Dell’ambiguità, come accusa per sviare o come pantomima per provocare
Quando si parla di ambiguità a proposito di Papa Bergoglio, Nancy Pelosi, Ignazio Cassis e Amnesty International
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Quando si parla di ambiguità a proposito di Papa Bergoglio, Nancy Pelosi, Ignazio Cassis e Amnesty International
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Quando si parla di ambiguità a proposito di Papa Bergoglio, Nancy Pelosi, Ignazio Cassis e Amnesty International
Bergoglio papa sarebbe ambiguo, ha scritto recentemente su “La Regione” e anche in questa sede Roberto Antonini. Perché? Perché non pronuncia mai il nome Putin? Perché non si schiera decisamente da una parte o dall’altra e fa il doppio gioco? Perché è ovvio, scontato, “lapalissiano” (sempre secondo Antonini) che un papa debba essere contro la guerra, contro le armi, contro gli interessi economici o geopolitici di questi o quest’altri che muovono sempre le ostilità (e allora- sottinteso, e qui sta l’ambiguità papale- poiché non può fare altrimenti, che valore ha la sua parola?), perché ha il virus antiyankee dei latinoamericani, iniettato comunque dagli Usa?
Se dici “il cattivo e il buono non stanno da una sola parte” (papa Bergoglio) ed è solo ragionando su questa premessa che si evitano le guerre, almeno per quel tanto di ragione cartesiana che rimane, sei ambiguo. Perché, prevalendo altre premesse (esiste un solo invasore, non ci sono state provocazioni, fastidiosi cani abbaianti sul confine), devi essere sicuramente di parte, putiniano. Perché il cattivo può essere da una sola parte. E poi non dimentichiamo da dove vieni: da latinoamericano, chi sa perché (forse dall’invasione di Panama, chiamata Just Cause, da parte delle truppe statunitensi del 1989 o addirittura ancora prima, dal fallito tentativo di invasione della baia dei Porci, nel’61?) non ti piace quella famosa “dottrina Monroe”, quell’essere sempre sotto giudizio e tutela di Washington, e hai quindi nel sangue quell’ “humus antiyankee che prevale nel mondo latino-americano”, che ti rende poco credibile, forse falso, comunque irresoluto nella condanna.
Se come Nancy Pelosi (di rosa vestita e presidente del Congresso, seconda carica dello Stato) vai a Taiwan, hai voluto tu andarci, nonostante i malumori del preoccupato Pentagono, sostenendo che hai pieno diritto di visitare un Paese o una “democrazia” senza fini ambigui (provocare ad esempio la troppo sensibile Cina); e se poi scateni un putiferio quasi bellico di armi e di parole dall’una e dall’altra parte e indispettite considerazioni o critiche addirittura in patria (persino da Trump, uno che se ne intende), più che dagli “americanisti” nostrani, hai la dimostrazione, d’altronde paradossalmente prevista dall’Amministrazione Biden, che sul fondo c’era tutta una ambiguità calcolata ed esplosiva. C’è chi in patria, come all’economista, premio Nobel, Robert Schiller, è mancato poco per definirla “stupidità”; vi ha comunque visto molto narcisismo e “un errore che potrebbe portare a una recessione mondiale”.
In questo caso è interessante rilevare come la Svizzera, spesso maestra di ambiguità (in nome della neutralità venduta come buoni uffici, trasposizione che invece non si riconosce, ad esempio, al papa Bergoglio), abbia saputo uscirne una volta tanto, riconoscendo “la politica di una sola Cina” e, per bocca dello stesso ministro degli Esteri che ha aggirato coraggioso in un’intervista l’ambiguità, ha lasciato capire ch’era meglio se Nancy Pelosi fosse rimasta a casa. Ora dovrebbe avere altrettanto coraggio di suggerirlo a quei parlamentari svizzeri, con il capo dell’Udc in testa, che, su imitazione della Pelosi, vogliono recarsi a Taiwan per “consolidare i rapporti tra il nostro Paese e il mondo intero” (Chiesa), anche se, cauti (o ambigui?), attendono il 2023.
Se Amnesty International in un suo rapporto, dopo un’inchiesta durata quattro mesi sui campi di guerra, accusa l’esercito ucraino di aver posto a sua volta delle basi militari nelle scuole e negli ospedali e di aver lanciato degli attacchi da zone popolate, fatti e tattiche che violano il diritto umanitario internazionale, sottolineando appunto che “le leggi della guerra esistono in parte per proteggere i civili ed è per questo che Amnesty International esorta tutti i governi a rispettarli”, ecco che quella organizzazione – come avviene per il papa – è accusata di grande ambiguità, di essere terrorista e filoputiniana. Lo stesso presidente Zelensky, furioso, la accusa di “cercare di amnistiare lo Stato terrorista”, che è ovviamente quello russo, “mettendo in tal modo la vittima e l’aggressore sullo stesso piano”.
L’ambiguità, ancora una volta, starebbe nel dire (nel dimostrare) che il colpevole non è solo da una parte. O nel non sostenere che dall’altra, anche se è quella oppressa, non si sbaglia mai, oppure che se c’è un diritto fondamentale da rispettare va rispettato da tutti. Forse Amnesty, senza dirlo, poteva anche sottintendere: a maggior ragione possiamo pretendere il rispetto di quelle leggi da chi riteniamo ora i paladini nella difesa dei diritti umani.
Conclusione: non è vero che papa Bergoglio è ambiguo; non è vero che Amnesty International è ambigua. Li si accusa di ambiguità per ignorare e contrastare quel che dicono e sostengono.
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