Oltre la collina
Riflessioni intorno all’occupazione e allo sgombero della “ZAD” del Mormont
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Riflessioni intorno all’occupazione e allo sgombero della “ZAD” del Mormont
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Riflessioni intorno all’occupazione e allo sgombero della “ZAD” del Mormont
In un naufragar che non par certo dolce, forse (e con rispetto doveroso per Leopardi), vien da pensare non tanto all’infinito, ma piuttosto al nostro territorio ed ai prossimi dieci, vent’anni, per tornare ancora ad occuparsi e preoccuparsi di un “ermo colle” vodese, il Mormont.
Con un’azione di un gruppo spontaneo di giovani ecologisti, sulla collina aveva preso vita, di fatto, il primo esempio svizzero di “ZAD” (Zone à défendre), una forma di “protezione” e/o di “occupazione” di un’area destinata ad estendere ulteriormente una già vastissima cava di sabbia e ghiaia per la produzione di cemento e calcestruzzo della multinazionale svizzera Holcim.
Martedi scorso, per volontà politica e con avallo giuridico, l’azione è stata interrotta con l’intervento di sgombero da parte della polizia cantonale vodese in tenuta antisommossa.
Dell’episodio, che in verità non ha suscitato echi particolari sulla stampa ticinese, abbiamo già parlato qui lo scorso 30 marzo (“Una collina, fra legalità ed illegalità”).
Era il giorno, appunto, dell’intervento della polizia, tanto atteso e tanto temuto da tutta la comunità, sia fra chi l’aveva favorito ed auspicato, sia fra chi aveva fatto di tutto perché non vi si arrivasse. Dopo una giornata non priva di tensioni ma conclusasi con uno sgombero pacifico, che ha portato, così si dice, a “ristabilire la legalità”, restano sul terreno, non solo del Mormont, diverse questioni di fondo che questa vicenda riflette e forse riassume in modo emblematico.
La prima riguarda la progressiva “urgenza” posta dell’emergenza climatica, che qui, sfortunatamente, si manifesta in un momento in cui le emergenze quotidiane che contano e condizionano la nostra vita sociale sono quelle legate alla pandemia. Difficile dunque, nel contesto delle preoccupazioni attuali, cercare di far presenti altre emergenze ed urgenze, tanto più che si tratta di questioni che chiamano in causa prospettive a medio-lungo termine.
Ecco dunque che l’attenzione per l’episodio dei comuni di Éclépens e La Sarraz e della loro collina, patrimonio naturalistico nazionale e nello stesso tempo teatro di scavi quotidiani che la stanno totalmente deturpando, si perde fra le notizie di cronaca e suscita interesse e reazioni solo in Romandia.
Ma anche nella stessa Romandia, il “caso” è stato, in un certo senso, lasciato nelle mani della piccola comunità che circonda la collina, che logicamente approfitterà pure di un certo “indotto economico” portato dalla presenza di Holcim, ma che delle decisioni del Gran Consiglio vodese del 2015 di concedere alla multinazionale un’ulteriore fetta di collina, con il passare del tempo, sarebbe anche stata disposta a fare a meno.
La politica comunale sembra, in questo caso (ma sarà poi un’eccezione?) aver subìto quella cantonale, supportata da decisioni di tribunali cantonali e federali. Tutta una rete di sedi decisionali, che implica procedure dai tempi lunghi, “evase” da politici la cui azione e lungimiranza non vanno oltre i tempi della legislatura e che rincorrono, tra un’elezione ed una votazione, lo stormir di fronde e gli appetiti di elettori da soddisfare rapidamente in cambio del prossimo seggio.
Per uno sguardo che contempli un orizzonte appena un po’ più vasto c’è sempre tempo. E così, all’infinito, la politica promette misure che durano l’”espace d’un matin”. Difficile immaginare risposte credibili alla domanda: quale sarà lo scenario socio-economico che ci attende dopo la pandemia? Figurarsi risposte più concrete alla questione climatica.
Due temi “globali”, che investono competenze, responsabilità, un’idea di futuro sostenibile, cui la politica lascia sostanzialmente che a dettare l’agenda sia l’economia.
Al Mormont, la Holcim scava da decenni. Il CEO di Holcim Suisse Simon Kronenberg, afferma in modo roboante che “siamo parte della soluzione, non del problema”, visto che, a suo dire, la Holcim produce solo per le necessità regionali, locali, riducendo al massimo carichi di trasporto ed alimentando il cementificio in gran parte con energia rinnovabile.
Ma intanto la Holcim ha ottenuto di estendere ulteriormente la superficie minabile e scavabile, sempre in nome delle esigenze locali, evidentemente riconosciute come tali dal legislativo cantonale, ma già messe in dubbio dalle dichiarazioni del sindaco di La Sarraz, che l’azione “zadista” l’ha vissuta direttamente, in casa propria, e a poco a poco, ha cominciato anche a capirne la portata e l’urgenza.
I “zadisti”, in sei mesi di “occupazione” hanno parlato, si sono spiegati, hanno ottenuto sostegno, hanno mostrato che in certi casi “ i tempi e i modi della politica” rischiano di portarci, in prospettiva, ad un punto di non ritorno. Ma per intervenire “d’urgenza” hanno infranto la legge, occupando una proprietà privata e “costringendo” la polizia ad intervenire nonostante un appello di oltre 100 politici locali.
A capo del Dipartimento di Polizia del Canton Vaud, che ha sovrinteso all’intervento di sgombero del Mormont, c’è Béatrice Métraux, del partito dei Verdi. Quando si dice “ironia della sorte”.
Nelle sue dichiarazioni dopo l’evacuazione degli zadisti sta tutto l’imbarazzo di una coerenza della politica davvero difficile da ritrovare e che in generale sta fortemente condizionando il rapporto di fiducia fra cittadino e istituzioni, non solo certamente in questo caso.
Quel che ci ha raccontato la vicenda del Mormont induce dunque ad una riflessione più ampia su principi e concetti fondanti del nostro vivere democratico.
L’occupazione del Mormont, non a caso, è stata definita illegale ma legittima: la zona è “sgomberata”, ma da oggi il tema rimane più vivo che mai ed un referendum andrà a riporre la questione, e a rimettere in discussione il cementificio che ferisce la collina delle orchidee.
Illegale, ma legittima, appunto, e infine legittimata.
Con buona pace dell’economia “glocal” e delle sue leggi di mercato.
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