Neutralità, test decisivo ma il governo tace
La prossima settimana inizio della sessione primaverile: si dovrà sciogliere il nodo delle riesportazioni delle armi svizzere, e il Consiglio federale “si nasconde”
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La prossima settimana inizio della sessione primaverile: si dovrà sciogliere il nodo delle riesportazioni delle armi svizzere, e il Consiglio federale “si nasconde”
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La prossima settimana inizio della sessione primaverile: si dovrà sciogliere il nodo delle riesportazioni delle armi svizzere, e il Consiglio federale “si nasconde”
Di François Nordmann, Le Temps
“Una potenza neutrale non è obbligata a impedire l’esportazione o il transito, per conto di uno o dell’altro dei belligeranti, di armi, munizioni e in generale di tutto ciò che può utile a un esercito o a una flotta”. Questo è il testo dell’articolo 7 relativo alle Convenzioni dell’Aja sui diritti e doveri delle potenze e delle persone neutrali in caso di guerra, del 27 gennaio 1907.
L’autorizzazione di riesportare munizioni fabbricate in Svizzera è diventata il test decisivo della politica di neutralità. Nel 2014, e poi nel 2016, il Consiglio federale – che gestisce attraverso le ordinanze il sistema di esportazione delle armi – ha ammorbidito questa pratica e ha autorizzato le problematiche consegne a paesi implicati in conflitti civili. L’opinione pubblica ha reagito con forza, ed è stata lanciata una iniziativa sostenuta di diversi partiti e organizzazioni. Il governo federale non si è limitato a contrastarla: le ha opposto un contro-progetto indiretto. In futuro, la legge avrebbe fissato i criteri di esportazione, e non più una semplice ordinanza: solo il parlamento avrebbe potuto modificarla, e non il Consiglio federale.
In ogni caso, l’esecutivo mirava ad attribuirsi la competenza di deroga alla legge in caso di “circostanze eccezionali e se la salvaguardia degli interessi del paese lo avesse imposto”. Nuova levata di scudi del comitato che aveva lanciato l’iniziativa: una tale disposizione avrebbe in sostanza lasciato al governo un potere d’intervento troppo esteso. S’è detto dunque pronto a ritirare la sua iniziativa, a condizione che fosse negato al Consiglio federale la competenza di deroga preteso dal governo. A sorpresa il comitato l’ha avuta vinta: il Consiglio degli Stati ha infatti cancellato la disposizione causa della contesa. Invano Guy Parmelin, allora presidente della Confederazione, ha chiesto il 3 giugno 2021, che si lasciasse al Consiglio federale la facoltà di reagire rapidamente in caso di aggravamento della situazione internazionale, per esempio di fronte a una guerra alle frontiere dell’Europa tra… Russia e Nato.
Oggi i partiti si dividono in merito a una revisione a marce forzate delle disposizioni adottate meno di due anni fa. La Confederazione è sotto pressione: la Germania, la Spagna e la Danimarca hanno bisogno di una autorizzazione di riesportazione per consegnare urgentemente all’Ucraina le munizioni acquistate in Svizzera. Le Camere federali si occuperanno del dossier durante la prossima sessione primaverile, che si apre all’inizio della settimana entrante.
È saggio modificare l’interpretazione della legge sotto le costrizioni degli avvenimenti? Occorre privilegiare la solidarietà con l’Ucraina permettendo a paesi terzi munizioni prodotte in Svizzera? O al contrario bisogna attenersi a una interpretazione estensiva della neutralità nonostante il rischio di irritare l’Europa intera (ed evitare commenti ostici da parte di Mosca)?
Il Consiglio federale si nasconde dietro il parlamento. Invece di proporre una soluzione, si diverte ad osservare come coloro che gli avevano rifiutato la clausola della deroga voluta dal governo, oggi sono i primi a invocare “le circostanze eccezionali” che il governo vedeva sopraggiungere. Ma si tratta di un atteggiamento irresponsabile: tocca all’esecutivo prendere in mano il dossier e offrire una via d’uscita ai deputati. Senza un accordo in parlamento, il Consiglio federale dovrà affrontare il crescente malumore sul piano internazionale. Non gli resterebbe che ricorrere al diritto di necessità, non proprio una soluzione brillante.
La riluttanza governativa in materia, ricorda le sue tergiversazioni in merito alle sanzioni da adottare un anno fa, all’inizio della guerra. In ogni caso, perché il parlamento non dovrebbe rinviare la palla al Consiglio federale, adottando un articolo di legge in sostanza non molto diverso che lui stesso aveva soppresso nel 2021? Un testo in base al quale il Consiglio federale potrebbe decidere la deroga alle condizioni previste nell’articolo della legge federale sul materiale da guerra in caso di violazione del diritto internazionale o della Carta delle Nazioni Unite, con l’obiettivo di salvaguardare gli interessi di sicurezza e diplomatici del paese. E’ evidente che non siamo più nella situazione del 2021. Quindi: “à la guerre comme à la guerre”.
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