Una sconfitta anche morale
Inviato di guerra, Lorenzo Cremonesi commenta il ritorno dei talebani e la vittoria islamista contro la coalizione a guida americana
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Certo, le sorti della guerra erano segnate da tempo. I segnali che i Talebani avrebbero vinto erano evidenti. Si sapeva che avrebbero preso l’intero paese in tempi rapidi. Certamente non si pensava che la conquista di Kabul avvenisse praticamente in una settimana. Ma bisogna evidenziare un particolare che veniva sottolineato assai poco, o quasi mai, dai nostri media: quando si diceva “i talebani hanno preso una provincia, hanno preso Kunduz, o Kandahar, e poi Herat “ eccetera, in realtà non si teneva conto che gli ‘studenti coranici’ già controllavano gran parte del paese, molte città ma anche tutte le zone rurali. Già un anno fa avevano il controllo sul 60-65 per cento del paese; in particolare avevano conquistato zone vitali delle regioni Pashtun, logar, Wuardak, tutto l’est verso il Pakistan, e tutto il Su. Quando è caduta Kandahar, in realtà avevano conquistato il centro città, perché per il resto già da un anno non ci si poteva più spostare in auto da Kabul verso quella città. Quello che tento di spiegare è che hanno preso quelle cinque, sei, dieci province – tranne l’area Pashtun dove hanno sempre avuto difficoltà -, ma in realtà tutto il resto lo avevo già sotto controllo. Quindi, quando ci dicevano che avevano preso il controllo in dieci province, in realtà ne avevano già conquistate una trentina.
Tenuto conto di tutto questo, qual è oggi il punto focale?
Il dato più clamoroso è che siamo al fallimento epocale dell’Occidente, della coalizione, non voglio dire solo degli americani, ma di tutta la coalizione in cui ci sono ci sono paesi Nato, gli europei, che hanno addestrato l’esercito presidenziale. Gli americani erano concentrati specialmente nelle missioni di combattimento; ma tutto il resto – l’addestramento, la parte civile, tutti gli impegni non strettamente militari – era in mano europea. Quindi siamo di fronte a un fallimento collettivo, culturale, politico e militare.
Ora i talebani cercano di presentarsi come conciliatori, chiedono ai loro militanti di non commettere eccidi, dicono di voler favorire un governo inclusivo, ma quanto si può creder loro in base alle esperienze del passato?
In realtà temo che non sarà affatto così. Innanzitutto, i talebani di oggi sono vittoriosi più di quanto non lo fossero stati nel 1996, quando erano riusciti ad entrare a Kabul solo dopo quattro, cinque anni di combattimenti, lottando spesso contro miliziacce, vari capi tribali, e i vecchi mujahiddin della resistenza contro gli invasori sovietici; qui invece hanno vinto contro l’Occidente, e per loro è stato come vincere una guerra mondiale. Questo è molto pericoloso, ringalluzzisce per esempio quelli dell’ISIS o di Al Qaeda rianima tutto l’estremismo islamico. E poi hanno riaperto in qualche modo la ‘caccia’: cioè Kabul in questo momento è piena di criminali, perché noi parliamo sempre dei jihadisti, degli estremi, ma poi, come in tutti gli Stati falliti, girano i criminali comuni, ci sono bande criminali, che magari si ammantano di una aureola politica. Quindi ora le strade sono insicure, qualsiasi occidentale è a rischio, come qualunque afghano che abbia qualcosa da perdere. Si reinstallano i vecchi scontri tribali, e bisogna tener d’occhio cosa accadrà nella valle del Panshir, la valle del leggendario Massoud ucciso da Al Qaeda due giorni prima l’attacco alle torri gemelle; ebbene, il figlio di Massoud non ha certo la stessa forza e lo stesso carisma del padre, quindi anche lì dove hanno sempre trovato ostacoli, ora i talebani potrebbero avere gioco facile per completare le loro conquiste. Adesso parlano di moderazione, ma, ripeto, io non mi fiderei. Hanno metodicamente tradito gli accordi stretti con gli americani nei negoziati di Doha, tranne uno: non attaccare gli americani, ma sarebbero stupidi a farlo, gli americani hanno le armi per far loro molto male, e allora perché dovrebbero perdere uomini quando i marines se ne stanno andando? È da un anno e mezzo che seguono questa regola.
Qual è dunque l’elemento centrale del fallimento americano e della coalizione inviata in Afghanistan per ‘rispondere’ all’attacco dell’11 settembre nonché punire ed eliminare, senza riuscirci, il regime che aveva dato ospitalità ai santuari di Bin Laden?
l fattore più importante del fallimento occidentale è stato un insieme di comportamenti: la corruzione, il malgoverno, che noi occidentali abbiamo in qualche modo alimentato, con i miliardi che arrivavano e che venivano spesi male. Tutti noi lo sapevamo, non è dunque solo l’aspetto militare che in definitiva non ha funzionato, ma anche l’intervento civile che ha fatto acqua da tutte le parti. Ne paghiamo altre conseguenze. Non a caso in questo momento, la Russia, che non è certamente amica dei talebani, ha infatti represso ferocemente gli islamisti di casa sua, sta parlando di un ‘governo legittimo a Kabul’, e quindi cerca un accordo coi talebani; e anche la Cina, che in chiave anti-indiana e in collaborazione col Pakistan apre ai talebani, e questo per noi segna una doppia sconfitta. Comunque penso che anche per loro ci potranno essere dei problemi, per esempio potrebbe entrare in campo anche l’ISIS, che non ama particolarmente né i russi né i cinesi. Certo, adesso i talebani hanno tutto l’interesse di mostrare che sono una forza responsabile, che sono governativi, che sono moderati, addirittura, e questo me lo ha detto poco fa da Kabul il mio collaboratore in Afghanistan, lanciano appelli al vecchio esercito affinché non getti le armi ma collabori contro i delinquenti che stanno saccheggiando in tutta Kabul. Se ne parla poco perché laggiù non c’è più nessuno che possa raccontarlo, riceviamo solo i video girati dagli stessi afghani.
S’è sempre detto che “l’Afghanistan divora gli imperi”, molte potenze straniere hanno provato a occuparlo ma sono stati cacciati. Di fronte all’odierna situazione, c’è chi teorizza il fatto che in definitiva a molti, anche fra i paesi europei, l’“ordine talebano” potrebbe fare comodo
“Certo, in una situazione estrema come questa il ragionamento ci sta. Prendiamo l’esempio dell’Egitto; col suo putsch il generale El Sissi ci ha fatto comodo, ha bloccato l’islamismo, e può farci ancora comodo per fermare le varie milizie islamiche operanti in Libia. Un altro esempio: l’Occidente è stato piuttosto silenzioso ora che in Tunisia il presidente ha fatto una sorta di colpo di Stato, stiamo parlando del primo paese ad aver conosciuto la cosiddetta “primavera araba”; arriva un capo dello Stato che dice “ora basta con la democrazia”, e magari comincia a fermare il flusso dei migranti verso i nostri paesi. Quindi anche nei confronti di Kabul può scattare la stessa logica, e magari si avvierà un dialogo. Ma non credo che possa accadere a breve. Però c’è una lezione che dovremmo trarre da questo dramma: l’Europa deve imparare a difendersi da sola, dobbiamo capire che non esiste un paese in guerra in cui noi diciamo semplicemente ‘siamo qui per una missione di pace’: o vai con una missione di guerra, con ingaggi di guerra, o non ci vai.
Intervista a cura di Aldo Sofia
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