Promesse e eufemismi non ci salveranno
“Tratta le persone come se fossero adulte” è l’invito di un ricercatore statunitense che troppo spesso le autorità ignorano
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“Tratta le persone come se fossero adulte” è l’invito di un ricercatore statunitense che troppo spesso le autorità ignorano
• – Riccardo Fanciola
La città sembra una carrozza spiaggiata nel nulla, circondata da mosconi rumorosi e un po’ arroganti
• – Marco Züblin
Intervista a Cristina Zanini
• – Aldo Sofia
Un intervento statale di portata eccezionale, ma non è certo che sarà un definitivo rovesciamento di paradigma
• – Aldo Sofia
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• – Franco Cavani
Si ha l’impressione che il presidente USA non l’abbia sparata a caso. Ma perché?
• – Aldo Sofia
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• – Franco Cavani
“Ora si rischia di andare a sbattere. Si rischia solo la violenza”.
• – Aldo Sofia
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• – Franco Cavani
Ragioni di Stato contro diritti umani
• – Aldo Sofia
“Tratta le persone come se fossero adulte” è l’invito di un ricercatore statunitense che troppo spesso le autorità ignorano
Ma in tema di eufemismi abbiamo visto di peggio. Ricordate in autunno quando, conferenza stampa dopo conferenza stampa, Berset diceva “abbiamo la situazione in mano”, benché in mano non avesse nemmeno il due di coppe? O, meglio ancora, quando diceva “la situazione è preoccupante ma sotto controllo”, e intanto i contagi schizzavano all’insù manco fossero un razzo di Elon Musk? Per non dire della frase fatta più risibile, quella che ancora ci viene di tanto in tanto ripetuta: “adesso il virus lo conosciamo”; detto mentre si fa l’esatto opposto di quello che farebbe chi davvero ha capito qualcosa del virus.
“Treat the public like adults” è quanto non si stanca di ripetere Dylan Morris, un ricercatore dell’Università della California i cui post e tweet nell’ultimo anno mi hanno aiutato a orientarmi nella pandemia (questo è il suo sito: da leggerlo su mascherine, aerosol e, soprattutto, sull’incertezza che ha caratterizzato l’ultimo anno, conoscenze scientifiche comprese).
Tratta le persone come se fossero adulte: non dire che la situazione è sotto controllo quando è ormai ampiamente sfuggita di mano; non parlare di situazione fragile quando ormai i cocci sono sparsi tutt’attorno. E, soprattutto, non lasciare sperare in aperture quando è di chiusure che si dovrebbe discutere.
È la trappola in cui, per vizio o per abitudine decidete voi, il Consiglio federale è di nuovo caduto nelle ultime settimane: prima la decisione di riaprire quando le misure restrittive erano ben lontane dall’aver dato i risultati sperati (300 casi al giorno era l’obiettivo largamente disatteso: non si è mai scesi sotto quota mille); poi aver indicato un calendario di aperture per acquetare l’assordante fronte dei sostenitori dell’apriamo-tutto-e-subito, benché tutti gli indicatori lasciassero presagire che era pura illusione.
Ieri il contentino: incontri in casa ammessi per dieci persone, tanto da salvare il pranzo pasquale. Ma ogni altra apertura è rinviata di un mese, terrazze di bar e ristoranti comprese (qui il comunicato ufficiale).
Per giustificare questa brusca frenata, il governo fa riferimento alla situazione epidemiologica. Che non è rosea, è vero, ma non da ieri. Ecco il grafico che descrive l’andamento dei contagi dagli inizi di febbraio a giovedì scorso:
Non credo si dovesse essere degli scienziati per capire già a fine febbraio che c’era poco da stare allegri. Ma era ovviamente più facile coltivare illusioni e fare promesse.
Come si fa con i bambini.
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