Il Grande Balzo all’indietro

Il Grande Balzo all’indietro

Il ritorno di un militarismo pervasivo - Di Danilo Baratti


Redazione
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Il Grande Balzo all’indietro
Dietro le goffaggini, nubi nere

In tempi normali (ma esistono poi tempi normali? diciamo in altri tempi) ci saremmo divertiti infilando una serie di commenti sarcastici sulle ultime disavventure della nostra ministra Amherd e del suo dipartimento. Dal pasticcio della vendita dei vecchi Leopard 1 della RUAG parcheggiati in provincia di Gorizia al licenziamento del capo dei servizi segreti, dalla nomina/rinuncia del nuovo Segretario di Stato al mistero delle finanze del dipartimento, dove un vuoto c’è ma non c’è. In quest’ultimo caso i giornalisti avrebbero potuto riesumare, ma non se ne sono ricordati, la bizzarra espressione inventata dal procuratore Pagani per spiegare l’abbattimento, nel maggio del 2021, di una parte dell’ex Macello di Lugano: «comunicazione claudicante». Potremmo quindi rallegrarci, noi antimilitaristi, di tutto questo allegro zoppicare.

Ma non possiamo dimenticare il cupo scenario in cui avvengono queste mosse bislacche: il crescente, allarmante e deprimente affermarsi – in Svizzera come altrove – di una logica di riarmo e di rilegittimazione e potenziamento dello strumento militare. Di un generale cedimento alle logiche di guerra, già nell’aria da un po’ e accelerato dagli ultimi avvenimenti, soprattutto dall’aggressione russa all’Ucraina di due anni fa. Nel caso della Svizzera vi sono motivazioni e ossessioni difensive (pare che Putin, che non è nemmeno riuscito a sottomettere l’Ucraina, si voglia mangiare l’Europa intera, un po’ come ai bei tempi dell’URSS). Se pure in postura difensiva, partecipiamo e parteciperemo comunque all’ubriacatura generale delle spese belliche al rialzo, che sarà presumibilmente accompagnata da quel militarismo pervasivo ben noto a chi ha attraversato o studiato gli anni dal 1939 agli Ottanta, col mito del popolo in armi chiuso a riccio di fronte alle minacce esterne. Ci sono voluti decenni per sciogliere un po’ questo impasto retorico, dai risvolti anche materialissimi e costosi, di petti indomiti e ridotto nazionale. Ora ci siamo messi nelle condizioni di rimpastarlo, con qualche nuovo ingrediente, come l’interoperabilità con la Nato. Magari a qualcuno verrà in mente di creare, con l’aiuto di qualche agenzia specializzata in storytelling, una versione aggiornata (digitale, multimediale, interattiva, eccetera) del famigerato libretto Difesa civile del 1969, figlio della guerra fredda (libretto che, sia detto tra parentesi, non era poi così mal concepito nella forma). In qualche modo andranno plasmate le giovani generazioni: toccherà a loro.

Tendenze

A questo proposito è interessante vedere quanto accade in Italia, dove è in atto da qualche tempo una militarizzazione, neppure tanto strisciante, della scuola. Ne parla il recente libro di Antonio Mazzeo La scuola va alla guerra. Inchiesta sulla militarizzazione dell’istruzione in Italia, Manifestolibri 2024. Riprendo qui una parte della recensione che gli ha dedicato Roberto Ciccarelli (Caschi, divise e moschetti per gli «studenti-soldati» provetti, Il manifesto, 6 febbraio 2024).

 «Il giornalista e docente Antonio Mazzeo sostiene che la logica della militarizzazione è intrecciata sia con quella dell’aziendalizzazione dell’istituzione scolastica, sia con quella della precarizzazione del lavoro. In questa prospettiva, allora, la scuola non è considerata solo come un’impresa governata da un preside-manager. Non serve solo a formare una manodopera “occupabile” – cioè disponibile ad essere impiegata a seconda delle effimere esigenze del mercato del lavoro. Agisce anche da cassa di risonanza per una retorica securitaria in un momento in cui la Nato ha chiesto agli Stati membri di aumentare le spese militari, a discapito di quelle sociali, mentre aumentano gli invii delle armi nei conflitti in corso, ad esempio quello in Ucraina.

Mazzeo descrive le iniziative finalizzate alla formazione del moderno “cittadino soldato”. L’elenco è lungo, articolato e impressionante. L’educazione del “giovin guerriero” contempla parate, presentat’arm e alzabandiera, conferimenti di onorificenze, mostre di antichi cimeli e delle più moderne tecnologie di distruzione. Ci sono le attività didattico-culturali affidate a generali e ammiragli che leggono e interpretano la Costituzione, fanno corsi di “educazione alla legalità” e “alla pace”, parlano di ecologia, di salute, “blitz anti-droga”, ammoniscono contro comportamenti classificati come “devianti”. Si tende così a costruire un modello circolare tra “scuola-caserma-lavoro”. Tale modello è ispirato da un’idea autoritaria dell’istruzione che insiste sulla minaccia della punizione e sulla deterrenza. La norma va rispettata in quanto tale, non discussa, criticata e modificata in maniera cooperativa e democratica.

A questo si aggiunge un altro lavoro ideologico, quello sulla memoria storica e sul revisionismo di stampo nazionalistico. A tale proposito Mazzeo ricorda il modo in cui è stata commemorata la prima guerra mondiale, i progetti che hanno riguardato il “milite ignoto”. Un altro tratto comune tra l’educazione autoritaria e il revisionismo storico è l’idea della preparazione allo scontro con un nemico. Prossimo o lontano, statale e non statale, non importa. L’importante è la preparazione alla reazione, l’allenamento e la prevenzione del rischio, il controllo della paura in un mondo pericoloso. Sono questi i “valori” riproposti nelle scuole con un’indubbia capacità di marketing: legge, ordine e armi; Dio, patria, famiglia e mercato; concorrenza, performatività e antagonismo, anche armato».

E in questi giorni: giù manganellate sugli studenti che manifestano pacificamente, a Pisa e a Firenze, per un cessate il fuoco nella striscia di Gaza.

Anche in Francia, senza che vengano raggiunte queste vette, si assiste a una tendenza irreggimentatrice nella scuola, per esempio con il Service National Universel (SNU) introdotto nel 2019 per i giovani tra i 15 e i 17 anni, che Macron vorrebbe rendere obbligatorio: dodici giorni di “soggiorno di coesione” con divisa, alzabandiera e canto dell’inno nazionale. Un documento di Europe écologie les Verts (EEV) dell’aprile del 2023 ritiene che l’iniziativa sia un grande spreco di danaro pubblico e che «il SNU impone la militarizzazione di un’intera generazione. Dietro a un SNU spacciato come veicolo di impegno, c’è un desiderio appena celato di creare un esercito di riserva. Che si tratti di fungere da “caschi verdi” per compensare le carenze dello Stato nella gestione dei disastri climatici, come proposto da Christophe Béchu, o di “prepararsi a una guerra potenziale, come in Ucraina”, secondo Sébastien Lecornu (…) Spingendo per l’impegno obbligatorio, il governo cerca in realtà di fare appello a una parte nostalgica e reazionaria della popolazione, che pensa che i giovani stiano perdendo i loro valori morali».

 La Svizzera sembra per ora lontana da questi esiti, non del tutto invece dal clima generale che li genera. Le nostalgie politiche che stanno alla base di queste involuzioni sono certamente diverse: lì uno sguardo compiacente, e nemmeno più sotto traccia, al regime fascista, là il richiamo allo spirito repubblicano unificante, con un’occhio alla rimpianta grandeur, qui semmai la voglia di riconsolidare un senso di sicurezza nazionale – legato al concetto di “neutralità armata” – che si era un po’ stemperato nel tempo. Ma lo sfondo è uniforme, con tendenze che attraversano tutta l’Europa (e non solo quella). Sul piano generale: affermazione di un neoliberismo che invoca non più uno stato minimo improntato al laissez faire, «ma uno “stato forte”, in grado di imporre l’austerità di bilancio sottraendosi alle pressioni redistributive dei gruppi di interesse organizzati. In sintesi, di salvaguardare la proprietà e i profitti dalle istanze di socializzazione che potevano essere introdotte dalla politica democratica» (Massimiliano Guareschi su «il manifesto» 13 febbraio 2024). Sul piano militare: forte aumento della spesa in armamenti, rafforzamento degli eserciti, maggior integrazione, se non già compiuta, nel sistema Nato. Sul piano scolastico: accento posto sulle competenze trasversali spendibili nel mercato del lavoro, crescente sudditanza di fronte alle richieste dell’economia, ritorno a forme di autoritarismo.

Vivremo quindi, in forme diverse, attenuate, qualcosa di analogo a quanto sta capitando in Italia? Per il momento non si direbbe proprio, ma date le premesse sarà bene seguire con una certa attenzione queste tendenze perverse per riconoscerle e affrontarle al momento opportuno. In fondo l’introduzione dell’ora separata di “civica” decisa nel 2017 va in qualche modo ricondotta a questo clima, non necessariamente per la cosa in sé, ma per l’idea di “civica” veicolata dalla destra fautrice di quel cambiamento della griglia oraria; non propaganda militare, d’accordo, ma una certa idea di stato, di ordine e di patria armata sì. Vedremo. Intanto cerchiamo di sopravvivere a questo Grande Balzo all’indietro. Un indietro che un po’ già conosciamo, ma che è anche nuovo, enigmatico, comunque minaccioso. È questo, ormai, il “nuovo che avanza”.

Stranamore è qui

In questo quadro – per chiudere con una nota ancora più affliggente – ecco che torna anche il nucleare, sia quello “civile”, sdoganato come stampella necessaria alla svolta energetica, sia la minaccia dell’altro. La spirale bellicista può portare lì. Lo dice, tra gli altri, Tommaso di Francesco, in un recente articolo (Stranamore è tornato, e non è un film, «il manifesto», 16 febbraio 2024): «la deriva militarista dell’intera Europa ora si ammanta di una generale vocazione atomica, con l’inedita situazione – la Francia ha già la force de frappe e la Gran Bretagna ormai extra Unione è dotata di armamento nucleare – che vede la Germania con il ministro delle finanze Lindner e ora anche i militari della Polonia, interrogarsi sulla necessità concreta del deterrente nucleare. (…) Se la pace e il futuro sono minacciati, proprio in presenza di una guerra feroce di trincea ormai portata anche sul suolo russo, l’unica possibilità è riavvolgere il nastro dei dieci anni di conflitto – da Maidan 2014, Crimea, guerra civile per il Donbass – e dei due dall’aggressione di Putin del 24 febbraio 2022 – per trovare termini di trattativa e non più l’impossibile “vittoria”, come dimostrano questi due anni di massacro, per Kiev e per Mosca. Altrimenti?

Altrimenti diventa inevitabile la prospettiva di un confronto atomico in Europa – impari di fronte alle migliaia di testate russe operative rispetto alle centinaia di Francia e Gran Bretagna, ma a quel punto, a Trattati internazionali stracciati – e siamo a buon punto – perché escludere le migliaia di testate statunitensi? O come ha proposto un ministro israeliano del governo Netanyahu, la soluzione atomica anche per i palestinesi di Gaza? Ma così fan tutti.

E la parola d’ordine sulla bocca dei leader europei sembra essere: “Prepara la guerra” – ma di che elezioni europee stiamo parlando, di quelle del Day After? Stranamore è tornato. E non è un film».

Lo scorso 27 febbraio Macron parlava di mandare truppe in Ucraina. Allegria!

Il “Grande Balzo in avanti” della Cina maoista, a cui il titolo si richiama solo per l’immagine, si è rivelato un disastro. Questo Grande Balzo all’indietro, che si inserisce in una più ampia Grande Regressione, mostra già la sua natura catastrofica.

Articolo scritto per il n.54 della rivista “Nonviolenza”
Nell’immagine: la “Control room” del film “Il dottor Stranamore – Ovvero: come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare la bomba” di Stanley Kubrick (1964)

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