Mourinho e i suoi (loschi) fratelli: il calcio da odiare
Guidati dal capobranco, orde di lupi famelici accerchiano l’arbitro: come osi? E stasera, nella finale di Champions, come andrà?
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Guidati dal capobranco, orde di lupi famelici accerchiano l’arbitro: come osi? E stasera, nella finale di Champions, come andrà?
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La loro disonestà consiste nel protestare a priori, per preconcetto. Ossia: noi siamo intoccabili, non commettiamo falli e fallacci, se protestiamo è perché ci hai punito ingiustamente. Questi comportamenti dilagano: la provincia (salvo rare eccezioni) è fortemente condizionata dai comportamenti dei ‘Grandi Fratelli’ vicini di casa: piccoli ‘Mourinho’ crescono anche dalle nostre parti, dalla Super-League giù giù fino alla Quinta Divisione e alle categorie allievi. Allenatori che se dovessero comportarsi allo stesso modo nella vita di ogni giorno, sarebbero affidati a strizza-cervelli di mestiere.
Ma nel calcio tutto è permesso. Esagitati, con gli occhi fuori dalle orbite, i ‘Mister’ da 4-7 milioni l’anno (e oltre, ma anche ‘nostrani’, da cena comune a fine stagione) s’aggirano a bordo campo nel tentativo di influenzare il gioco. Alle loro spalle scattano all’unisono i loro assistenti e i giocatori di riserva: una massa d’urto che deve intimorire l’arbitro, e che influenza anche il comportamento dei ‘tifosi’ sugli spalti, prima e dopo la partita: vedasi i comportamenti dei cosiddetti ‘ultras’, squadracce di natura fascista, picchiatori per filosofia di vita.
In breve: stiamo assistendo a una ‘deregulation’, alla cancellazione dei principi del ‘fair-play’ che hanno fondato lo sport moderno, quelli stabiliti dal rettore del ‘college di Rugby’, il teologo Thomas Arnold (1795-1842). Si capiscono anche senza traduzione:
1. Respect the rules
2. Respect the opponents
3. Respect the officials and their decisions
4. Have everyone participate
5. Maintain self-control at all times.
Senza entrare nei particolari, esattamente l’opposto di quanto accade a 160 anni dal primo storico passo (la separazione del calcio dal rugby) per dare delle regole alle terribili zuffe proibite (con scarso esito) una prima volta il 13 febbraio 1314 da Re Edoardo II con un editto contro il ‘Fute-ball’ definito ‘Godless Play’, gioco al di fuori della Grazia di Dio, e una seconda volta dallo scozzese Giacomo I nel 1414: ‘that no men play at the fute-ball’; gioco che consisteva nel trasportare con ogni mezzo una vescica di maiale da un villaggio all’altro, nel quale, secondo i cronisti del tempo, ‘pochi sfuggono alle fratture del collo, della schiena, delle gambe. Il naso perde sangue e gli occhi talvolta escono dalle orbite. Questo gioco può portare anche all’omicidio’.
Una prima moderna deregulation la vediamo proprio in rapporto a quanto stabilito alla ‘Freemasons-Tavern’ di Londra nel 1863, quando calcio e rugby si sono separati: a te (rugby) mani e piedi, a me, calcio, solo i piedi: la regola numero 10 della ‘Football-Association’ dice: no player shall use his hands to push or pull his adversary. Le mani non possono essere usate né per spingere né per tirare (la maglia all’avversario). Esattamente l’opposto di quanto fanno tutti, e non solo nella ‘terra di nessuno’ dell’area di rigore.
Dai grandi campioni ai pargoletti, le mani (‘gioco di mani, gioco di villani’) sono ormai parte integrante del gioco del calcio: con l’incomprensibile, sciagurata tolleranza di molti arbitri che non fanno rispettare la regola n. 10 del 1863.
Il gioco più bello del mondo si sta autodistruggendo con le sue mani, è il caso di dirlo, non solo in senso metaforico. Com’è ora, maleducato, stupido, prepotente, ritornato al rugby-calcio del primo Ottocento, è un altro ‘gioco’. Fa schifo.
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