Le promesse infrante dell’Unione Europea ai Balcani
La crisi ucraina ha complicato i piani, ma da troppo tempo Bruxelles non riesce a favorire la piena stabilizzazione della regione
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La crisi ucraina ha complicato i piani, ma da troppo tempo Bruxelles non riesce a favorire la piena stabilizzazione della regione
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La crisi ucraina ha complicato i piani, ma da troppo tempo Bruxelles non riesce a favorire la piena stabilizzazione della regione
Di Riccardo Lopetuso, Linkiesta
L’ultima proposta arriva da Charles Michel. Il presidente del Consiglio europeo, raccogliendo la suggestione di Emmanuel Macron, ha avanzato l’idea di una comunità geopolitica europea con l’obiettivo di garantire la pace e la stabilità del partenariato orientale e dei Balcani occidentali.
Di questa idea, su cui Michel sembra avere le idee chiare, si parlerà nel Consiglio europeo di fine giugno, all’interno del quale Michel proporrà una conferenza cui saranno invitati anche i leader dei Paesi coinvolti.
Sempre nel summit di fine giugno, a pochi giorni dalla fine del semestre di presidenza francese, si svolgerà a margine del consiglio europeo un vertice con i Paesi dei Balcani occidentali, con la speranza che finalmente qualcosa si muova a livello politico sul processo di allargamento dopo lo stallo certificato dal summit di Brdo a ottobre e la guerra in Ucraina che ha complicato ulteriormente la posizione negoziale di alcuni candidati, oltre ad aver portato agli uffici di Bruxelles le richieste di adesione di Ucraina, Moldavia e Georgia.
Un processo, quello di allargamento ai Balcani occidentali che svela quella Enlargement Fatigue da cui l’Unione europea sembra vittima dal 2009, anno dell’ultima adesione.
Da due anni il percorso di adesione è paralizzato per lo meno per i 4 candidati (Bosnia-Herzegovina e Kosovo sono potenziali candidati), e l’Unione europea è eternamente divisa tra la Commissione che spinge per integrare e per rendere irreversibili i passi in avanti dei candidati verso l’adesione, e alcuni Stati membri che pongono veti per questioni bilaterali o di mera opportunità.
Tutto questo si traduce in frustrazione e delusione da parte di leadership e cittadini dei Paesi candidati, a cui – dal 2003 – la porta dell’Ue è stata aperta con la prospettiva di integrazione, enunciata solennemente nel vertice di Salonicco.
Eppure, a quasi vent’anni da quel summit che avveniva alla vigilia del mega allargamento del 2004, la “Prospettiva europea” viene continuamente tradita da rallentamenti, veti e ostacoli, lasciando nel limbo 18 milioni di abitanti e una regione – quella dei Balcani occidentali, già europea per geografia, storia, cultura – che rischia seriamente di cadere in altre sfere di influenza: situazione pericolosa anche per la stessa Unione europea.
Al momento, non è ancora possibile delineare nessuna tempistica sull’adesione dei 4 candidati, nemmeno per Serbia e Montenegro che – a differenza di Albania e Nord Macedonia – hanno i negoziati di adesione in corso con alcuni capitoli negoziali già chiusi e sono a metà del percorso.
Nebbia fitta anche per Albania e Macedonia del Nord, a causa del veto posto dalla Bulgaria sull’avvio dei negoziati di adesione per Skopje, per questioni legate a retaggi linguistici e storici. Veto che si riflette anche su Tirana: il percorso dei due Paesi procede in parallelo.
Ma le cose non vanno per il meglio nemmeno per la Serbia, la cui situazione negoziale – già compromessa dai rapporti con il Kosovo – si è ulteriormente indebolita dopo l’invasione di Mosca a Kiev. Belgrado non ha seguito Bruxelles sulle sanzioni e la politica estera del Paese continua a restare ambigua: da una parte c’è la richiesta di adesione all’Unione, dall’altra resiste la vicinanza al Cremlino, che vede nella Serbia il più grande alleato nella regione. Questa condizione consolida l’idea, diffusa dell’opinione pubblica europea, che i Balcani occidentali siano poco stabili e ancora troppo problematici.
Eppure, la piena stabilizzazione della regione attraverso l’integrazione nell’Ue porterebbe stabilità e sicurezza all’Europa per prima, per questioni di controllo delle frontiere, opportunità commerciali e geopolitiche.
La prima interessata alla sicurezza e stabilità dei Balcani è l’Italia, anche solo per motivi geografici: quel che avviene in una regione situata a poche miglia marine di distanza si riflette sulla sicurezza nazionale, oltre che influire sui rapporti economici privilegiati che Roma ha con i Paesi dell’altra sponda dell’Adriatico.
Nonostante l’amicizia e la vicinanza geografica tuttavia, l’Italia fatica a conquistare un ruolo di leadership nel percorso di adesione, facendo semplicemente coincidere il proprio interesse nazionale con l’interesse europeo.
Le proposte di Emmanuel Macron e Charles Michel, più che risposte concrete, sembrano spostare più in là in problema, lasciando ancora per chissà quanti anni la porta dell’Unione europea chiusa ai Balcani occidentali, rischiando di consegnarli a Cina, Turchia e sopratutto avvicinandoli pericolosamente alla Russia, che non ha mai perso realmente la sua influenza nelle decisioni di Belgrado e Sarajevo.
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