità in corso – e sono due guerre mondiali. Quella classica, grande o per frammenti, che si gioca anche oggi con le armi per il potere geopolitico e geoeconomico / tecnologico; e quella specifica del sistema tecno-capitalista contro la Terra e l’ambiente, una guerra che dura dall’inizio della rivoluzione industriale, tre secoli fa, di cui subiamo gli effetti sempre più gravi e sempre più veloci – la crisi climatica e ambientale, la siccità – ma della quale siamo resi incapaci di vedere la causa e soprattutto di rimuoverla; e la causa è appunto il capitalismo soprattutto industriale, e questo ce lo dice la storia con i dati sulla CO₂. La prima guerra produce il ridisegno dei rapporti di forza all’interno del capitalismo, ma sta producendo oggi anche quello (voluto) di rimuovere dalla scena la seconda. Per le oligarchie, le guerre – e torniamo sul punto perché ci sembra importante – devono essere normalizzate e accettate altrimenti addio profitti e potere. E quella alla Terra deve essere anch’essa normalizzata e accettata (e si inventa la resilienza) perché sia compatibile con le prioritarie esigenze del capitalismo.
Il tutto favorito dal crescere delle politiche securitarie / autoritarie anti-democratiche. La democrazia sta infatti morendo in Europa e negli Usa e non ce ne accorgiamo, anzi la produciamo, questa morte, ogni giorno di più con la nostra indifferenza, tutto per la felicità delle oligarchie, delle tecnocrazie e delle lobby. Con l’autocrate ungherese Orbán – modello degli italiani Salvini e Meloni che si apprestano a conquistare l’Italia – sovranista, razzista, orgogliosamente illiberale e negazionista della crisi climatica; Orbán che va in America a rafforzare l’internazionale fascista (come chiamarla altrimenti?) parlando di guerra ideologica alla Conservative political action conference (Cpac) degli ultraconservatori e dei trumpiani americani. Perché, ha detto, “Siamo impegnati nella stessa guerra, dobbiamo coordinare il movimento delle truppe” contro il progressismo, contro i diritti civili e politici (“Più Chuck Norris, meno travestiti!”) e soprattutto contro quelli sociali e oggi ambientali, i più pericolosi per il capitale. E l’Inflation Reduction Act, il maxipiano di Biden di interventi anche per il clima e recentemente approvato dal Senato Usa sarà prontamente rimosso – c’è da scommetterlo – dopo le prossime elezioni di mid-term e il trionfo previsto della destra, così da poter continuare la guerra mondiale alla Terra in nome del profitto.
Se questo è dunque il contesto (pessimo) torniamo a rileggere i classici. In questo caso le Riflessioni sulle cause della libertà e dell’oppressione sociale di Simone Weil (1909-1943), grandissima filosofa e finissima intellettuale francese. Un saggio scritto a venticinque anni, nel 1934, quando Hitler era da poco salito al potere e il fascismo lo era in Italia da più di dieci anni; un saggio lucidissimo, vecchio di quasi cento anni, ma di strettissima attualità, da rileggere per provare a non cadere di nuovo là dove le oligarchie e il capitale di oggi – e i servi volontari che li accondiscendono facendosi loro zerbino – vogliono condurci.
Scriveva dunque Simone Weil – e ci limitiamo a richiamare alcune delle sue riflessioni, rinviando il lettore al suo libro (Adelphi): “La società capitalista è ben lungi dall’avere elaborato nel suo seno le condizioni materiali di un regime di libertà e di uguaglianza; […] l’instaurazione di un simile regime di libertà presupporrebbe piuttosto una trasformazione preliminare della produzione e della cultura”, ciò che il sistema invece assolutamente non vuole. E sulla natura del potere: “Ogni potere, per il fatto stesso di esercitarsi, estende fino all’estremo limite possibile i rapporti sociali sui quali si fonda [oggi inventando appunto la resilienza]; così il potere militare moltiplica le guerre, il capitale commerciale moltiplica gli scambi”. E il sistema capitalista e tecnico sono appunto dominati, più di ogni altro potere del passato, da una coazione ad accrescersi sempre di più: il mercato, per il capitale; il sistema integrato di uomini e macchine e governato dalle macchine, per la tecnica. Credendo di emanciparsi dalla natura, soggiogandola e sfruttandola, l’uomo si è in realtà assoggettato alla società, che ha la forma del capitalismo.
Quindi oggi ancora di più rispetto ad allora, “viviamo in un mondo dove nulla è a misura dell’uomo […] e tutto è squilibrio. […] E mai gli uomini sono stati più incapaci non solo di sottomettere le loro azioni ai loro pensieri, ma persino di pensare. […] e la macchina sociale è diventata una macchina per schiacciare gli spiriti, per fabbricare incoscienza, stupidità, corruzione, ignavia e soprattutto vertigine” – e noi aggiungiamo indifferenza, resilienza, divertimento, perché bellum et circenses è la vera logica del potere. E ancora, su tecnologia e lavoro: “Le macchine automatiche [e quelle di allora erano niente rispetto a quelle di oggi] si presentano come il modello del lavoratore intelligente, fedele, docile e coscienzioso” – e questo dicono anche oggi le retoriche del management – producendo così un rovesciamento tra mezzi e fini cinico ma funzionale al capitale, l’uomo non essendo più il fine della società (la qualità della sua vita, la sua libertà da accrescere, le disuguaglianze da ridurre), ma il mezzo per l’accrescimento dell’apparato tecnico e capitalista, che diventa il fine del sistema in cui viviamo, quindi illiberale e oppressivo in sé. Perché “le macchine non funzionano per permettere agli uomini di vivere, ma ci si rassegna a nutrire gli uomini affinché servano le macchine” – cosa ancora più vera oggi quando nutriamo dei nostri dati le macchine: è il capitalismo della sorveglianza, per servire meglio il capitale.
E poi, l’impresa, con le riflessioni di Simone Weil ancora più vere oggi: che “non è giudicata secondo l’utilità reale delle funzioni sociali cui essa assolve, ma secondo le dimensioni che essa ha assunto e la rapidità con cui si sviluppa” – e oggi pensiamo alla Silicon Valley. “E così per tutto. […] non si tratta più tanto di organizzare bene il lavoro quanto di rastrellare la più grande quantità possibile del denaro disseminato ovunque, smerciando prodotti; tutto si gioca nell’àmbito dell’opinione e quasi della finzione, a colpi di speculazioni e di pubblicità.[…] al presente, nella lotta per il potere economico si tratta assai meno di costruire che di conquistare; e poiché la conquista è distruttrice, il sistema capitalista, che pure è rimasto apparentemente pressoché quello di cinquant’anni fa, si orienta interamente verso la distruzione”. Della società e oggi della Terra intera.
Immagini generate dal programma di Intelligenza artificiale DALL-E / crAIyon a partire dalle parole “war humanity capitalism environment”
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