Tesi, testi e protesi (editoriali)
In uno spazio a pagamento sui due quotidiani ticinesi un imprenditore diventa giornalista per invocare una legge contro i giornalisti che 'non sanno essere obiettivi'
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In uno spazio a pagamento sui due quotidiani ticinesi un imprenditore diventa giornalista per invocare una legge contro i giornalisti che 'non sanno essere obiettivi'
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• – Redazione
In uno spazio a pagamento sui due quotidiani ticinesi un imprenditore diventa giornalista per invocare una legge contro i giornalisti che 'non sanno essere obiettivi'
Questa guerra sta generando un esodo di profughi, specie donne e bambini, in fuga dalle bombe e dalle peggiori atrocità. Ne stiamo accogliendo anche noi, con slancio indiscutibile di solidarietà e generosità. Donne e bambini che sono fra noi, che possiamo incontrare davanti alle scuole o nei supermercati, con quell’aria smarrita e quella lingua incomprensibile. È un fatto, non c’è dubbio.
Per tutto il resto, i dubbi ci sono, eccome, e crescono, si alimentano. I fatti della guerra sono analizzati, raccontati, diffusi, interpretati, passando da inviati e agenzie alle testate giornalistiche e ai siti informativi di tutto il mondo. Ogni giorno ci piovono addosso dosi sempre più massicce di notizie, spesso contraddittorie, in ogni caso di fonte incerta, non precisata, o già definita “di parte”.
Nella sua ineluttabile tragicità, questa guerra, sembra anche voler segnare un momento cruciale per il giornalismo, a tutti i livelli, in ogni parte del mondo. In quanto conflitto ipermediatizzato, soggetto come non mai all’azione costante degli apparati propagandistici che trovano “in rete”, canali di trasmissione pressoché infiniti, la guerra in Ucraina chiama i media informativi ad una nuova, terribile prova, proprio quando sono in piena “crisi d’identità” di fronte al processo, ancora tutto da capire e regolare, della rivoluzione digitale.
Fra i numerosi suoi aspetti, questa guerra è, giornalisticamente, terreno quotidiano di fact checking, nella verifica, minuto per minuto, della veridicità dei fatti che vengono raccontati e diffusi; una pratica sempre più importante svolta da una categoria di giornalisti, i debunker, cui oggi dobbiamo molto se possiamo, qualche volta, arrivare a dire che “quei fatti” si sono svolti proprio così.
Ma non è per niente facile: ogni redazione giornalistica sa perfettamente quanto sia fondamentale il lungo e faticoso lavoro di controllo delle fonti, la messa in relazione di fatti e riscontri; per i giornalisti, in particolare, chiamati a lavorare tendenzialmente in condizioni sempre più “estreme”, svolgendo mansioni plurime sulle diverse “tastiere”, dentro redazioni decimate dalle misure di risparmio, questa della guerra è una prova cruciale, che merita attenzione, certo, da parte loro, ma anche comprensione per chi, da lettore, fruitore, pubblico, sa quanto conti il loro lavoro.
E preoccupa non poco leggere, sui nostri due principali quotidiani, un’articolessa sulla guerra firmata da Alberto Siccardi, in cui il noto imprenditore e fondatore di Medacta, azienda leader nel campo delle protesi articolari, così si esprime a proposito della difficoltà a capire i fatti del conflitto in Ucraina: “Per quanti anni andremo avanti senza una legge efficiente, che colpisca duramente chi, pagato e preposto a parlare di cose così importanti alla popolazione, si permette di non essere obiettivo e di seguire una strategia comunicativa prefissata da una parte politica o più semplicemente voluta per far aumentare gli indici di ascolto.
Quando potremo fidarci dell’informazione? Non per nulla in Svizzera il Popolo Sovrano ha votato contro il finanziamento dei media da parte dello Stato. La gente non crede sempre a quello che sente o legge e ha votato contro perché non si fida. Già questa conquista sarebbe un grande passo avanti per tutti noi, bombardati ogni giorno in modo martellante dall’informazione, nelle sue varie forme.” (v. “Corriere del Ticino” e “laRegione” del 14.4.22)
Insomma, è tutta colpa dei giornalisti, incapaci di essere obiettivi e giustamente puniti per questo dal pubblico di votanti che hanno affossato un sostegno ai media (e correranno, c’è da credere, a sottoscrivere l’iniziativa per il canone RTV a 200.-). Una conclusione davvero un po’ tanto drastica, e per di più paradossale.
Che la categoria dei giornalisti possa e debba fare un po’ di conti con la propria funzione, può essere anche opportuno. Per quella degli editori, varrebbe la pena, in ogni caso, fare l’esercizio di capire che strada “obiettiva” prenda un giornale “indipendente” nell’ospitare settimanalmente le pagine di uno spazio chiamato “Pubbliredazionale a pagamento”, una sorta di “protesi editoriale” in cui si lascia dire quello che vuole a chi ha i soldi per farlo.
E chi ha i soldi per farlo, come Alberto Siccardi, usa questo spazio, per dire la sua o proporre commenti di amici come Tito Tettamanti, comprando una pagina attraverso una società anonima, la “Spazio Libero SA” (con un capitale di 300.000 franchi), di cui è ovviamente presidente, accompagnato dall’unico “membro”, che è l’ex-direttore del “Corriere del Ticino” Giancarlo Dillena (Si veda il Registro di Commercio della Confederazione).
Siccardi scrive, qui, con il pretesto della guerra, per parlare di obiettività, senza spiegare in cosa dovrebbe consistere, e per invocare una legge che predisponga punizioni esemplari nei confronti di chi, a suo dire, obiettivo non lo è (in pratica, per chiunque voglia essere giornalista fino in fondo, mettendo nel lavoro il prezioso bagaglio delle proprie esperienze e competenze).
Ma di questo passo, davvero, si finirà per ottenere il contrario di quanto, più o meno pretestuosamente, si invoca quando si domanda ai media di “spiegare quel che accade”. Di questo passo, i mezzi di informazione avranno redazioni ancor più ridotte all’osso: scriverà e sentenzierà chi paga (e non poco) per farlo. Con buona pace dell’indipendenza e dell’obiettività.
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