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Redazione
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Perché i talebani sono cambiati
• 19 Agosto 2021 – Redazione
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Olivier Roy, francese, è uno dei massimi esperti europei di Islam. Ha una lettura diversa da molti commentatori che in questi giorni analizzano con molto scetticismo le dichiarazioni dei vincitori.
E, in questa intervista realizzata dai colleghi della RTS romanda, dà anche una sua particolare spiegazione dei motivi della sconfitta occidentale

I talebani conquistano il potere e per prima cosa vogliono essere rassicuranti, usano un linguaggio moderato, assicurano che non vi saranno vendette, parlano di governo inclusivo. Olivier Roy: quanto sono credibili, quanto sono sinceri?

Non è una questione di sincerità, che in generale esiste poco in politica. Si tratta di interesse. E oggi è nell’interesse dei talebani fare questo tipo di discorso. È chiaro, vogliono il monopolio del potere. Hanno perso il potere nel 2001 perché diedero ospitalità a Bin Laden. Hanno avuto bisogno di due decenni per riconquistare il controllo del paese, e non vogliono certo perderlo nuovamente. Dunque, da una parte vogliono rompere il legame con i gruppi terroristici in Afghanistan, e dall’altra sanno che in questi anni le cose sono cambiate. Oggi Kabul è una città di 6 milioni di abitanti, più istruiti e dove molti per esempio si servono di internet. Quindi hanno bisogno di una gestione del potere più sottile, e più aperta.

In che modo i talebani di oggi sono diversi da quelli di 20 anni fa, che lei aveva conosciuto già durante l’occupazione sovietica? In cosa sono cambiati?

Sul piano generazionale sono gli stessi, ma hanno fatto nuove esperienze. Per esempio uno dei loro principali leader, Abdul Ghani Baradar, che ora è di nuovo a Kabul, si era stabilito in Pakistan, ha viaggiato, ha avuto contatti con altre realtà all’estero, ha dialogato con gli americani. Insomma hanno conosciuto altre società, e alcuni dei capi hanno studiato l’arabo e anche l’inglese, cosa che non avveniva vent’anni fa. E hanno tratto delle conclusioni. Nel 2001 non avevano alcuna esperienza internazionale. Si trattava di persone che uscivano dalle madrase, le scuole coraniche, del sud rurale, e che non avevano mai messo piede nelle grandi città. Oggi sono persone più mature, con maggior esperienza, e lo si capisce da come si esprimono.

È vero che la loro strategia comunicativa è del tutto diversa? Usano anche la rete e i social, in tal senso si sono connessi con la modernità.

È indiscutibile, e inoltre sono aiutati da una nuova generazione, che non esce da madrase isolate, si tratta di giovani tecnocrati, e svolgono senz’altro un ruolo in questo quadro più moderato, meglio: in questo pragmatismo

In effetti i talebani non sono mai scomparsi negli ultimi vent’anni dalla scena afghana, in certe zone rurali hanno mantenuto una certa importanza. Ci si può chiedere se non vi possa essere uno scontro fra questi due paesi: la nuova realtà di Kabul, la capitale che è molto cambiata, come lei ha ricordato, e poi le zone rurali dove il sostegno agli studenti coranici è stato comunque importante anche durante la guerra.

È sicuro che i talebani non sarebbero riusciti a riprendersi il paese se avessero perso il sostegno di una parte del paese; nel Sud avevano mantenuto una forte presa, anche perché garantivano la legge e l’ordine, e perché sapevano come risolvere i problemi, conoscevano le regole del gioco a livello locale e come risolvere le tensioni fra i diversi capi clan locali. Mentre a Kabul sul piano politico regnava la corruzione, si studiavano piani di sviluppo che rimanevano teorici e che venivano concepiti anche al di fuori del paese, che erano imposti dall’alto, che non avevano una reale presa sul paese, soprattutto sulle realtà contadine. Quindi lì si continuava ad avere fiducia nei talebani, questo è un fatto.

Pensa che i talebani riusciranno ad acquisire il controllo totale del territorio? Sappiamo che in Afghanistan vi sono anche gruppi di opposizione.

Ci sono due tipi di opposizione. Da una parte ci sono quelli che nel 2001 – diciamo da sinistra, se si possono usare queste categorie politiche – avevano contribuito a togliere loro il potere, i seguaci di Massoud, gli sciiti, gli azeri, e questi stavolta sono stati sconfitti militarmente, con una rapidità sorprendente, e praticamente i cosiddetti ‘signori della guerra’ in questo momento sono scomparsi: certo delle sacche di resistenza possono ancora esserci, ma personalmente non credo che abbiano un grande futuro, oltretutto perché i talebani ormai controllano anche le frontiere. La seconda opposizione – che per intenderci possiamo collocare a destra – è più islamista degli stessi talebani: si tratta essenzialmente di Al Qaeda, dunque degli eredi di Bin Laden, e di Daesh, quelli dello Stato islamico. Ora, Al Qaeda non ha presa sulla popolazione, si tratta di piccoli gruppi che si muovono lungo il confine afghano-pakistano, ma che appunto non hanno nessun controllo della popolazione. Mentre i veri concorrenti dei talebani potrebbero essere i combattenti di Daesh, e infatti contro di loro i talebani hanno già combattuto, a volte in alleanza con gli americani: ma non credo che i talebani consentiranno a questi concorrenti di svilupparsi e consolidarsi, proprio perché è loro intenzione eliminare i jihadisti in Afghanistan, ancora una volta per una questione di potere, per avere il monopolio del potere.

Una delle grandi preoccupazioni dell’Occidente è proprio quella di vedere l’Afghanistan diventare una sorta di centrale internazionale del jihadismo, preoccupazione per esempio espressa pubblicamente dal presidente francese Macron. Si tratta di un pericolo reale?

No, proprio perché come dicevo i talebani non possono accettare che vi siano dei contropoteri armati e che usino il paese come un santuario; quindi faranno di tutto per espellere o distruggere questi gruppi installati in Afghanistan. Si, magari accetteranno di dare asilo a qualche singolo esponente della lotta islamica, ma io credo che andranno fino in fondo nella loro strategia, ancora una volta per garantirsi il potere assoluto. L’Afghanistan è una sorta di enclave, e i talebani hanno bisogno di mantenere rapporti con dei vicini come la Russia, la Cina, l’Iran, il Pakistan. Già si comincia ad ammonirli, attenti a ciò che fate: sono appena tornati al potere e già cominciano a tirar loro la barba.

Ma la loro vittoria non può rilanciare, ridare vigore, agli islamisti radicali in altre parti del mondo?

Bisogna tener conto di due cose. Sul piano della jihad no, perché i talebani non sono dei jihadisti: i talebani vogliono uno stato islamico in Afghanistan, non vogliono esportare la loro esperienza, chiedono relazioni diplomatiche a livello internazionale, hanno riconosciuto le frontiere del paese, mentre per definizione i jihadisti non vogliono frontiere. Quindi, da questo punto di vista sono piuttosto la versione di un reinserimento del paese nell’ordine internazionale, come avvenuto per altre nazioni che hanno sviluppato un islam interno, locale. Ma c’è un secondo punto, e cioè il fallimento delle campagne militari organizzate per sradicare il terrorismo: Iraq, Afghanistan, e domani forse anche la Libia. Questa è la grande questione. Ecco perché, per esempio, in un paese come il Mali vi è chi saluta la vittoria dei talebani; ma il messaggio non è ‘siamo per la politica dei talebani’, ma piuttosto ‘vedete che non serve a nulla inviare delle truppe dall’estero’. È davvero un problema che dobbiamo porci, perché in effetti la cosa non funziona.

Il presidente americano Joe Biden ha cercato di difendersi; ma si può affermare che vi sia quasi una fatalità sull’esito degli interventi stranieri in Afghanistan?

Gli interventi militari possono avere una giustificazione sul breve periodo, ed è chiaro che nel 2001 non vi fosse alternativa al fatto di dover inviare dei soldati in Afghanistan per stanare Bin Laden nelle valli in cui si nascondeva, ma l’hanno mancato. Poi però bisogna porsi il problema, in questo caso, di quanto sostegno si può avere da quelli che in questo caso chiamiamo islamisti. Si pensa: il nemico è sulla montagna, e bisogna dargli la caccia. Ma non si pensa che nel paese vi è anche una società, dove vi possono essere confronti di ogni genere, agrari, politici, religiosi o d’altra natura. Ma si tratta di persone che non intendono farsi coinvolgere in una guerra di cui diventano le prime vittime e su cui non hanno alcuna possibilità d’agire. Ecco quello che è successo in Afghanistan, come in Iraq, e sta capitando in Mali. Bisogna capire che la guerra contro il terrorismo diventa una parola vuota, non si combatte contro un’astrazione ma contro delle persone… e occorre capire anche la situazione sul piano antropologico. Ma nonostante tutto ciò che in Occidente sappiamo anche su questi aspetti, non si è cercato di capire, favorendo così la vittoria dei talebani.






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