Era solo acqua sporca?

Era solo acqua sporca?

Sul documento dell’MPS prontamente rigettato dal PS, le alleanze possibili e impossibili, il ruolo dei Verdi ed un’idea di “area di sinistra” - Di Danilo Baratti


Redazione
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Era solo acqua sporca?

Sembra essere caduto nel vuoto l’intervento di Enrico Lombardi del 28 luglio, intitolato Per vedere di nascosto l’effetto che fa, mosso dalla perentoria chiusura del PS di fronte alla proposta del MPS di una lista unica per il legislativo. Apparentemente ci possono essere buone ragioni per non tornare sulle considerazioni di Lombardi. Prima di tutto la proposta del MPS è durata meno dello spazio di un mattino, respinta dagli interlocutori (quindi anche dai Verdi) nel momento stesso in cui veniva resa pubblica, e probabilmente, a parole e nei fatti, già prima. E poi può sembrare troppo ingenuo quel vagheggiare “nuovi stimoli” che possano far “ritrovare slancio” all’area di sinistra. Eppure, quelle aspettative non andrebbero lasciate cadere.

È vero che nel frattempo altre voci si sono fatte sentire su «Naufraghi»: il fantomatico Giusfin, che era già intervenuto a caldeggiare la fronda “contabile” interna al PS (facendo di fatto il gioco dell’autocandidata che ammalia, anche se nel suo articolo sul Primo di agosto mostra, vivaddio, di non esserne affatto ammaliato) e in replica Aurelio Sargenti. Ma entrambi liquidano concordemente la proposta del MPS: il primo come “velleitaria” e “declamatoria”, pur concedendo che la direzione del PS avrebbe potuto, almeno per cortesia, prendersi due minuti in più; il secondo ancora più sbrigativamente.

Liquidata la faccenda, entrambi si concentrano sulle tensioni interne al PS, portando il discorso, da prospettive opposte, sulla eventuale candidatura di Marina Carobbio. È poi intervenuto Virginio Pedroni, che allarga un po’ gli orizzonti sul finale, dopo aver stroncato la mossa MPS e fatto alcune puntualizzazioni sulle presunte manovre tese a promuovere la candidatura Carobbio. Di queste ultime non mi occupo – se la vedano i socialisti – perché la questione che mi interessa discutere è l’altra, cioè quella delle liste uniche dell’“area di sinistra”. Ma prima di affrontarla, anche per evitare fraintendimenti, mi tocca fare una lunga premessa (che è già un po’ un entrare nel merito).

Si è parlato fin qui del MPS, del PS, solo indirettamente dei Verdi. Non sarò io a portare la “posizione dei Verdi”, ai quali pure appartengo, perché sulle questioni elettorali ho, e non da oggi, una posizione tiepida, defilata, marginale. Parlo quindi a titolo personalissimo. Di militante e di elettore. È un po’ un ragionare ad alta voce per capire come porsi di fronte alle varie opzioni sul campo (che poi tanto varie non sono, visto che quella del MPS è stata prontamente depennata dall’elenco).

Cominciamo dall’“area di sinistra”: i Verdi ne fanno parte? C’è un’abusatissima frase che ogni tanto qualcuno ripete in casa verde: «i Verdi non sono né di destra né di sinistra, sono avanti». D’accordo sull’avanti, a maggior ragione se pensiamo che la battuta è nata forse trent’anni fa. Sul resto bisogna invece vedere cosa si intende per sinistra. Affrontare la questione in poche frasi è difficile. È un fatto che se consideriamo propri della sinistra alcuni elementi portanti della sua tradizione maggioritaria (socialista o comunista che sia), e cioè industrialismo, centralismo, statalismo, siamo assai lontani.

Molti anni fa Alexander Langer parlava di recuperare «qualche idealità smarrita tradizionalmente dalle sinistre e magari rifugiata a destra: il senso della differenza contro un malinteso trionfo dell’eguaglianza; il bisogno di identità, di tradizione, di “patria” particolare; una domanda di spiritualità e di interiorità; una rivalutazione dell’iniziativa personale e di gruppo rispetto alla priorità dell'”ente pubblico”; una ricerca di “comunità” non riconducibile alla socialità politicizzata e strutturata propria della tradizione di sinistra…». Del resto anche Norberto Bobbio, nel suo celebre libretto Destra e sinistra (1994), in cui a fare da discrimine è l’opposizione disuguaglianza/uguaglianza, dapprima pone i Verdi né di qua né di là (sono “attraverso”, ubiquitari), ma per poi concludere che di fatto l’affermarsi dei movimenti verdi non porta affatto «a rendere anacronistica la vecchia diade ma a ribadirla in seno a questi stessi movimenti (…) nei quali il diverso modo di concepire il rapporto dell’uomo con la natura» – e io aggiungerei soprattutto tra uomo e uomo (e donna, ovviamente) – «è destinato a reintrodurre, e ha già in parte introdotto, la distinzione tra Verdi di destra e Verdi di sinistra». Non a caso in Svizzera c’è stata la scissione, chiarificatrice, dei Verdi liberali.

Se il semplice ambientalismo può essere trasversale, l’ecologia politica è radicalmente anticapitalistica (pensiamo già solo al tema della decrescita) e pone i Verdi, direi, non solo a sinistra ma alla sinistra del PS. Se poi scendiamo al livello dell’agire politico in Gran Consiglio, vediamo che i Verdi votano spesso, molto spesso, come il PS e/o come il MPS. Quindi un’“area” di fatto esiste, in taluni principi e nei fatti, per cui ha certamente senso porsi il problema di un suo volto elettorale unitario. La si chiami “di sinistra”, “rosso-verde” o altro ancora, ma c’è. Del resto, ne è convinta anche la dirigenza verde, visto che sta lavorando a una lista unica.

Oltre quella che ho citato prima («…sono avanti») c’è un’altra frase/sentenza sui Verdi, assai meno ricordata: «i Verdi lavorano per la propria estinzione». L’avevo già ripresa tempo fa, commentandola così: «al centro della loro visione del mondo (o almeno della corrente in cui mi posso identificare) non c’è un progetto di presa del potere ma un’idea di trasformazione sociale che passa per altre strade; non devono dunque sopravvivere a tutti i costi, autoperpetuarsi per mantenere porzioni di potere politico. Una volta affermatasi nella società l’idea che per trovare un’armonia tra uomo e natura e tra uomo e uomo bisogna abbandonare il mito della crescita economica, la cultura del profitto, lo stile di vita energivoro e consumistico, i verdi possono anche scomparire».

Penso che il ruolo fondamentale dei Verdi sia stato e rimane quello di portare le istanze ecologiste dentro le istituzioni, di essere una cassa di risonanza di un movimento che cresce innanzitutto nelle piazze, nelle associazioni, nelle campagne, nei quartieri, nelle comunità che sperimentano “buone pratiche” in ambito ambientale e sociale, ma anche nei luoghi della ricerca, accademica o no, in cui maturano le conoscenze che stanno alla base di queste pratiche. Far circolare le idee, insomma, portarle anche dentro il terreno della politica istituzionale.

Se le premesse sono queste, l’attenzione va posta soprattutto sulla presenza nei legislativi, mentre nelle dinamiche elettorali che si stanno delineando vedo il rischio che troppe energie siano assorbite dalla competizione per un seggio in Consiglio di Stato. Capisco bene le motivazioni, espresse e inespresse, che spingono alla lista unica per il governo. Tra queste mettiamoci anche il PS in perdita di velocità che deve salvare il seggio e i Verdi in ascesa che vedono la possibilità concreta di conquistarlo. Una presenza paritaria si giustifica pienamente e lascia la possibilità di ampliare l’alleanza e il bacino elettorale con una quinta candidatura esterna ai due partiti principali: la formula 2+2+1, che tanto disturba i contabili della “fronda” PS, è, come dice Pedroni, espressione di “ragionevolezza”. Ovvio che alla formuletta magica si accompagnerà poi un documento programmatico comune che suggelli il patto elettorale: lo si fa sempre (l’abbiamo fatto anche a Lugano, senza metterci il PSE…). Ma pur con una messa a punto di obiettivi comuni resterà essenzialmente quello che è: una ragionevolissima operazione elettorale che pur non riunendo tutta l’area “di sinistra” garantirà tranquillamente la conservazione di uno scranno governativo (puntando anche sulla possibilità, invero assai remota, del raddoppio).

Obiettivo irrinunciabile? Forse non così tanto. Pur riconoscendo l’importanza di alcune riforme, non so quanto la secolare presenza minoritaria in governo abbia giovato ai socialisti e soprattutto al socialismo (un tentativo di bilancio è nella recente pubblicazione Tracce di rosso, della Fondazione Pellegrini Canevascini). Dubito che gioverebbe ai Verdi e alla loro azione l’entrata di un/a loro rappresentante in un governo dominato dalla destra. Anche per questo sono stato tra i pochissimi astenuti all’ultima assemblea cantonale, in un partito che non pare avere molti dubbi sull’opportunità di questo passo. E non è che manchino buone ragioni per farlo, il passo: si possono chiamare in campo il senso di responsabilità, la convinzione di poter contribuire più efficacemente al cambiamento di rotta verso una società più giusta e meno distruttiva, e altro ancora. Ciò non toglie che la base dell’accordo, pur ragionevolissimo, resta di natura essenzialmente elettorale (scelta evidentemente pertinente, visto che di elezioni stiamo parlando).

La proposta del MPS – lista unitaria per il Consiglio Stato e per il Gran Consiglio – spostava invece il discorso su un altro piano, meno facile da portare avanti ma politicamente più interessante. Eppure, quello che poteva essere, come in fondo auspicava Enrico Lombardi, un «nuovo stimolo», è stato accolto come una provocazione estemporanea e Riget/tato sdegnosamente. Una proposta nata morta. Se è andata così ci sono evidentemente delle ragioni. Alcune osservazioni sensate in merito le ha fatte Virginio Pedroni, sottolineando la natura inflessibile, non dialogica, di quella proposta. Visto che nel nostro mondo tutto si riconduce ormai alla finanza, potremmo quasi paragonarla a un’OPA (Offerta pubblica d’acquisto) ostile. La si potrebbe ritenere semplicemente un’abile mossa del MPS per riaffermare la differenza tra sé e gli altri attraverso un’offerta di alleanza, non solo elettorale, insidiosa e verosimilmente inaccettabile. Difficile per il PS, meno per i Verdi, accogliere la prospettiva di un «cambiamento di paradigma» che «si concretizzi attraverso la costruzione di uno schieramento che sul terreno economico, sociale ed ambientale si opponga al mondo del capitale, ai suoi governi, ai suoi partiti». Difficoltà evidenziata anche nel documento MPS, in cui si sottolinea peraltro che anche per lo stesso MPS la proposta «rappresenta uno sforzo di cambiamento non certo trascurabile, in particolare dal punto di vista della tattica elettorale».

Al di là degli ostacoli propriamente politici potrebbero esserci altri motivi di prudenza da parte di Verdi e PS, in relazione alle modalità di azione del MPS. Quest’ultimo è un gruppo piccolo, coeso, reattivo, rapido nel prendere posizioni e decisioni: è un aspetto che può portare una notevole pressione sugli eventuali alleati, più “pesanti” nel loro agire, costretti a fare i conti con l’agenda del MPS e magari a subirla. Quindi a un’egemonia di indirizzo – insita nella proposta di cui stiamo parlando, che propone/impone una politica di opposizione a tutti i livelli – potrebbe accompagnarsi un’egemonia operativa a cui può essere laborioso far fronte.

Devo però dire che recentemente mi sono trovato a collaborare con il MPS su due questioni specifiche – il referendum sul PSE a Lugano e il Comitato contro la guerra – e lo si è potuto fare fruttuosamente (aggiungo che senza il MPS non ci sarebbe stata né una cosa né l’altra). E in ogni caso l’idea di un progetto d’area comune che vada oltre la contingenza elettorale (o che vada al di là di quel “programma minimo” richiesto da qualsiasi lista unica per l’esecutivo) merita di essere discussa. Insomma, tornando alle aspettative di Lombardi e a prescindere – so che non è facile – dalla natura ultimativa della proposta MPS, forse il bambino poteva anche esserci, in quell’acqua sporca buttata via d’istinto. Sarà magari per un’altra volta.

Giunti alla fine ci si potrebbe chiedere: ma a cosa serve questo articolo, che a tratti può anche sembrare un esercizio di cerchiobottismo? Cerca di fare il punto su alcuni aspetti della situazione, tutto qui. Almeno per amor di dibattito, per ballare coi lupi.

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