Il pacifismo difficile
Come mai tanta acredine contro la non violenza?
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Come mai tanta acredine contro la non violenza?
• – Fabio Dozio
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• – Franco Cavani
In un momento storico drammatico come quello che stiamo vivendo, le parole assumono un’importanza pari forse solo a certi specifici silenzi, come quello del Papa
• – Enrico Lombardi
Emergono già i primi "effetti collaterali" dei lavori preparatori del progetto luganese del PSE, un Polo destinato a far discutere ancora a lungo - Di Olmo Cerri
• – Redazione
Il proposto contenimento della spesa pubblica ridurrà servizi e prestazioni, e verrà dunque pagato dalle famiglie e dalle persone più fragili - Di Ivo Durisch
• – Redazione
A picco un altro pezzo dell'immagine di potenza russa; e il Cremlino all'angolo potrebbe diventare ancor più preoccupante
• – Redazione
L'esperto Luca Lovisolo (autore del recente saggio 'Il progetto russo su di noi') commenta l'articolo della Novosti sulla 'denazificazione' del paese invaso, tradotto e integralmente pubblicato da Naufraghi/e
• – Redazione
L'agenzia RIA Novosti, controllata dal Cremlino, pubblica un allucinante piano su ciò che la Russia intende per 'denazificazione' del paese invaso: ci vorranno 25 anni, la popolazione non russofona è stata complice e dovrà pagare e redimersi sopportando le difficoltà della guerra, le élite saranno eliminate, e l'Ucraina dovrà cambiare nome
• – Redazione
Scendono in campo anche tre ex consiglieri federali. Il duello più acceso è fra Micheline Calmy-Rey e Christoph Blocher. Più pacato, ma altrettanto determinato, Kaspar Villiger
• – Daniele Piazza
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• – Franco Cavani
Di fronte alla barbara invasione dell’Ucraina da parte della Russia l’opzione pacifista fatica a farsi sentire. Siamo di fronte a un clima belligerante che ritiene ineluttabile il confronto armato e la necessità di sostenere la resistenza ucraina con l’invio di armi.
I pacifisti sono presi di mira, spesso insultati, quasi sempre derisi, snobbati come ignoranti e accusati di “collaborazionismo con Putin”, o di essere vigliacchi, pusillanimi e infantili. Come mai tanta acredine contro il pacifismo e l’ideale non violento? Se vogliamo provare ad abbozzare un controcanto, ponendo qualche interrogativo, dobbiamo precisare subito, a scanso di equivoci, che l’invasione dell’Ucraina da parte di Putin è un atto criminale e va condannata, senza se e senza ma. Il pacifismo non è equidistante. Questo però non significa applaudire la smania militarista che si è impadronita dell’Europa con la corsa al riarmo.
È possibile sostenere l’Ucraina senza invocare l’uso delle armi per rispondere all’aggressione?
Non ci sono guerre giuste
Il primo pacifista è Papa Francesco: “La vera risposta non sono altre armi o altre sanzioni. Io mi sono vergognato quando ho letto che un gruppo di Stati si è impegnato a spendere il 2% del PIL nell’acquisto di armi”. “Non ci sono guerre giuste, non esistono”.
Il fatto nuovo di questi ultimi cinquant’anni, riconosciuto da tutti, è che siamo di fronte al rischio di guerra nucleare. Forse non mondiale, ma certo con armi atomiche tattiche che possono distruggere parte dell’Europa e colpire milioni di abitanti. L’osservazione di Albert Einstein del 1964 rimane più che mai attuale: “Il potere che può scatenare l’atomo ha cambiato tutto, salvo il nostro modo di pensare”. La minaccia di una guerra nucleare modifica radicalmente il giudizio sul conflitto in corso in Ucraina. Perciò appaiono strampalati e infondati alcuni confronti avanzati dai commentatori: il risorgimento italiano, la guerra di Spagna, il Vietnam, le guerre di liberazione. No, siamo nel 2022, e la deterrenza nucleare espressione della guerra fredda è ormai svanita.
Un campione di realpolitik (merce rara, ormai, fra i contemporanei), Henry Kissinger, poneva nel 1957 un dubbio. “Se ci basiamo sulla nozione di guerra totale come maggior criterio dissuasivo (…) abbiamo due possibilità: o i nostri alleati ritengono che qualsiasi sforzo militare è inutile, oppure acquisiscono la convinzione che la pace, anche capitolando, è meglio della guerra. Nella misura in cui si conosce meglio la capacità distruttiva delle armi moderne, sembra sempre meno ragionevole assicurare che gli Stati Uniti, e ancor più il Regno Unito, sarebbero pronti al suicidio pur di rifiutare una zona, pur importante, a un nemico”. Dunque Kissinger, che tra l’altro ha criticato ancora recentemente l’allargamento a est della NATO, esprimeva un quesito fondamentale: meglio russi che morti?
Resistenza disarmata
Un recente articolo su Foreign Affairs che valuta cosa può accadere nel dopoguerra ucraino afferma: “Putin ha scatenato la guerra per creare un cuscinetto tra la Russia e il sistema guidato dagli Stati Uniti in Europa. Non potrebbe fare a meno di mettere in piedi una struttura politica per raggiungere i suoi obiettivi e mantenere un certo livello di ordine nel paese. Ma la popolazione ucraina ha già dimostrato che non accetterà l’occupazione. Resisterà con determinazione, con atti di ribellione quotidiani e con un’insurrezione interna o contro uno stato fantoccio messo in piedi dall’esercito russo nell’est del paese”. E ancora: “Un’Ucraina russificata può esistere nella fantasia di Mosca, e i governi sono certamente capaci di agire basandosi sulle loro fantasie. Ma non potrebbe mai funzionare in pratica, a causa delle dimensioni del paese e della sua storia recente”.
Questo scenario, che viene suggerito per il dopoguerra, non poteva essere immaginabile fin dal 24 febbraio, pensando a una resistenza disarmata da parte degli ucraini?
Difesa nonviolenta
L’opzione pacifista significa non rispondere con le armi all’aggressione. È accaduto in Crimea, occupata dai russi nel 2014. Obama allora si accontentò di alcune sanzioni economiche contro la Russia. L’Ucraina non reagì e la popolazione della penisola nemmeno, anzi. Il referendum popolare (81,3% la partecipazione) confermò la volontà dei cittadini della Crimea all’annessione alla Russia con il 96,77%. Referendum condizionato e messo in discussione dall’Ucraina e dall’Occidente.
Maciej Bartkowski, esperto di resistenza civile alla John Hopkins di Washington e membro dell’International Center on Nonviolent Conflict (ICNC), ha illustrato le possibilità di resistenza non violenta in Ucraina, citando un sondaggio del 2015 dell’Istituto internazionale di sociologia di Kiev: “Il sondaggio ha avuto luogo subito dopo la rivoluzione di EuroMaidan e la presa della Crimea e della regione del Donbas da parte delle truppe russe, quando ci si poteva aspettare che l’opinione pubblica ucraina fosse fortemente a favore della difesa della patria con le armi. I risultati, tuttavia, hanno rivelato un sostegno sorprendentemente forte per un’alternativa al tipo di resistenza armata: la difesa nonviolenta guidata dai civili”. I dati mostrano che le lotte nonviolente contro gli occupanti tra il 1900 e il 2006, sostiene Bartkowski, hanno avuto successo il 35% delle volte, mentre la resistenza armata è riuscita il 36% delle volte, ma a costi enormi in termini di sacrifici umani e materiali. Una resistenza nonviolenta – annota Bartkowski – conserva più efficacemente il tessuto della società civile e offre possibilità maggiori di costruire la democrazia.
Le logiche militari alla fine inquinano la politica e la società civile, mentre la forza del pacifismo è dimostrata storicamente da alcune personalità vincenti: Gandhi, Martin Luther King, Nelson Mandela, il presidente del Kossovo Rugova, ma anche il fondatore di Emergency Gino Strada.
Se l’Ucraina avesse avuto un atteggiamento nonviolento, i russi sarebbero arrivati a Kiev in pochi giorni. Da quel momento il popolo ucraino, che sta dimostrando nella guerra grande slancio patriottico e capacità di resistenza, avrebbe potuto iniziare una lotta su tanti fronti: manifestazioni oceaniche nelle strade, scioperi generali, disubbidienza civile, richiesta di sostegno pacifico e diplomatico all’occidente, al Papa, all’ONU. Creare due, tre, molte EuroMaidan.
Osare la pace
I civili che perdono la vita in Ucraina sono una tragedia, così come la certezza di ritrovarsi con un paese distrutto, con città rase al suolo. Ma anche i profughi, che ormai superano i quattro milioni, rappresentano una realtà drammatica e preoccupante. Quanto durerà l’esilio? E quanti problemi si creeranno nei paesi ospitanti se la guerra si prolunga? E quali conseguenze avrà la mancata raccolta del grano ucraino, che affamerà le popolazioni più povere del pianeta e gli stessi contadini produttori? Intanto, la funesta realtà della guerra e la vertigine del riarmo hanno annullato qualsiasi iniziativa diplomatica internazionale. Si sono mossi i turchi e gli israeliani, non proprio garanti di capacità di pacificazione. E la piccola Austria di fronte a un Putin sordo. L’Europa non ha una posizione negoziale e non è riuscita a manifestarsi come attore diplomatico, anche perché paga l’inesistenza della sua politica estera e la simbiosi con la NATO.
Se il Papa andasse a Kiev sarebbe “portentoso”, ha detto padre Alex Zanotelli, direttore della rivista Mosaico di pace.
A proposito di diplomazia, dov’è l’ONU, con la sua opera di peacekeeping? Dove sono i caschi blu? L’assemblea ha votato la condanna dell’invasione (141 su 193 Paesi), ma poi non se ne fa niente perché il Consiglio di sicurezza, con il diritto di veto della Russia, blocca eventuali misure. Il segretario Antonio Guterres dovrebbe farsi sentire maggiormente. Il diritto di veto del Consiglio di sicurezza andrebbe riformato. Kofi Annan aveva tentato, ma poi non se n’è fatto nulla. Il letargo dell’ONU di questi anni dovrebbe svegliare i leader politici.
“Tutte le volte, quando si arriva verso la fine di una guerra, si riconosce che l’ipotesi del pacifismo e della nonviolenza sarebbe stata giusta. Si dice, Dio mio cosa abbiamo fatto, ora è tutto distrutto, ecc. È accaduto alla fine della prima e anche della seconda guerra mondiale. Allora si scoprì l’importanza della nonviolenza”. Lo dice Luciana Castellina, militante del movimento per la pace da una vita.
Nall’immagine: manifestazione pro-europeista (Euromaidan) in piazza Maidan a Kiev nel dicembre 2013
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