“Publiredazionali”: la stampa si rassegna
Propaganda ideologica a pagamento sui giornali. Etica giornalistica a ramengo
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Propaganda ideologica a pagamento sui giornali. Etica giornalistica a ramengo
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Propaganda ideologica a pagamento sui giornali. Etica giornalistica a ramengo
Da qualche tempo i giornali ticinesi ospitano un autocertificato “Spazio Libero” (con tanto di citazione cartesiana da bacioperugina), cioè quello che con bella ipocrisia e con opacissima trasparenza viene chiamato “publiredazionale”; insomma, uno spazio a pagamento in cui, invece di tacchi dadi e datteri, si pubblicizzano idee. E’ una specie di megafono per le istanze di certa destra-destra, finanziato da un simpatico miliardario (che ha costituito e ben capitalizzato una società a questo scopo. 300mila cucuzze) e presidiato da una serie di truci lanzichenecchi del liberalismo da Chicago-boys: tra gli altri, oltre al miliardario di cui sopra, un “economista” da ultimo banco (quello con tuba e stiffelius, che voleva il salario minimo solo per i residenti, nientedimeno), un islamofobo venditore di allarmi e propalatore pro domo sua di infondate angosce, un ex musicologo e ghostwriter promosso a direttore di giornale (e, da pensionato, soldatino delle cliniche private e prezzemolino in tutte le tavole rotonde). Un vero trust di cervelli; che, a differenza di taluni loro compagni di strada, almeno non sono analfabeti in senso proprio. Niente di male: ognuno spende i soldi come vuole, e va bene così, soprattutto se a metterceli è uno solo.
La cosa va meno bene, invece, se la guardiamo nella prospettiva dei giornali che pubblicano questi “redazionali”, anche se “publi”. Da una parte, essi sembrano così ammettere di porre limiti alla libera espressione, obbligando chi vuole esprimere liberamente le proprie idee a pagare per farlo; dall’altra, accettano di abdicare al proprio conclamato ruolo di mediatori tra idee diverse, offrendo a chi se lo può permettere spazi privi di contraddittorio. Questa scelta ha inoltre riflessi pesanti sulla percezione del giornale da parte di un’ampia fascia della comunità dei suoi lettori. Per non parlare di coloro che non fanno la differenza tra una pagina prezzolata, che parla di politica e di economia, e una che prezzolata non è ma parla delle stesse cose.
È fin troppo ovvio che, dal punto di vista dell’etica editoriale (e magari di quella giornalistica) è qualitativamente diverso pubblicare a pagamento pubblicità di assorbenti o di carne da bollito, o pubblicare idee. Ancora più imbarazzante è addirittura la situazione del quotidiano bellinzonese che, a differenza del foglio di Muzzano, ha una impostazione molto diversa da quella che presiede agli interventi che figurano nel publiredazionale. La stampa classica versa in condizioni difficili, e ogni soldino in più è benvenuto; ma, nello specifico, mi pare che il compromesso con l’etica giornalistica non valga i trenta(mila) denari che si incassano. Né a Muzzano, né soprattutto a Bellinzona. Come dire: si accetta di cenare con il diavolo (la pagina è tutta sui toni del rosso), senza preoccuparsi di avere cucchiai con manici sufficientemente lunghi per evitare di bruciarsi le mani.
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