È da poco in libreria un nuovo libro di Carla Del Ponte, la nota ex-Procuratrice capo della corte penale internazionale per i crimini di guerra nella ex-Jugoslavia e per il genocidio in Ruanda.
Dopo “La Caccia”, uscito nel 2008 per Feltrinelli incentrata sulle vicende balcaniche, e “Gli impuniti”, edito da Sperling e Kupfer dieci anni dopo con al centro i crimini di guerra in Siria, è ora la volta di un volume intitolato “Per la giustizia” pubblicato da ADD editore di Torino, in cui Carla Del Ponte, traccia una sorta di percorso storico che ricostruisce il ruolo, l’importanza, i limiti delle organizzazioni internazionali e degli organismi penali che ne sono in qualche modo emanazione nel giudicare i conflitti che hanno insanguinato e tuttora insanguinano il mondo.
In un tempo come quello attuale, segnato tragicamente da una guerra che ancora una volta mostra in tutta la sua crudeltà come sia facile oltrepassare la linea del rispetto umanitario e finire nelle spire del più atroce genocidio, Carla Del Ponte invoca naturalmente anche oggi il ricorso ad un’autorità penale internazionale che metta alla sbarra i responsabili di un’invasione che, lo sappiamo, è nata e viene perpetrata come annientamento del nemico, oltre ogni limite dell’umanitario, dell’umano.
Il libro è – fatto davvero particolare – una traduzione dal tedesco di un volume uscito lo scorso anno presso Westend Verlag, a Francoforte, con il titolo “Ich bin keine Heldin – Mein langer Kampf für Gerechtigkeit”, ovvero “Non sono un eroina – la mia lunga battaglia per la giustizia”, che ci dice forse di più dell’approccio, chiramente riferito all’esperienza diretta dell’autrice, ai temi fondamentali del diritto internazionale, ma rivela anche, con l’uscita che risaliva, appunto, al 2021, che per l’edizione in italiano, nell’ottima traduzione di Daniela Idra, Carla Del Ponte ha pensato di “attualizzare” il testo in sede introduttiva, per toccare, ovviamente e necessariamente, la dolorosa esperienza del conflitto in Ucraina.
È proprio dalla nota introduttiva, che ricaviamo un estratto del volume di cui si raccomanda certamente la lettura.
Sarà per deformazione professionale, perché sono stata un magistrato della pubblica accusa per tutta la vita, ma dopo aver provato sgomento e orrore di fronte a questa terribile guerra di Vladimir Putin contro l’Ucraina, la prima cosa che ho pensato, davanti all’oscena spettacolo dei morti gettati nelle fosse comuni, è stata: “Speriamo che abbiano almeno identificato le vittime che stanno seppellendo”.
Il mio primo pensiero è stato, insomma, un “pensiero pratico”. Perché sapere se quei corpi sono di civili oppure di militari, e in quale circostanza quegli uomini sono stati uccisi, potrebbe essere di grande importanza per quelle che – me lo auguro – saranno le future inchieste del Tribunale penale internazionale dell’Aia. Ma per mettere Putin sul banco degli imputati, per spiccare contro di lui un mandato di cattura internazionale che lo inchiodi ai crimini commessi, saranno necessarie minuziose indagini per dimostrare che è responsabile di reati gravissimi, crimini di guerra, crimini contro l’umanità, nonché l’utilizzo massiccio di armi proibite. (…)
Con le atrocità compiute, è diventato impellente garantire giustizia alle vittime, e la procedura si è messa subito in moto. Il procuratore della Corte penale internazionale dell’Aia, Karim Kahn, ha aperto un’inchiesta dopo l’appello di quarantuno Paesi, compresa la stessa Ucraina, dove il presidente Volodymyr Zelensky ha chiesto per primo che si attivi la giustizia internazionale contro i crimini di guerra commessi da Putin. E proprio la richiesta ucraina ha permesso al Tribunale dell’Aia – anche se con le astensioni dei giudici di Russia e Cina – di avere giurisdizione in materia e di avviare le inchieste.
Ma adesso bisogna partire subito, bisogna raccogliere tutte le prove disponibili, visto che stavolta la giustizia si è mossa in tempo, ossia a pochi giorni dai crimini commessi e dall’uccisione indiscriminata dei civili. Quest’inchiesta potrebbe essere di derto più semplice rispetto a quella sull’ex-Jugoslavia e sui crimini commessi da Slobodan Milosevic, proprio perché è il governo ucraino, che ha subìto l’aggressione, a richiedere l’intervento della giustizia internazionale, agevolando quindi ogni indagine e garantendo la massima collaborazione.
Vedo molte analogie tra il comportamento di Putin in Ucraina e quello – che conosco bene – di Milosevic. Quest’ultimo si difendeva davanti alla propria opinione pubblica dicendo che stava combattendo contro i “terroristi”, mentre il leader russo afferma oggi che il suo è un intervento di “denazificazione” di un territorio. Spero però che tra i due ci possa essere anche un’altra analogia, e il presidente russo venga messo di fronte alle proprie responsabilità insieme ai politici e ai militari che le stanno condividendo”.