Perché il nucleare non tiene il passo della transizione energetica
Un contributo alla comprensione, alla riflessione e alla discussione, in occasione della “Giornata Mondiale della Terra”
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Un contributo alla comprensione, alla riflessione e alla discussione, in occasione della “Giornata Mondiale della Terra”
La transizione energetica non è un punto di arrivo ma, come suggerisce il termine, è un processo. L’Europa ha fissato degli obiettivi di riduzione delle emissioni già per il 2030. Entro quell’anno le emissioni di gas serra dovranno ridursi almeno del 55%. Mancano solo 8 anni. Nel 2050, almeno in Europa, dovremmo arrivare a emissioni nette zero. Per centrare gli obiettivi dell’Accordo di Parigi sul clima (contenere il riscaldamento del pianeta entro 1.5°) la decarbonizzazione deve essere rapida. Il riscaldamento globale è infatti il risultato delle emissioni cumulative: finché si continuerà a emettere CO2 in atmosfera, la temperatura del pianeta continuerà ad aumentare.
Nel 2021 L’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA) ha sviluppato un percorso verso le emissioni zero in cui nel 2050 il 90% della produzione globale di elettricità dovrebbe derivare dalle energie rinnovabili, di cui il 70% solare ed eolico. Il documento definisce questo percorso «il più tecnicamente fattibile, conveniente dal punto di vista dei costi e socialmente accettabile». La IEA è nota per aver sempre sottostimato lo sviluppo delle rinnovabili. Se oggi immagina un futuro energetico al 90% rinnovabile non è perché si è convertita al fondamentalismo verde, ma è perché ha il polso di ciò che sta accadendo nel panorama globale dell’energia.
Secondo la IEA, l’energia nucleare continuerà a svolgere un «contributo significativo» nella produzione di energia elettrica globale nel 2050. Nel percorso dell’agenzia, la produzione di energia nucleare dovrebbe raddoppiare a metà secolo. Ma nel complesso la sua quota, nella produzione globale di energia elettrica, dovrebbe scendere sotto il 10%, la percentuale a cui si trova oggi. Inoltre, due terzi della nuova capacità dovrebbero essere installati nelle economie emergenti come la Cina. Mentre nelle economie avanzate dovrebbe scendere dal 18% al 10%. In tutto il mondo, dagli anni ‘90 a oggi, è scesa dal 17% al 10%.
La IEA ricorda che «mentre progetti sono stati completati nei tempi previsti in Cina, Russia ed Emirati Arabi Uniti, ci sono stati notevoli ritardi e sforamenti dei costi in Europa e negli Stati Uniti». Nei paesi più sviluppati il futuro dell’energia nucleare dipenderà soprattutto dalla decisione di prolungare l’attività dei reattori già in funzione, oltreché da possibili investimenti nella costruzione di nuovi impianti. Ma anche la Francia, mentre annuncia la costruzione di nuove centrali, prevede di ridurre la percentuale del nucleare, nella produzione di elettricità, dal 70% al 50%.
Il documento fotografa una situazione ben nota a chi si occupa di energia: il nucleare ha segnato il passo rispetto allo sviluppo delle energie rinnovabili, diventate sempre più competitive. Il costo dell’elettricità prodotta dall’energia solare ed eolica on-shore è crollato, rispettivamente, del 85% e del 70% nell’ultimo decennio. Il costo dei moduli fotovoltaici si è ridotto del 99% dalla fine degli anni ‘70 ad oggi. Questo non è dovuto a un’ipnosi verde collettiva ma, come spiega uno studio del Massachusetts Institute of Technology (MIT), è il risultato delle politiche pubbliche che hanno stimolato il mercato del settore, della ricerca sia pubblica che privata e di quella che viene definita economia di scala, cioè il rapporto tra l’aumento della produzione industriale e la caduta dei costi.
Nel 2020 la IEA dichiarava che il solare «è oggi la fonte di energia più economica della storia». Lo sviluppo dell’energia solare ed eolica ha mostrato infatti di seguire quella che in economia viene chiama curva di apprendimento: a ogni raddoppio della capacità installata, il costo si riduce di una certa frazione. Anche il prezzo delle batterie, fondamentali per gli accumuli di energia prodotta da fonti aleatorie come il solare ed eolico, è crollato dagli anni ’90 a oggi. Quello delle batterie è uno dei settori tecnologici in cui l’innovazione corre di più.
Perché l’energia nucleare non ha seguito un andamento simile a quello delle rinnovabili? Una delle ragioni riguarda le regolamentazioni che hanno imposto crescenti standard di sicurezza. Ma c’è anche un fattore tecnologico e industriale. Quella nucleare è una tecnologia che, nelle sue diverse componenti, viene costruita in modo poco standardizzato e in pochi esemplari. Come riporta Bloomberg, se si confrontano le curve della produzione globale di energia nucleare e di energia da fonti rinnovabili (esclusa quella idroelettrica), dagli anni ’60 a oggi, si nota un andamento diverso. La curva dell’energia nucleare è più spezzettata e irregolare e a un certo punto smette di crescere. Quella delle rinnovabili mostra un andamento liscio e in continua crescita. L’aspetto della seconda è il risultato dell’installazione di un numero di turbine eoliche e moduli fotovoltaici dell’ordine, rispettivamente, di centinaia di migliaia e centinaia di milioni, in molti mercati globali. Al contrario, il numero di impianti nucleari operativi è molto più piccolo ed è distribuito in un numero più ridotto di paesi. È cresciuto di poco negli ultimi 30 anni, passando da 416 nel 1990 a 441 nel 2020.
Il fatto che l’energia nucleare sia in difficoltà costituisce un problema? Sì, se è vero che non potremo farne a meno in futuro. Un suo rilancio potrebbe derivare dalla diffusione di nuovi modelli di reattori, come i cosiddetti small modular reactors, più piccoli di quelli tradizionali. È una tecnologia che potrebbe rendere la progettazione e costruzione dei reattori più standardizzabile, quindi meno costosa. Ma ad oggi è ancora in fase di sviluppo e, come la fusione nucleare, non è certo una soluzione energetica subito disponibile.
Peraltro, anche la possibilità di raggiungere un mix energetico composto al 100% da fonti rinnovabili (non solo energia solare ed eolica, ma anche idroelettrica, geotermica e da biomasse) non è oggi un’idea utopistica né da ciarlatani, ma un possibile scenario oggetto di studi. In ogni caso, già il 90% o 80% dovrebbero essere sufficienti a mettere in crisi certi slogan e narrative. Ma anche su questo il dibattito si impantana. «Non è possibile arrivare a un mix energetico 100% rinnovabile», obietta qualcuno. Ben prima di preoccuparci se sia o meno fattibile il 100%, dovremmo almeno avvicinarci al 50% o al 70%.
Ricordate come deve essere la transizione energetica? Rapida.
C’è un’ultima questione su cui è necessario fare chiarezza: la differenza tra attivismo e informazione. Si può sostenere la causa più nobile e giusta di questo mondo. Io stesso, come essere umano che vive su questo pianeta, mi considero un attivista per il clima e l’ambiente. Ma questo, per quanto possibile, non dovrebbe impedirci di formulare giudizi e valutazioni corrette. Non si tratta soltanto della nota differenza tra fatti e opinioni. A partire dai fatti, si possono maturare opinioni diverse. Si tratta, piuttosto, della capacità di dare una rappresentazione il più corretta possibile di una questione.
Il genere di attivismo che prende di mira quelli che ritiene essere i propri avversari finisce per essere un attivismo non solo pro ma anche contro. Un certo attivismo pro-nucleare, come abbiamo visto, non si limita a difendere le buone ragioni di questa fonte di energia, ma mette in discussione il ruolo delle energie rinnovabili alimentando miti e pregiudizi sul loro contributo alla produzione di energia elettrica. Di fatto, questo attivismo mette in competizione nucleare e rinnovabili, invece di descrivere, in modo corretto, il loro rispettivo ruolo nella transizione energetica.
Settarismo e manicheismo caratterizzano da tempo il dibattito sul nucleare. Invece di un’accademia platonica, il modello è un ring dove si lotta senza regole. Anche queste discussioni finiscono per consumare inutilmente quel tempo che non abbiamo, mentre le lancette della crisi climatica corrono.
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